Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4012 del 15/02/2017
Cassazione civile, sez. lav., 15/02/2017, (ud. 01/12/2016, dep.15/02/2017), n. 4012
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27995-2013 proposto da:
ISEDA S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 14,
presso lo studio dell’avvocato CARLO MARIA BARONE, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANSELMO BARONE, giusta
delega in atti;
– ricorrente –
contro
P.R.A. O S., C.f. (OMISSIS), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA PINTURICCHIO 45, presso lo studio
dell’avvocato CATERINA BORELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato
PAOLA MADDALENA FERRARI, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1947/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,
depositata il 26/09/2013 R.G.N. 1513/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
01/12/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;
udito l’Avvocato ANSELMO BARONE;
udito l’Avvocato VINCENZO SPARANO per delega Avvocato PAOLA MADDALENA
FERRARI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 26 settembre 2013) conferma la sentenza n. 516/2012 del Tribunale di Agrigento, dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato dalla ISEDA s.r.l. a P.S.R., con le conseguenti pronunce proprie della tutela reale.
La Corte d’appello di Palermo, per quel che qui interessa, precisa che:
a) assume carattere assorbente, ai fini della decisione, l’esame delle singole condotte addebitate al P. nella lettera di contestazione, sulla cui base è stato irrogato il licenziamento in oggetto;
b) con riguardo al primo addebito va precisato che le opinioni espresse dal dipendente nei confronti del proprio datore di lavoro soprattutto nell’esercizio dei diritti sindacali, anche se vivacemente critiche, non possono costituire giusta causa di licenziamento, salvo che vengano travalicati alcuni limiti soggettivi ed oggettivi che nella specie non risulta che siano stati superati;
c) a ciò va soggiunto che, per principio consolidato, non costituisce giusta causa di licenziamento il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione, quando esso sia motivato dall’inadempimento del datore di lavoro consistito ad esempio nel mancato pagamento della retribuzione, salvo il limite della buona fede;
d) quanto al secondo addebito, pur essendo stata accertata la sussistenza del fatto contestato – consistente nell’avere inoltrato alla società una nota su carta intestata della “Segreteria Provinciale di Agrigento” sottoscritta con la qualifica di RSA CISL, non posseduta tuttavia la riscontrata condotta non appare tale da giustificare la massima sanzione disciplinare, valutando il comportamento in ogni suo aspetto oggettivo e soggettivo e, quindi, considerando pure l’assenza di precedenti sanzioni disciplinari a carico del P.;
e) quanto al terzo addebito va precisato che non è emerso lo svolgimento di una prestazione lavorativa durante la malattia ma il mero allontanamento da casa per un arco temporale limitato (compreso tra i dodici e i sessantacinque minuti) per incontrare dei colleghi oppure recarsi presso un supermercato, mentre va sottolineata la regolare presenza del lavoratore alla prescritta visita fiscale;
f) ne consegue che la richiesta CTU è evidentemente esplorativa e finalizzata ad introdurre un tema di indagini nuovo rispetto al giudizio di primo grado;
g) il quarto addebito – consistente dell’aver fatto pervenire alla ditta una nota di uno studio legale contenente la diffida al pagamento delle retribuzioni dei mesi di marzo e aprile 2009 e il compenso per le festività non godute – è stato ritenuto dal primo giudice del tutto inidoneo a giustificare il licenziamento e questo punto della motivazione non risulta impugnato specificamente, il che ne preclude l’esame;
h) in sintesi, la sentenza di primo grado va confermata in quanto una sanzione così grave come il licenziamento non può basarsi su mere illazioni o indizi privi di univocità interpretativa, dovendo fondarsi su concorrenti circostanze dotate di oggettiva rilevanza atte a provare, con verosimile certezza l’inadempimento del lavoratore ai propri obblighi contrattuali.
2. Il ricorso della ISEDA s.r.l., illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza per sei motivi; resiste, con controricorso, P.S.R..
3. Nel corso della udienza odierna l’avvocato della società ricorrente ha presentato, ai sensi dell’art. 379 c.p.c., comma 4 brevi osservazioni scritte per replicare alle conclusioni dal P.G. in udienza, di rigetto del ricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente precisato che il Collegio ha autorizzato la redazione della sentenza con motivazione semplificata.
1 – Sintesi dei motivi di ricorso.
1. Il ricorso è articolato in sei motivi.
1.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 329 e 342 c.p.c..
