Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4010 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/02/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 16/02/2021), n.4010

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27178-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.R.G., elettivamente domiciliata in ROMA, Piazza Cavour

presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e

difeso dall’avvocato MICHELE BALLETTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3537/2017 della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA,

depositata il 12/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/11/2020 dal Consigliere Dott.ssa FASANO ANNA MARIA.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

D.R.G. impugnava l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro notificato dall’Agenzia delle entrate, in relazione alla sentenza n. “(OMISSIS)”, lamentando inter alia l’omessa motivazione dell’atto, non essendo stata nè allegata nè riprodotta la sentenza citata e nè provata la conoscenza della stessa da parte del contribuente. Quest’ultimo denunciava che la sentenza era stata contraddittoriamente identificata nell’avviso di liquidazione dapprima con il n. (OMISSIS) e poi con il n. 94/13, oltre al fatto che nell’atto impugnato non era stato indicato l’imponibile, la tariffa applicata e l’entità di sanzioni ed interessi. Il contribuente lamentava anche l’insufficiente menzione della solidarietà dell’obbligazione, senza precisazione del carico fiscale incombente a ciascuno dei coobbligati. La Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, con sentenza n. 2462/15, accoglieva il ricorso, ritenendo non identificabile la sentenza non registrata la quale era stata indicata con due numeri differenti. L’Ufficio appellava la decisione, assumendo la correttezza della numerazione, in quanto il primo numero (897/13) indicava il numero di repertorio, mentre il secondo (942/13) quello del registro sentenze, producendo copia del frontespizio della sentenza che li evidenziava entrambi. La Commissione Tributaria Regionale del Lazio rigettava l’appello, ritenendo che dall’avviso di liquidazione oggetto della controversia non risultava possibile individuare quale era la sentenza oggetto di liquidazione se la n. 892/2013 o la n. 942/2013, atteso che nell’avviso era rinvenibile la dizione “sentenza n. 892/2013” e “sentenza n. 942/13”. L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza svolgendo tre motivi. D.R.G. si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, nonchè dello stesso D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e art. 58, comma 2, e dell’art. 24 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), in quanto la Commissione Tributaria Regionale incorrebbe in errore nel ritenere inammissibile “novum” l’affermazione, dedotta per la prima volta in appello, dell’esattezza e pertinenza di entrambi i numeri identificativi della sentenza non registrata: tale qualificazione spetterebbe solo alle eccezioni in senso stretto (cioè fatti motificativi, impeditivi o estintivi della pretesa azionata o di quella contraria ad essa opposta dal convenuto) non invece alle eccezioni in senso improprio (ovvero alla contestazione dell’esistenza dei fatti costitutivi della pretesa sub iudi-ce), nè alle mere difese, che esprimono la contestazione delle censure della controparte: tali ultime due specie di deduzioni resterebbero formulabili in ogni tempo ed in ogni fase di giudizio. Nella fattispecie, invero, si tratterebbe di mere difese, essendo la precisazione sul significato dei due diversi numeri, attraverso i quali è stata identificata la sentenza da registrare, volta semplicemente alla difesa dell’Ufficio dalla censura avversaria di impossibile identificazione della sentenza stessa. Secondo l’Agenzia delle entrate, inoltre, l’argomento ritenuto nuovo sarebbe rivolto altresì all’impugnazione della sentenza di primo grado che della non coincidenza di quei due numeri faceva il fondamento dell’accoglimento del ricorso avversario: pertanto, non poteva non consentirsi all’Ufficio la contestazione dei contenuti sfavorevoli di tale sentenza con ogni argomento idoneo a spiegare la differenza che li aveva determinati, mentre l’opposta opinione violerebbe le previsioni del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, che impone l’impugnazione puntuale della sentenza con motivi specifici rivolti contro le sue singole statuizioni.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 2700 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) atteso che quanto sostenuto nella decisione impugnata circa il fatto che l’Ufficio non abbia documentato con evidenze probatorie concrete la discordanza circa il numero della sentenza oggetto di tassazione, limitandosi invero ad una mera enunciazione per cercare di correggere la motivazione dell’avviso, sembrerebbe in contrasto con la norma in epigrafe, così ponendo nel nulla il valore del frontespizio della sentenza non registrata, prodotta in appello, che invece attesterebbe, con fede privilegiata, la pertinenza di entrambi i numeri a tale atto, mostrandone la discordanza e insieme la compresenza sul documento in questione, nonchè dando conto del loro significato, che in tal modo non potrebbe che risultare provato in conformità a quanto asserito dall’Ufficio appellante.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in quanto la sentenza impugnata, nel ritenere la nullità della motivazione dell’avviso, in quanto “non consentiva di individuare la sentenza oggetto di tasscqione” apparirebbe non adattarsi al caso in esame, in cui tale impossibilità non si sarebbe obiettivamente verificata, e risulterebbe quindi meramente apparente ma in realtà inesistente. L’Ufficio deduce che l’avviso di liquidazione riporterebbe non solo i due numeri, ma anche l’Ufficio giudiziario emanante e i nomi di tutte le parti: proprio quest’ultimo elemento sarebbe idoneo a consentire la precisa individuazione. In assenza di una precisa affermazione avversaria circa l’esistenza di più giudizi tra le stesse parti, sarebbe chiaramente errata e priva di senso la tesi che una eventuale errata indicazione di numeri diversi della sentenza impedisse di identificarla, poichè a ciò concorrerebbe anche l’indicazione delle parti, sicchè trascurare questo profilo renderebbe la motivazione fondata su un assunto non corrispondente alla realtà e dunque inesistente.

