Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4006 del 19/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4006 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:

SARACINO Salvatore (SRC SVT 37E06 F101U), rappresentato e
difeso, per procura speciale in calce al ricorso,
dall’Avvocato Claudio Defilippi, elettivamente domiciliato
in Roma, via degli Scipioni n. 132, presso lo studio
dell’avvocato Claudio Federico;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– reistente –

li 3M

Data pubblicazione: 19/02/2014

avverso il decreto della Corte d’appello di Torino
depositato in data 20 giugno 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott.

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Pierfelice Pratis, che ha chiesto
l’accoglimento del terzo motivo del ricorso e il rigetto
degli altri.
Ritenuto

che, con ricorso depositato in data 21

ottobre 2006 presso la Corte d’appello di Perugia,
Saracino Salvatore chiedeva la condanna del Ministro della
giustizia all’equa riparazione di cui alla legge n. 89 del
2001, lamentando la irragionevole durata di un giudizio
civile da lui introdotto dinnanzi al Tribunale di La
Spezia con citazione notificata il 3-4 febbraio 1988 e
protrattosi per tre gradi per circa diciotto anni;
che la Corte d’appello di Perugia si dichiarava
incompetente, ritenendo competente la Corte d’appello di
Torino, la quale, adita in riassunzione, sollevava
regolamento di competenza d’ufficio con decreto depositato
il 18 giugno 2008;

Stefano Petitti;

che la Corte di cassazione, con ordinanza del 13
gennaio 2012, dichiarava la competenza della Corte
d’appello di Torino;
che, riassunto il giudizio, la Corte d’appello di

di riassunzione, che venisse computato anche il termine
occorso per l’esecuzione della sentenza definitiva di
condanna, e riteneva, tuttavia, che su tale domanda non vi
fosse luogo a provvedere, atteso che il giudizio era in
riassunzione rispetto a quello originariamente introdotto
presso la Corte d’appello di Perugia e nel ricorso
introduttivo non vi era alcun riferimento alla fase
esecutiva del giudizio presupposto;
che la Corte d’appello rilevava quindi che il giudizio
presupposto avesse avuto una durata complessiva di
diciassette anni e quattro mesi, sicché, detratta la
durata ragionevole di sei anni nonché i segmenti
addebitabili alle parti, pari a complessivi diciotto mesi,
residuava una irragionevole durata di 8 anni e dieci mesi,
per la quale riconosceva al ricorrente un indennizzo di
8.083,00 euro, adottando il criterio di liquidazione di
750,00 euro per ciascuno dei primi tre anni di ritardo ed
euro 1.000,00 per ciascuno degli anni successivi, e
condannava il Ministero al pagamento della detta somma con
3

Torino dava atto che il ricorrente aveva chiesto, in sede

gli interessi legali dalla domanda, nonché alla rifusione
della metà delle spese del procedimento, dichiarando
compensata la restante metà;
che per la cassazione di questo decreto Saracino

che l’intimato Ministero non ha resistito con
controricorso, ma ha depositato un atto di costituzione ai
fini della partecipazione all’udienza di discussione.
Considerato

che il Collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo il ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n.
89 del 2001 e dell’art. 6, par. l, della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo, come interpretati dalla
giurisprudenza della Corte europea, quanto alla
determinazione della durata di un giudizio pendente al
momento della presentazione della domanda;
che il motivo è infondato;
che, invero, correttamente la Corte d’appello ha
limitato l’esame alla domanda inizialmente proposta dal
ricorrente nel 2006 presso la Corte d’appello di Perugia,
che, secondo quanto affermato nel decreto impugnato, senza
che sul punto il ricorrente abbia svolto una specifica