Si contesta la statuizione con la quale la Corte palermitana ha ritenuto priva di specifica censura l’affermazione del primo giudice di assoluta inidoneità della condotta rubricata in narrativa sub d) a giustificare l’irrogato licenziamento.
Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto considerare la proposizione di tale censura implicita, sulla base della complessiva lettura del ricorso della società ricorrente.
1.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2104, 2110, 2119 e 2697 cod. civ. nonchè dell’art. 132 c.p.c..
Ci si oppone alla valutazione della Corte territoriale sulla contestata condotta consistente nell’allontanamento del Parisi dalla propria abitazione nei giorni in cui era assente dal lavoro per malattia.
Si sostiene che il relativo accertamento sarebbe stato effettuato prendendo in esame la condotta in astratto e non in concreto.
1.3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione sia alla natura e alle caratteristiche della malattia del lavoratore di cui al precedente motivo, sia al relativo periodo di riposo.
1.4. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2104, 2110 e 2119 c.c. nonchè dell’art. 132 c.p.c..
In collegamento con le censure formulate nel secondo motivo, si afferma che la Corte territoriale non avrebbe rispettato la regola juris secondo cui incombe sul dipendente l’onere di dimostrare la compatibilità con la malattia impeditiva dell’attività lavorativa.
1.5. Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 132 e 191 c.p.c., contestandosi la qualificazione come esplorativa della CTU richiesta dalla società e che pertanto la Corte territoriale non ha disposto.
1.6. Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 132, 213 e 437 c.p.c., con riguardo alla statuizione con la quale la Corte palermitana ha affermato la tardività della richiesta della attuale ricorrente di acquisizione d’ufficio di informazioni presso l’INPS di Agrigento sulle condizioni di salute del lavoratore all’epoca dei fatti.
2 – Esame delle censure.
2. Il ricorso non è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.
3. Il primo motivo è inammissibile, in quanto con esso si denuncia – senza considerare che i motivi di appello devono essere formulati in modo esplicito – il mancato esame da parte della Corte territoriale di una censura implicitamente formulata nel ricorso in appello, di cui non si dimostra minimamente la sussistenza, con il dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, e all’art. 369 c.p.c., n. 4 (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).
4. Inammissibili sono anche il secondo, il quarto e il quinto motivo, da trattare insieme data la loro intima connessione.
Con essi, infatti, – sempre senza rispettare il suindicato principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione – si sostiene che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente valutato la compatibilità della malattia del lavoratore con l’attività extralavorativa da questi svolta e ci si lamenta della mancata richiesta al lavoratore stesso di provare tale compatibilità nonchè della ritenuta esploratività della richiesta CTU sullo stato di salute del lavoratore.
Tali censure – sulle quali è incentrato l’intero ricorso e che sono state, sostanzialmente ribadite anche nelle osservazioni scritte depositate ai sensi dell’art. 379 c.p.c., comma 4, – in realtà non toccano e non contestano adeguatamente la principale “ratio decidendi” su cui è basata la sentenza impugnata sul punto, consistente nella assenza di elementi probatori emersi al fine di affermare lo svolgimento di una prestazione lavorativa durante la malattia e nell’avvenuto accertamento soltanto di brevi allontanamenti da casa ciascuno per un arco temporale limitato (compreso tra i dodici e i sessantacinque minuti) per incontrare dei colleghi oppure recarsi presso un supermercato, cui si è accompagnata la regolare presenza del lavoratore alla prescritta visita fiscale.
Trova quindi applicazione il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, l’omessa impugnazione di una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (vedi, per tutte: Cass. 5 ottobre 1973, n. 2499; Cass. SU 8 agosto 2005, n. 16602; Cass. SU 29 maggio 2013, n. 7931; Cass. 11 febbraio 2011, n. 3386; Cass. 27 maggio 2014, n. 11827).
5. Il terzo motivo è inammissibile in quanto con esso sono proposte censure sotto il profilo del vizio di motivazione che, però, risultano prospettate in modo non conforme all’art. 360 c.p.c., n. 5, – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile “ratione temporis”, visto che la sentenza impugnata è stata depositata il 26 settembre 2013 e, quindi, dopo il giorno 11 settembre 2012 – in base al quale la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928).
6. Il sesto motivo è anch’esso inammissibile, in quanto le censure con esso formulate oltre a porsi nella medesima ottica dei precedenti motivi secondo, quarto e quinto (vedi sopra par. 4), risultano del tutto apodittiche perchè prive di congrua argomentazione.
3- Conclusioni.
7. In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, Euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 1 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2017