Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4009 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. II, 18/02/2011, (ud. 21/01/2011, dep. 18/02/2011), n.4009

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – rel. Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.G. C.F. (OMISSIS), C.C. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PANARITI PAOLO, che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

B.F., L.C., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA CONCA D’ORO N. 184/190, presso lo studio dell’avvocato PERUCCA

DIEGO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 188/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/01/2011 dal Presidente Dott. GIOVANNI SETTIMJ;

udito l’Avvocato Panariti Paolo difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Perucca Diego difensore del resistente che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 9.4.98, L.E. conveniva dinanzi al Pretore di Montefiascone C.C. e P. G., rispettivamente proprietario e gestore del locale adibito a bar – pizzeria denominato “Il Giardinetto” sito in (OMISSIS), onde sentirne accertare la responsabilita’ per l’immissione, nella sua abitazione e pertinenze, d’esalazioni ritenute intollerabili di sensi dell’art. 844 c.c., provenienti dalla canna fumaria posta al servizio del locale, con condanna all’eliminazione delle cause del fatto lesivo ed al risarcimento di tutti i danni (materiali e biologico) subiti, da quantificarsi nel corso del giudizio.

Nel costituirsi, i convenuti resistevano a” la domanda ed, in via riconvenzionale, chiedevano che, accertato l’esatto confine fra le due proprieta’, il L. fosse condannato a demolire il muro di contenimento abusivamente costruito sulla proprieta’ C. ed a ricostruirlo a norma di legge, nonche’ al risarcimento dei danni.

Interrotto per morte dell’attore, il giudizio veniva riassunto dalle eredi, L.C. e B.F.; quindi, conclusa l’istruttoria, la causa veniva decisa dal tribunale di Viterbo, sezione distaccata di Montefiascone, subentrato al Pretore, che, con sentenza n. 15126 del 16.5.2003, rigettava la domanda principale e dichiarava inammissibile quella riconvenzionale.

Avverso tale sentenza L.C. e B.F. proponevano appello cui resistevano C.C. e P.G..

Ne decideva la corte d’appello di Roma con sentenza 17.1.07. n. 188, accogliendolo sulla considerazione che, dall’espletata CTU, i fumi provenienti dal locale pizzeria erano risultati contenere una percentuale di particelle volatili incombuste, per loro natura idonee a provocare i pregiudizi alla salute lamentati dalle appellanti, ed, in caso di condizioni di vento sfavorevoli (venti provenienti da nord o da nord-ovest), tali da impedire persine» l’uso del giardino e l’apertura delle finestre oltre a rendere “difficoltosa la respirazione, in particolare in quei soggetti che siano predisposti o asmatici, i quali non possono fare altro per difendersi che allontanarsi dai luoghi”, situazione, quella dei venti provenienti dai quadranti nord e nord-ovest (tramontana e maestrale), che non rivestiva carattere d’eccezionalita’, ma costituiva invece, per comune esperienza, evento meteorologico con carattere di normalita’ e ricorrente frequenza; che, pertanto, tali circostanze dovendo ritenersi integrare una situazione di manifesta ed assoluta intollerabilita’ dei fumi provenienti dalla pizzeria degli appellati, a costoro andava ordinato d’eliminare le immissioni mediante l’adozione degli opportuni interventi.

C. e P. hanno impugnato detta sentenza con ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Hanno Resistito L. e B. con controricorso.

Inviata a trattazione camerale, la causa e’ stata rimessa dall’adunanza del 19.2.09 all’odierna pubblica udienza non essendosi ravvisata l’immediata evidenza degli estremi dell’inammissibilita’ ex art. 366 bis c.p.c. segnalati dal consigliere delegato all’esame preliminare.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, i ricorrenti – denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 844 c.c. – si dolgono che il giudice a quo non abbia considerato che, per l’invocata norma, il potere del proprietario d’escludere le immissioni e’ piu’ circoscritto rispetto a quello fondato sull’interesse oggettivo, posto in via generale dall’art. 840 c.c., poiche’ le immissioni possono essere impedite solo se superano la normale tollerabilita’, eppertanto il giudice del merito deve compiere la relativa indagine secondo il criterio della condizione dei luoghi inteso sotto il “profilo sociale” in relazione al carattere derivante dalle attivita’ che normalmente vi si svolgono ed in genere dal sistema e dalle abitudini di vita della popolazione locale, mentre, nell’accogliere il gravame, il detto giudice avrebbe omesso qualunque indagine in riferimento alle condizioni “sociali” dei luoghi limitandosi a considerare “in astratto” ed aprioristicamente nocive le lamentate immissioni di fumo, non considerando cosi’ che l’immobile ai che trattasi e’ situato in pieno centro abitato, che nelle vicinanze vi sono altre sei canne fumarie, che i fumi in questione sono classificabili a norma di legge tra quelli emessi da attivita’ ad inquinamento poco significativo, giusta quanto precedentemente affermato dalle Autorita’ Sanitarie (Comune e Provincia) interessate dallo stesso L., e che il danno alla vegetazione ed alle cose e’ inesistente; inoltre, il giudice a quo non avrebbe considerato il secondo comma della norma invocata, che impone di contemperare le esigenze della produzione con Le ragioni della proprieta’ e di compiere la valutazione e la comparazione tra tutti gli elementi di diritto idonei ad applicare la tutela invocata ex art. 844 c.c. Hanno, quindi, chiesto affermarsi il seguente principio di diritto:

