Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4010 del 19/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 19/02/2010, (ud. 02/12/2009, dep. 19/02/2010), n.4010

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23474-2005 proposto da:

R.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA VIALE PARIOLI

67, presso lo studio dell’avvocato CEFALONI ROBERTO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in calce;

– ricorrente –

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la decisione n. 5686/2004 della COMM. TRIB. CENTRALE di ROMA,

depositata il 21/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2009 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per il ricorrente l’Avvocato CEFALONI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato URBANI NERI, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.A.M. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio Imposte Dirette di Velletri nei confronti di della società “Gefinas di Antonini Anna s.a.s.” di cui la R. era socio accomandante, notificato alla società in data 19-2-1990.

relativo al reddito sociale dell’anno 1984.

La Commissione Tributaria di primo grado accoglieva il ricorso, e, su appello dell’Ufficio, la Commissione Tributaria di 2^ grado di Roma confermava la precedente decisione.

Ricorreva l’Ufficio alla Commissione Tributaria Centrale, la quale con decisione n. 5686 del 24-5-2004, depositata il 21 giugno 2004, accoglieva il gravame, ritenendo che la accomandante non avesse legittimazione ad impugnare l’accertamento a carico della società di cui non era legale rappresentante, e, quanto alla impugnazione in proprio ai fini IRPEF di detto anno, il ricorso era infondato per carenza di prova.

Avverso detta decisione ricorre per cassazione la contribuente, con due motivi.

Resistono il Ministero della Economia e della Finanze e la Agenzia delle Entrate, con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 5 nonchè D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16 in rapporto all’art. 111 Cost..

Sostiene che la Commissione Centrale aveva errato nel ritenere che il socio accomandante non possa impugnare l’accertamento effettuato nei confronti della società di cui non è amministratore.

Attesa infatti la unitarietà dell’accertamento nei confronti della società e dei soci, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 e la automatica incidenza del maggior reddito sociale su quello personale dei soci, nella misura della partecipazione sociale, non può considerasi preclusa al socio la impugnazione dell’accertamento notificato alla società anche nella ipotesi che alla stessa tale provvedimento non sia stato ancora notificato, in quanto il diritto alla impugnazione dell’atto sorge in forza della sua giuridica esistenza ed efficacia laddove il termine di cui al D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16 applicabile ratione temporis, di 60 gg. decorrenti dalla notificazione dell’atto, costituisce il termine finale e non quello iniziale.

Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 329 c.p.c., D.P.R. n. 636 del 1972, art. 39 in rapporto all’art 111 Cost, in quanto la Commissione, dopo avere accolto l’unico motivo dedotto dall’Ufficio, ovvero la carenza di legittimazione attiva della ricorrente per la impugnazione dell’atto diretto alla società, aveva respinto il ricorso per un motivo di merito (carenza di prova della doglianza espressa dalla ricorrente sulla mancata percezione del reddito contestato per l’anno oggetto di accertamento) non dedotto dall’Ufficio, incorrendo nel vizio di extrapetizione.

La Amministrazione nel controricorso sostiene la validità del proprio assunto in diritto, specificando che l’accertamento nei confronti della società era stato notificato anche ai soci a titolo meramente informativo.

Il primo motivo è fondato nel senso della ammissibilità del ricorso. Se infatti è esatto che il socio accomandante non abbia legittimazione attiva per impugnare l’atto di accertamento ai fini ILOR in nome e per conto della società in luogo dell’amministratore, non è meno vero che il socio può impugnare l’accertamento in relazione all’interesse proprio, in quanto il reddito sociale è automaticamente imputato, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 5, (T.U.I.R.) al socio ai fini delle imposte sul reddito (v. Cass., 4271/2003).

Tale è il caso in questione, talchè, nelle premesse del ricorso, riportate nelle parte espositiva della decisione impugnata, la ricorrente afferma di non avere percepito nell’anno di riferimento il reddito a lei imputato dall’Ufficio, dolendosi quindi della parte di reddito a lei addebitata. Peraltro, è la stessa Commissione Centrale ad ammettere che il ricorso può avere anche questa lettura, ed infatti lo rigetta per il motivo di merito sopra specificato (carenza di prova).

Se così è, essendo in presenza di controversia concernente l’accertamento di un maggior reddito a fini IRPEF a carico di un socio conseguente all’accertamento di maggior reddito ai fini ILOR a carico di una società di persone, deve essere riaffermato il seguente principio di diritto: “la unitarietà dell’accertamento che è (o deve essere) alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società ed associazioni di cui all’art. 5, cit.

T.U.I.R. e dei soci delle stesse (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40) e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili, indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso proposto da uno dei soci o dalla società anche avverso un solo avviso di rettifica, riguarda inscindibilmente la società ed i soci, (salvo che questi prospettino questioni personali) i quali tutti devono essere parte nello stesso processo, e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi, (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1) perchè non ha ad oggetto la singola posizione debitoria dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto alla obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva della obbligazione (Cass. SS.UU. 1052/2007); trattasi pertanto di fattispecie di litisconsorzio necessario originario, con la conseguenza che il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati destinatario di un atto impositivo, apre la strada al giudizio necessariamente collettivo ed il giudice adito in primo grado deve ordinare la integrazione del contraddittorio (a meno che non si possa disporre la riunione dei ricorsi proposti separatamente, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 29); il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è nullo per violazione del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. ed art. 111 Cost., comma 2, e trattasi di nullità che può e deve essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio” (Cass. SS.UU. 14815 del 2008). Dato che nel caso di specie il giudizio è stato celebrato senza che fosse disposta nè la integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i litisconsorti necessari, nè la riunione dei ricorsi separatamente proposti dalla società e dai soci, il ricorso deve essere accolto, in quanto l’intero rapporto processuale si è sviluppato in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14; deve quindi essere cassata la sentenza impugnata ed annullato l’intero giudizio, e la causa deve essere rinviata alla Commissione Tributaria Provinciale adita, per la celebrazione del giudizio di primo grado.

Il giudice di rinvio dovrà disporre la integrazione del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992. Le spese del giudizio devono essere compensate.

P.Q.M.

La Corte decidendo sul ricorso della Agenzia, cassa la sentenza impugnata, e la precedente di primo grado e rinvia la causa innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2010

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