4. Il Collegio, preliminarmente, rileva l’infondatezza della eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione proposta dal controricorren-te, per violazione dell’art. 360 bis c.p.c., atteso che le critiche, nel denunciare la violazione delle norme di diritto, raffrontano correttamente la ratio decidendi della sentenza impugnata con la giurisprudenza della Corte, come ampiamente illustrata nelle fasi di merito e riportata nello sviluppo argomentativo delle censure, ciò anche in ossequio al principio di specificità dei motivi di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (v. Cass. n. 5001 del 2018).

Passando all’esame dei motivi, per il principio della “ragione più liquida” (Cass.Sez.Un. 9936 del 2014), il Collegio esamina preliminarmente il terzo mezzo, che va rigettato per i principi di seguito enunciati.

4.1. Si legge nella parte in fatto della sentenza impugnata che il contribuente aveva denunciato il difetto di motivazione dell’avviso di liquidazione per difetto di motivazione non essendo stata nè riprodotta nè allegata la sentenza oggetto di tassazione. Non è contestato, infatti, che l’atto impositivo non recava l’allegazione del sentenza da registrare e riportava due numeri identificativi della stessa “sentenza n. 892/2013” “sentenza n. 942/13”. Quest’ultima circostanza di fatto è stata espressamente precisata dal giudice del merito in motivazione.

4.2. Ciò premesso, secondo l’indirizzo largamente condiviso da questa Corte: “l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale” (Cass. n. 6914 del 2011).

In particolare, ai fini della legittimità dell’avviso di liquidazione non è sufficiente il mero richiamo in esso degli estremi della sentenza, non allegata, ma è necessario, ai fini di porne piena conoscenza al contribuente, l’allegazione della stessa nel rispetto della L. n. 212 del 2000, art. 7 (Cass. n. 1134 del 2000), rispondendo l’obbligo di motivazione all’esigenza di garantire il pieno ed immediato esercizio delle facoltà difensive del contribuente (Cass. n. 29491 del 2018; Cass. n. 13402 del 2020).

La motivazione dell’atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato, in quanto rappresenta lo strumento essenziale di garanzia del diritto di difesa del contribuente. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale, con eccezione delle situazioni in cui tale allegazione non sia necessaria perchè l’atto è noto al contribuente. Nondimeno, in quest’ultimo caso il riferimento a tale atto richiamato nell’avviso deve essere chiaro ed inequivoco, posto che l’obbligo di motivazione/allegazione non è solo diretto a soddisfare esigenze di trasparenza e di correttezza dell’azione dell’Amministrazione finanziaria, ma, soprattutto, è volto a garantire il diritto del contribuente ad avere piena ed immediata cognizione delle ragioni della pretesa fiscale, in modo da valutarne la fondatezza e di predisporne eventuali motivi di contestazione e, quindi, di impugnarla in sede giudiziale, non essendo quest’ultimo onerato dall’obbligo o dal dovere di ricerca dell’atto medesimo presso pubblici uffici o terzi.

E’ stato affermato che: “In tema di imposta di registro, l’avviso di liquidazione emesso del D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 54, comma 5, che indichi soltanto la data e il numero della sentenza civile oggetto della registrazione, senta allegarla, è illegittimo, per difetto di motivazione, in quanto l’obbligo di allegazione, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, mira a garantire al contribuente il pieno ed immediato esercizio delle sue facoltà difendive, laddove, in mancanza, egli sarebbe costretto ad una attività di ricerca, che comprimerebbe illegittimamente il termine a sua disposizione per impugnare” (Cass. n. 29402 del 2017; Cass. N. 12468 del 2015; Cass. n. 18532 del 2010).

Nella fattispecie, oltre alla omessa allegazione della sentenza da registrare, il giudice del merito ha rilevato una confusione nella indicazione dei numeri relativi alla identificazione della stessa, e tale circostanza di fatto – neppure smentita dall’Agenzia delle Entrate – ha certamente creato pregiudizio all’immediato esercizio delle facoltà difensive del contribuente, costringendolo ad una attività di ricerca riguardante atti e documenti da lui possibilmente conosciuti.

Va, infine, precisato che secondo l’indirizzo ampiamente condiviso da questa Corte, l’Ufficio, dovendo obbligatoriamente indicare con puntualità i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la sua decisione, non può integrate ex post in giudizio la motivazione dell’atto impugnato, mediante la produzione del documento (nella specie la sentenza) non precedentemente allegato (v. Cass. n. 4070 del 2020 in tema di revoca delle “agevolazioni prima casa”), proprio in ragione della natura impugnatoria del processo tributario (Cass. n. 4176 del 2019), posto che il processo prende avvio proprio con l’impugnazione dell’atto impositivo, pertanto l’Amministrazione finanziaria non può integrare le proprie ragioni dopo che l’atto sia stato impugnato in Commissione Tributaria o addirittura (come nella specie) nel corso del giudizio (di appello).

5. La Commissione Tributaria Regionale ha fatto buon governo dei principi espressi, avendo i giudici di appello evidenziato il difetto di motivazione dell’atto impositivo, anche in ragione della impossibilità di individuare nello stesso la sentenza oggetto di registrazione. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna di parte soccombente al pagamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 4.100,00 per compensi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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