Salvatore ha proposto ricorso sulla base di tre motivi;

censura, non comprendeva alcun riferimento alla pretesa
indennitaria per la esecuzione della sentenza divenuta
definitiva con la pronuncia di questa Corte;
che del resto l’orientamento di questa Corte è ormai

nel caso di domanda proposta nella pendenza del giudizio
(come assume il ricorrente, sia pure riferendosi alla
pendenza della esecuzione della sentenza definitiva), va
limitata alla data di presentazione della domanda di equa
riparazione;
che con il secondo motivo il ricorrente deduce
violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e
dell’art. 6, par. l, della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, come interpretati dalla giurisprudenza della
Corte europea, quanto alla liquidazione del danno non
patrimoniale indennizzabile, nonché dell’art. 117 Cost.,
sostenendo che l’indennizzo avrebbe dovuto essere
ragguagliato, come affermato dalla Corte europea alla
intera durata del giudizio presupposto e non solo alla sua
durata irragionevole;
che il motivo è infondato;
che in tema di equa riparazione conseguente alla
violazione del diritto alla ragionevole durata del
processo, la valutazione equitativa dell’indennizzo a
– 5 –

pressoché univoco nel senso che la pretesa indennitaria,

titolo di danno non patrimoniale è soggetta, per specifico
rinvio contenuto nell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n.
89 all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (resa

delle Convenzione medesima, nell’interpretazione
giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo; tale
rispetto non concerne, però, anche il profilo relativo al
moltiplicatore della base di calcolo dell’indennizzo,
essendo peraltro il giudice nazionale vincolato al
rispetto del terzo comma, lett. a) dell’art. 2 della legge
n. 89 del 2001, ai sensi del quale è influente solo il
danno riferibile al periodo eccedente il termine
ragionevole, non toccando tale diversità di calcolo la
complessiva attitudine della citata legge n.89 del 2001 ad
assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione
del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass.,
sez. I, 22 agosto 2011, n. 17440);
che, del resto, siffatto approdo non collide con la
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,
la quale – nei precedenti Martinetti e Cavazzuti c. Italia
del 20 aprile 2010, Delle Cave e Corrado c. Italia del 5
giugno 2007 e Simaldone c. Italia del 31 marzo 2009 – “ha
osservato che il solo indennizzo, come previsto dalla

esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848), al rispetto

legge italiana n. 89 del 2001, del pregiudizio connesso
alla durata eccedente il ritardo non ragionevole, si
correla ad un margine di apprezzamento di cui dispone
ciascuno Stato aderente alla CEDU, che può istituire una

ordinamento giuridico e le sue tradizioni, in conformità
al livello di vita del Paese, conseguendone che il citato
metodo di calcolo previsto dalla legge italiana, pur non
corrispondendo in modo esatto ai parametri enunciati dalla
Corte EDU, non è in sé decisivo, purché i giudici italiani
concedano un indennizzo per somme che non siano
irragionevoli rispetto a quelle disposte dalla CEDU per
casi simili” (Cass., sez. I, 11 gennaio 2011, n. 478);
che con il terzo motivo il ricorrente denuncia
violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., dolendosi della
disposta compensazione;
che il motivo è infondato, atteso che la Corte
d’appello ha dato conto delle ragioni della disposta
compensazione parziale delle spese del procedimento,
individuandole nel rilevantissimo scostamento tra la somma
richiesta dal ricorrente e quella liquidata in
accoglimento parziale della domanda da lui proposta;
che, d’altra parte, deve ribadirsi che nei giudizi di
equa riparazione per violazione della durata ragionevole
– 7 –

tutela per via giudiziaria coerente con il proprio

del processo trova applicazione la disciplina della
responsabilità delle parti per le spese processuali e
della condanna alle spese (Cass., Sez. l, 15 luglio 2009,
n. 16542), nonché quella della compensazione di cui al

che tale principio non è in contrasto con l’art. 34
della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, come
modificata dal protocollo n. 11, atteso che l’impegno a
non ostacolare l’effettivo esercizio del diritto non
postula che la parte, la cui pretesa si sia rivelata priva
di fondamento, debba essere sottratta alla statuizione
sulle spese giudiziali ovvero che abbia visto grandemente
ridimensionata la propria pretesa non possa vedersi
compensate parzialmente le spese;
che in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
che non vi è luogo a provvedere sulle spese del
presente giudizio, non avendo l’intimata amministrazione
partecipato all’udienza di discussione.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il 16
gennaio 2044.

successivo art. 92;

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