Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4004 del 19/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4004 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: BIANCHINI BRUNO

SENTENZA

sul ricorso 3054-2013 proposto da:
BARSI

FRANCESCA

BRSFNC56S50E505T,

CHILLINO

PIA

CHLPIA28A41E506W,
BARSI
RODOLFO BRSRFL51L12E506H)
ARP
~24
oJ4
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA L MANTEGAZZA
24, presso lo studio delt-L1~9,og-c,a-t.G- MARCO GARDIN,
rappresentati e difesi dall’avvocato BARSI RODOLFO;
– ricorrenti –

2014
102

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE 80207790587,IN PERSONA DEL
MINISTRO P.T., elettivamente domiciliato EX LEGE in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA
/54~4,4.4.4A-ayé-

Data pubblicazione: 19/02/2014

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrenti

avverso il decreto n. 2861/2012 della CORTE D’APPELLO
di LECCE, depositate il 06/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

BIANCHINI;
udito

l’Avvocato

Barsi

Rodolfo

difensore

dei

ricorrentI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso ;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udienza del 16/01/2014 dal Consigliere Dott. BRUNO

Svolgimento del processo
l

Rodolfo Barsi; Pia Chillino ved Barsi; Francesca Barsi, agendo in proprio e quali

eredi di Lorenzo Barsi, con ricorso depositato il 29 dicembre 2010, hanno chiesto alla
Corte di Appello di Lecce che venisse loro riconosciuto un equo indennizzo per

dicembre 1993 innanzi alla Corte dei Conti , sezione giurisdizionale per la Regione
Puglia, indi proseguito da essi eredi che si erano costituiti con atto del 3 novembre 2000
e di seguito deciso in primo grado con sentenza notificata il 22 luglio 2008; a seguito di
impugnazione della soccombente INPDAP, il giudizio era stato definito con sentenza
depositata il 30 aprile 2010

2 — Nella resistenza del Ministero dell’ Economia e delle Finanze, la Corte di Appello di
Lecce ha emesso decreto depositato il luglio 2012, con il quale ha statuito che, per
l’originario ricorrente, il procedimento era durato circa tre anni e per gli eredi, a partire
dalla loro costituzione in giudizio, circa otto anni e mezzo in primo grado e due anni per
il procedimento di appello; stabilita la durata ritenuta congrua di tre anni per il primo
grado e di due per il secondo, la Corte distrettuale ha liquidato l’indennizzo nella misura
di 750 euro per i primi tre anni di ritardo e di 1000 euro per i successivi e quindi in euro
4.250 — a seguito di correzione di errore materiale — per ciascuna parte.

3 — In particolare la Corte ha ritenuto che nulla sarebbe stato dovuto agli istanti quali
eredi , in relazione al primo grado, non essendosi per lo stesso verificato alcun ritardo,
atteso che alla data del decesso — 21 febbraio 1996- la durata della causa si era mantenuta
nel periodo di tre anni; del pari nulla sarebbe stato dovuto per i ricorrenti agenti in
proprio per la durata del procedimento di secondo grado, durato poco meno di due anni,
così che l’unico periodo valutabile ai fini dell’indennizzo — jure proprio — sarebbe stato
quello intercorrente dalla data di costituzione nel giudizio di primo grado e la relativa
sentenza.

4 — Per la cassazione di tale decreto hanno proposto ricorso gli eredi Barsi, facendo
valere un unico ed articolato motivo di annullamento; il Ministero resistente ha proposto
controricorso.
i

l’ingiustificata durata di un procedimento iniziato dal de cujus con atto depositato il

Motivi della decisione
I — Non sussiste la dedotta causa di inammissibilità del ricorso determinata dalla
indicazione , nell’epigrafe dell’unico motivo di ricorso, di censure attinenti ad errores in
procedendo ed a vitia in judicando con riferimento indifferenziato a violazioni di leggi
sostanziali e processuali, atteso che la complessa articolazione del mezzo non toglie la

II — Le parti ricorrenti denunziano: a — violazione dell’art. 2 della legge n. 89/2001, quale
interpretato Itlla giurisprudenza nazionale e comunitaria ( c.d. diritto vivente); b
l’omessa motivazione laddove la Corte del merito ha omesso di esaminare e motivare in
merito alla computabilità, ai fini che ne occupano, del periodo intercorrente tra il decesso
dell’originario ricorrente e la costituzione in giudizio dei suoi eredi e, di conseguenza: c —
la violazione o falsa applicazione delle norme sulla successione nel processo — art.110
cpc- e sull’apertura delle successioni — art. 459 cod. civ. —

II.a — Sostengono dette parti che la giurisprudenza comunitaria ( vengono richiamate le
cause W.K. contro Italia e L.G.S. contro Italia) e nazionale ( si fa riferimento a Cass Sez.
I n. 26931/2006) avrebbero enucleato il principio secondo il quale può essere
considerato vittima di una violazione del diritto alla ragionevole durata del processo
anche chi non è stato parte dello stesso, a condizione che ne subisca gli effetti, come
appunto il caso della successione , con la conseguenza che anche il periodo successivo al
decesso dell’originario attore — siasi o meno poi costituito l’erede- è idoneo ad essere
valutato per la determinazione della durata congrua del procedimento.