“Il discrimine tra condotta lecita ed illecita in riferimento all’art. 844 c.c. e’ il superamento del limite della normale tollerabilita’ e che, oltre ai parametri di valutazione oggettiva delle immissione prodotte, si deve tenere conto della situazione di fatto esistente, nonche’ del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprieta’”.

Con il secondo motivo, i rioorrenti – denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ed in relazione all’art. 844 c.c. sotto un diverso profilo – si dolgono che la decisione gravata sia carente di motivazione sul fatto che i fumi emessi dalla pizzeria, rientrando tra le attivita’ ad inquinamento “poco significativo”, in base alla nota dell’Amministrazione Provinciale di Viterbo del 05.10.1996 ed alle valutazioni del CTU, non potessero essere qualificati, per loro natura, come immissioni superiori alla normale tollerabilita’, in difetto d’un accertamento “in concreto” dell’idoneita’ a produrre i danni lamentati ma non provati da controparte.

I riportati motivi – che, stante la loro connessione, possono essere congiuntamente trattati – sono destituiti di fondamento.

Il giudice a quo si e’, infatti, correttamente attenuto alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, testualmente riportate, evidenziando come, sotto vari profili, ne emergessero la sussistenza delle immissioni denunziate ed un’intensita’ delle stesse da considerare superiore alla normale tollerabilita’ in relazione al loro livello, alla loro continuativita’, alle condizioni atmosferiche prevalenti nella zona ed alla reciproca ubicazione dei fondi contrapposti.

La contestazione di tale conclusione da parte dei ricorrenti per assunta omessa valutazione delle parti della consulenza e dei documenti di provenienza pubblica che la smentirebbero, neppure puo’ essere presa in considerazione per difetto d’autosufficienza della censura, non risultando adeguatamente riportate le parti dell’elaborato peritale e dei citati documenti dalle quali l’assunto sarebbe suffragato.

Infatti, allorche’ sia denunziato, con il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, un vizio di motivazione della sentenza impugnata, della quale si deducano l’incongruita’ e/o l’insufficienza delle argomentazioni svoltevi in ordine alle prove, per asserita loro omessa od erronea valutazione, e’ necessario, per il principio d’autosufficienza del ricorso posto al fine di consentire al giudice di legittimita’ il controllo sulla decisi vita degli elementi di giudizio assuntivamente non valutati od erroneamente valutati, che il ricorrente specifichi il contenuto di ciascuna delle dette risultanze mediante loro sintetica ma esauriente esposizione ed, all’occorrenza, come il caso di specie avrebbe richiesto, integrale trascrizione nel ricorso, non essendo idonee, all’uopo, le semplici affermazioni della parte in ordine al significato soggettivamente attribuito alle risultanze stesse in contrapposizione alle valutazioni effettuatene dal giudice del merito.

Nessuna censura puo’, poi, essere fondatamente mossa al giudice a quo quanto alla retta applicazione dell’art. 844 c.c., la disposta imposizione di misure idonee a ridurre le accertate immissioni nei limiti della normale tollerabilita’ costituendo legittima applicazione del comma 1 della norma de qua che, se esclude il carattere lesivo delle immissioni quantitativamente e/o qualitativamente rientranti nei limiti della normale tollerabilita’ e non consente, pertanto, al proprietario del fondo d’esperire l’azione negatoria contro di esse, a quest’ultimo conserva peraltro tale tutela nella sua interezza ove detti limiti vengano superati qual che ne sia la genesi.

Il criterio del contemperamento delle esigenze della produzione con quelle della proprieta’, posto dal secondo comma della norma de qua, viene in considerazione solo nell’ipotesi in cui, accertatosi il superamento dei limiti della normale tollerabilita’, l’adozione delle possibili misure di prevenzione si riveli insufficiente a ricondurre il livello delle immissioni entro i limiti stessi, giacche’ in tal caso – nella riconosciuta preminenza dell’interesse collettivo, in termini di prodotto e di occupazione, alla prosecuzione dell’attivita’ immissiva nonostante le sue negative ripercussioni sull’ambiente circostante in genere e sulle singole proprieta’ finitime in ispecie – e’ previsto che possa operarsi dal giudice una valutazione comparativa degli interessi dedotti in giudizio ai fini della determinazione del contenuto non piu’ delle misure preventive da adottare ma della sanzione da applicare a quella che resta, comunque, un’attivita’ generatrice di danno permanente cui deve corrispondere un congruo indennizzo.

