Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4006 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. II, 18/02/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 18/02/2011), n.4006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA M DIONIGI 57, presso lo studio dell’avvocato DE CURTIS

CLAUDIA, rappresentato e difeso dagli avvocati BONELLI ENRICO,

TOSCANO GIANFRANCO;

– ricorrente –

contro

P.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE ex lege, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROMANO ANTONIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 169/2005 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 09/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito l’Avvocato ROMANO Antonio, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.E., con citazione del 26.9.1990, esponeva di essere proprietaria di un appartamento al primo piano del condominio (OMISSIS), confinante in parte col contiguo giardino di A.E., che vi aveva edificato una costruzione in ferro con copertura in materiale plastico in aderenza al muro perimetrale condominiale e ad uno dei balconi dell’appartamento, in violazione delle distanze.

Chiedeva l’eliminazione della costruzione ed il ripristino dello stato dei luoghi. Con altra citazione, unitamente a S. P., lamentava anche che sulla copertura della costruzione era collocato materiale vario che limitava la veduta e costituiva pericolo alla salute e chiedeva il ripristino dei luoghi. L’ A. contestava le domande ed invocava l’usucapione. Il tribunale di Nocera inferiore rigettava le domande con sentenza 25.5.2003.

Proponeva appello solo la P., resisteva l’ A. e la Corte di appello di Salerno. con sentenza 169/05, accoglieva il gravame condannando l’ A. ad abbassare la tettoia della costruzione in aderenza al muro perimetrale rispetto alle contigue vedute degli appartamenti della P., siti al primo piano, vedute costituite da un balcone e da una terrazza fino a tre metri dalla soglia e ad arretrare la costruzione ancora di tre metri dalle vedute, compensando per meta’ le spese. La Corte territoriale osservava che l’appello riguardava solo le vedute ed a norma dell’art. 907 c.c., comma 3 esse godono di una zona di rispetto di tre metri. Le domande riguardavano la costruzione del manufatto anche in aderenza ai balconi ed erano fondate.

Ricorre A. con unico motivo, illustrato da memoria, resiste la P..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Si denunziano violazione di legge, dell’art. 907 c.c., dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 184 c.p.c. vizi di motivazione.

La eccepita limitazione del diritto di veduta ed il pericolo per la salute non vengono riferiti alla non regolamentare distanza del manufatto rispetto ai balconi ma quale conseguenza della ben diversa condotta dell’ A. nel collocare sulla sommita’ della tettoia basi in legno e materiale di sgombero ed i Giudici di appello sono incorsi in errore nel ritenere denunziata la violazione delle distanze.

La censura e’ infondata.

A prescindere dalla contestuale denunzia di vizi di violazione di legge sostanziale, processuale e di motivazione, in contrasto con la richiesta specificita’ del motivo e dalla considerazione che l’interpretazione della domanda spetta al Giudice, la sentenza impugnata riferisce che la prima citazione riguardava una costruzione in aderenza al muro perimetrale condominiale e ad uno dei balconi, con condanna alla eliminazione ed al ripristino dei luoghi, la seconda una costruzione sempre in aderenza al muro perimetrale ed al balcone e si lamentava pure che sulla copertura della costruzione veniva collocato materiale vario che limitava la veduta.

L’appello riguardava solo la violazione delle distanze dalle vedute.

Le difese di controparte avevano preso posizione sul punto e l’errore del primo giudice derivava dal fatto che, essendo le domande state proposte ed essendo ammissibili, avrebbe dovuto pronunciare nel merito, che si risolveva a favore della P. ed in danno dell’ A..

Entrambe le domande dell’appellante dovevano interpretarsi nel senso che con le medesime era stata denunciata la violazione delle distanze della costruzione dalle vedute, restando con cio’ assorbito l’ulteriore quesito se vi fosse stato mutamento della domanda in corso di causa.

All’altro quesito, sulla conciliabilita’ delle domande ex art. 873 e 907 c.c. andava data egualmente risposta positiva, derivando la possibilita’ di proporre piu’ domande, anche non altrimenti connesse contro la stessa parte, direttamente dall’art. 104 c.p.c. salvo al giudice di verificarne poi il fondamento.

Stando cosi’ le cose, le odierne doglianze, sono genericamente prospettate. Come ripetutamente evidenziato da questa Corte, la violazione dell’art. 112 c.p.c. dev’essere, anzi tutto, fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo errar in procedendo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e non gia’ con la denunzia della violazione di differenti norme di diritto processuale o di norme di diritto sostanziale ovvero de vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 22.11.06 n. 24856, 14.2.06 n. 3190, 19.5.06 n. 11844, 27.01.06 n. 1755, ma gia’ 24.6.02 n. 9159, 11.1.02 n. 317, 27.9.00 n. 12790, 28.8.00 n. 11260, 10.4.00 n. 4496, 6.11.99 n. 12366).

Perche’, poi, possa utilmente dedursi il detto vizio, e’ necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si rendesse necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali domanda od eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresi’, dell’atto difensivo del giudizio di secondo grado nel quale l’una o l’altra erano state proposte o riproposte, onde consentire al giudice di legittimita’ di verificarne, in primis, la ritualita’ e la tempestivita’ della proposizione nel giudizio a qua ed, in secondo luogo, la decisivita’ delle questioni prospettatevi: ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell’art. 112 c.p.c., cio’ che configura un’ipotesi di error in procedendo per il quale questa Corte e’ giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere – dovere del giudice di legittimita’ d’esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Cass. 19.3.07 n. 6361, 28.7.05 n. 15781 SS.UU., 23.9.02 n. 13833, 11.1.02 n. 317, 10.5.01 n. 6502).

La censura con la quale alla sentenza impugnata s’imputino i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, poi, deve essere intesa a far valere, a pena d’inammissihilita’ comminata dall’art. 366 c.p.c., n. 4 in difetto di loro puntuale indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicita’ nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilita’ razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non puo’, per contro, essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non si puo’ con essa proporre un preteso migliore e piu’ appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalita’ di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa; diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe – com’e’, appunto, per quello in esame – in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalita’ del giudizio di legittimita’.

Ne’ puo’ imputarsi al detto giudice d’aver omesse l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacche’ ne’ l’una ne’ l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza d’adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti – come e’ dato, appunto, rilevare nel caso di specie – da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per se’ sole idonee e sufficienti a giustificarlo; in altri termini, perche’ sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse.

Nella specie, per converso, le esaminate argomentazioni non risultano intese, ne’ nel loro complesso ne’ nelle singole considerazioni, a censurare le rationes decidendi dell’impugnata sentenza sulle questioni de quibus, bensi’ a supportare una generica contestazione con una valutazione degli elementi di giudizio in fatto difforme da quella effettuata dal giudice a qua e piu’ rispondente agli scopi perseguiti dalla parte, cio’ che non soddisfa affatto alla prescrizione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto si traduce nella prospettazione d’un’istanza di revisione il cui oggetto e’ estraneo all’ambito dei poteri di sindacato sulle sentenze di merito attribuiti al giudice della legittimita’, onde le argomentazioni stesse sono inammissibili, secondo quanto esposto nella prima parte delle svolte considerazioni.

In definitiva il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna alle spese.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 1700,00, di cui 1500,00 per onorari, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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