II.b — Non condivisibile è l’assunto dei ricorrenti secondo cui la computabilità anche
del periodo intermedio, intercorrente tra il decesso del de cujus e la loro costituzione in
giudizio, sarebbe un portato ineliminabile della continuazione della soggettività del
defunto da parte dell’erede, atteso che la continuità della posizione processuale degli
eredi intervenuti rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 c.p.c., non toglie
che il sistema sanzionatorio delineato dalla Cedu e tradotto in norme nazionali dalla L. n.
89 del 2001, non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato,
ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia
ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in
2

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possibilità — agevole- di determinare il tenore e la portata delle censure.

relazione al concreto paterna subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e
l’interesse alla sua rapida conclusione ( principio oramai consolidato: v Cass. Sez II n.
10517/2013; Cass. Sez. VI-1 ord n. 995/2012; Cass Sez. I , ord. n. 1309/2011; Cass. Sez.
I , n. 13803/2011;. Cass. Sez. I n. 23416/2009; Cass. Sez. I n. 2983/2008).

Il.b.1 — Né a diverse conclusioni in merito alla computabilità del periodo tra il decesso
dell’originaria parte nel giudizio presupposto e la costituzione dei suoi eredi potrebbe

585/2014 che, dirimendo un contrasto tra Sezioni semplici in merito alla possibilità che
il contumace nel processo presupposto possa far valere un giudizio all’equa riparazione
per la non congrua durata dello stesso, ha statuito la equiparazione — ai fini della
possibile insorgenza del diritto al ristoro del danno non patrimoniale- tra parti costitute
e parti chiamate a partecipare a quel giudizio, ma in esso non intervenute: ritiene infatti la
Corte che, al di là di una mera analogia ricavabile dall’assenza nel processo presupposto
sia del contumace sia del chiamato all’eredità della parte originaria, le situazioni siano
sostanzialmente differenti in quanto, il ribadito principio che presupposto ineliminabile
per la legittimazione a far valere l’equa riparazione è l’incidenza che la non congrua
durata del giudizio abbia su chi di quel giudizio sia chiamato a far parte, non può trovare
applicazione sin tanto che il chiamato all’eredità non sia, quanto meno, evocato in
riassunzione, atteso che fino a quel momento può mancare addirittura la prova
dell’assunzione — per accettazione espressa o per facta concludentia — della stessa qualità di
erede; del resto anche la citata decisione n. 585/2014 pone l’accento più sulla
legittimazione del contumace alla proposizione del ricorso ex lege n. 89/2001 che
sull’applicabilità allo stesso di quella che costituisce la caratteristica qualificante del diritto
all’equo indennizzo – vale a dire l’automatismo probatorio relativo alla presunzione della
sussistenza del danno per indebita durata del processo- allorquando riconosce che la
mancata costituzione in giudizio del contumace possa influire anche sun’ an debeatur.

II.b.2 – Non si rinviene poi un orientamento univoco della CEDU che possa essere
invocato a disciplina della fattispecie , dal momento che le sentenze citate si limitano
ad affermare la legittimazione ad agire per il riconoscimento dell’equa riparazione a tutti
coloro nella cui sfera giuridica venga ad incidere la ingiustificata durata del giudizio
3

pervenirsi, traendo spunto dalla recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n.

presupposto; più aderente alla fattispecie in esame, sempre in ambito comunitario,
appare la recente la sentenza — di irricevibilità — della Seconda Sezione della CEDU del
18 giugno 2013, in causa Fazio + altri c Italia, in cui si è statuito che la qualità di erede di
una parte nel procedimento presupposto non conferisce , di per sé, il diritto a
considerarsi vittima della ,eventualmente maturata, durata eccessiva del medesimo e che

sua mancata costituzione nello stesso, dato che solo attraverso l’intervento nel
procedimento l’avente diritto ha l’opportunità di partecipare e di influire sull’esito dello
stesso.

II.b.3 Deve allora concludersi sul punto che non può postularsi l’esistenza — e quindi il
vincolo per il giudice nazionale- di un univoco indirizzo interpretativo espresso dalla
CEDU.
II.c — Infondato altresì, per le ragioni appena esposte, deve dirsi il motivo, anche
laddove evidenzia che la mancata valutazione unitaria — per i ricorrenti, comprendente
anche il periodo tra la morte del de cujus ed il loro intervento in causa- della durata del
processo in cui era stato in causa il proprio autore e quello in cui essi erano intervenuti,
avrebbe determinato una doppia sottrazione del termine di tre anni ritenuto costituire la
durata ragionevole del processo — vale a dire sia dalla fase processuale in cui era ancora
in causa il de cujus sia da quella in cui si costituirono gli eredi- : appare invero evidente
che, essendo diversi i titoli per i quali i diritti all’indennizzo venivano fatti valere, ne
conseguiva l’applicazione separata del periodo di durata congrua.
III — Al rigetto del ricorso consegue la condanna delle parti ricorrenti al pagamento delle
spese liquidate come da dispositivo

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti in solido al pagamento delle spese che
liquida in euro 292,50 per compensi oltre spese turEtiat prenotate e prenotande a
debito
Così deciso in Roma il 16 gennaio 2014, nella camera di consiglio della seconda
sezione della Corte di Cassazione
Il consigliere estensore

Il Presidente

l’interesse dell’erede alla conclusione rapida della causa difficilmente è conciliabile con la

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