Situazione, dunque, non ravvisabile nel caso di specie, laddove le accertate immissioni si e’ ritenuto possano essere ricondotte ad entita’ accettabile mediante l’adozione d’opportune misure, quali, appunto, ha disposto la corte d’appello, cui, attesa tale possibilita’, neppure era necessario fare ricorso all’ulteriore criterio del preuso.

In materia d’immissioni nocive, infatti, detto criterio ha carattere sussidiario e facoltativo, onde il giudice del merito, nella valutazione della normale tollerabilita’ delle immissioni, non e’ tenuto a farvi ricorso quando, in base agli opportuni accertamenti d:i fatto e secondo il suo prudente apprezzamento – incensurabile in sede ai legittimita’ se, come nel caso in esame, adeguatamente motivato – quella soglia ritenga comunque superata.

Cio’ tanto piu’ ove si tenga conto che nell’applicazione dell’art. 844 c.c. deve aversi riguardo, per desumerne il criterio di valutazione della normale tollerabilita’ delle immissioni – proprio come vogliono i ricorrenti -, alle particolari connotazioni del caso concreto in relazione alla collocazione urbanistica dei fondi, onde, nell’ipotesi in cui questi si trovino in zona a prevalente vocazione abitativa – come, appunto, nel caso di specie, trovandosi al centro dell’abitato per deduzione dei ricorrenti medesimi – e siano soggetti a destinazioni differenti, ad abitazione l’uno e ad opificio l’altro, il criterio dell’utilita’ sociale, cui e’ informata la norma de qua, impone di graduare le necessita’ rispettive in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dello parti, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali posti dagli artt. 14, 31, 47 Cost., le personali esigenze esistenziali connesse alla salute, alla qualita’ della vita, all’abitazione, rispetto alle utilita’ meramente economiche inerenti all’esercizio di attivita’ produttive o commerciali (Cass. 5564/10, 8420/06, 2166/ 06, 5697/01).

Ne’ rileva il riferimento a documenti, compresa la CTU, e ferma comunque l’inidoneita’ del motivo al riguardo per difetto d’autosufficienza, che avrebbero attestato la tollerabilita’ delle emissioni in relazione al D.P.R. 2 maggio 1988, n. 203 ed al D.P.C.M. 25 luglio 1991 (o 1 marzo 1991), in quanto, se e’ vero che i criteri posti dall’invocata normativa, sebbene non applicabili direttamente ai rapporti tra privati, possono, tuttavia, anche nella regolamentazione di tali rapporti, costituire un valido riferimento onde determinare l’intensita’ e, di riflesso, l’intollerabilita’ d’una sorgente d’immissioni nocive, e’ anche vero che tale criterio puo’ trovare applicazione solo ove esso, dettato per la tutela generale del territorio e fondato, quindi, su parametri meno rigorosi di quelli applicabili nei casi singoli ex art. 844 c.c., venga considerato nelle controversie tra privati quale espressione d’un limite massimo e non d’un limite minimo, nel senso che, in difetto d’altri riscontri, accertato il loro superamento si abbia per necessariamente accertato anche quello dei limiti di tollerabilita’ di cui all’art. 844 c.c. e non viceversa (Cass. 1418/06, 5697/01).

Puo’, in fine, aggiungersi che la rilevata infondatezza delle ragioni di ricorso si riverbera sulla formulazione dei motivi, che – come aveva giustamente prefigurato il consigliere designato all’esame preliminare risultano ora chiaramente, alla luce delle considerazioni che precedono, non conformi ai requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, eppertanto, oltre che insuscettibili d’accoglimento nel merito, anche inammissibili: quello ex art. 360 c.p.c., n. 3 per inidoneita’ del quesito, in quanto, dovendovisi riportare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. 19769/08, 28280/08, SS.UU. 6530/08) vi e, invece, solo riprodotto un principio, pacifico si’, ma avulso dal contesto; quello ex art. 360 c.p.c., n. 5, per difetto del momento conclusivo di sintesi, id est dell’indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutarne immediatamente l’ammissibilita’ (Cass. 8897/08, 189/09, 1741/09).

Nessuno degli esaminati motivi meritando accoglimento, il ricorso va, dunque, respinto.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alle spese che liquida in Euro 3000,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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