Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4004 del 18/02/2020

Cassazione civile sez. III, 18/02/2020, (ud. 04/11/2019, dep. 18/02/2020), n.4004

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25198-2016 proposto da:

R.C., elettivamente domiciliato in COSTANTINO MORTATI 80,

presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLA BEATO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE GIRANI;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO in persona del legale rappresentante pro

tempore e Presidente Dott. R.U., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato

LUIGI MANZI, rappresentata e difesa dall’avvocato KURT ASCHBACHER;

– controricorrente –

nonchè contro

ASSICURATORI LLOYD’S LONDRA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 205/2016 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 20/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/11/2019 dal Consigliere Dott. FIECCONI FRANCESCA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con ricorso notificato il 25 ottobre 2016 per via digitale, R.C. impugna la sentenza n. 205/2016 emessa dalla Corte d’appello di Trento, pubblicata il 20 luglio 2016, e notificatagli dalla controparte il 26 luglio 2016 via pec, deducendo tre motivi di ricorso. Le parti intimate, Provincia di Trento e la Compagnia Assicuratrice Ass. Lloyd’s di Londra, hanno resistito notificando controricorso il 3/01/2017 e il 1/12/2016.

2. La sentenza impugnata ha rigettato la domanda del ricorrente volta ad ottenere la condanna della Provincia Autonoma di Trento al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito il giorno (OMISSIS), alle ore 22:45, a causa dell’investimento di un capriolo che aveva invaso la strada statale numero 241 di Passo Costalunga, percorsa a bordo della propria moto, attraversandola da destra verso sinistra, a causa dell’impatto col quale, l’animale era stato tranciato i due pezzi, mentre egli era caduto dal veicolo finendo contro il guard raffi, provocandosi gravi lesioni, con conseguente perdita di un arto inferiore. Il giudice di secondo grado, confermando la sentenza di primo grado, respingeva la domanda sull’assunto che, ai sensi dell’art. 2043 c.c., non fosse ascrivibile un concreto comportamento colposo all’ente pubblico (Provincia Autonoma di Trento), in relazione alla detenzione della pubblica via, ritenendo irrilevante l’assenza di segnaletica in quel tratto di strada, ovvero, più in generale, non ravvisabile la violazione di un obbligo specifico di predisporre misure atte a scongiurare il sinistro (come ad esempio, un guard rail senza interruzioni, appositi segnalatori acustici, ect.), in mancanza di una situazione di concreto rischio di presenza, sul luogo dell’impatto, di un numero rilevante e incontrollato di animali selvatici. Il pubblico Ministero concludeva per l’accoglimento del ricorso con deposito di memoria. La P.A. depositava memoria. In data 23 gennaio la Corte rinviava la causa a nuovo ruolo in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite sulla questione della procedibilità del ricorso, mancando in atti l’attestazione di ricezione della notifica sulla copia analogica della sentenza notifica per valutare la tempestività del ricorso. Il ricorrente, successivamente, depositava memoria e copia della sentenza notificata con relativa attestazione di ricezione della notifica sottoscritta dal procuratore su copia analogica della sentenza, in ottemperanza a quanto statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte n. 8312/2019.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’erroneità del percorso motivazionale svolto dalla Corte d’appello nel rigettare la domanda, assumendo un’ errata e falsa applicazione delle disposizioni normative di cui all’art. 2043 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., in quanto la sentenza non terrebbe conto sia dell’obbligo di tutela della fauna assegnato alla pubblica amministrazione quale patrimonio indisponibile dello Stato, sia dell’obbligo di gestione della viabilità stradale gravante sull’ente territoriale. Assume il ricorrente che la Provincia Autonoma di Trento dovrebbe considerare le questioni attinenti alla sicurezza delle persone, anche in riferimento la circolazione stradale, così come il rischio generato dalla incontrollata presenza di ungulati nell’intero territorio provinciale.

1.1. Il motivo è inammissibile in quanto non riporta sotto quale, dei cinque motivi di nullità di cui all’art. 360 c.p.c., debba valutarsi la sentenza, limitandosi esso a svolgere generiche considerazioni riguardo alle valutazioni fatte dal giudice nel valutare le prove. La censura pertanto è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, in quanto aspecifica.

2. Con il secondo motivo, sub a), si deduce l’errore di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione alla violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., in relazione agli artt. 14,37 e 39 C.d.S.” dell’art. 84 regolamento di attuazione del CDS e in relazione alla L. provinciale 9 dicembre 1991, n. 24, artt. 5 e 28. Sostiene il ricorrente che non sia stato adeguatamente valutato che l’apposizione di un cartello di pericolo, come anche l’apposizione di altri dissuassori, (i catadiottri antiselvaggina o segnalatori acustici), o di un guard rail continuo nel tratto di strada in questione, sarebbero tutte meisure di prevenzione che, se adottate, avrebbero potuto contenere il rischio di impatto violento con animali ungulati per i veicoli circolanti, e ciò al fine di dissuadere il capriolo dall’attraversare la strada, essendosi dimostrato in passato come “presenza pericolosa” per chi percorreva quel tratto di strada, sito in una area destinata a un piano di ripopolamento della fauna selvatica montana.

2.1. Il motivo è fondato.

2.2. In proposito, si rinvengono pronunce che assumono che “la responsabilità extracontrattuale per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, anche in attuazione della L. n. 157 del 1992, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che trovino la fonte in una delega o concessione di altro ente” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 80 del 08/01/2010, Rv. 610868-01; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 21395 del 10/10/2014, Rv. 632728-01; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 18952 del 31/07/2017). In particolare, le sueddette pronunce affermano che la delega per la gestione della fauna selvatica risulta concretamente attuata in favore delle singole Province. Di conseguenza, i poteri di protezione e gestione della fauna selvatica attribuiti alle Province espongono queste ultime a una responsabilità per i danni cagionati dagli animali selvatici, atteso che l’esercizio di tali poteri è indirizzato sia alla tutela del complessivo equilibrio dell’ecosistema sia alla sicurezza dei soggetti potenzialmente esposti ai danni derivanti dagli imprevedibili comportamenti della fauna” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23151 del 17/09/2019; Cass. sez. 3 n 1579 del 23/01/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22886 del 10/11/2015, Rv. 638769-01;).

2.3. La responsabilità della P.A. in materia, in realtà, non è equiparabile a quella inerente al controllo sugli animali di cui si abbia una custodia o detenzione. La Corte di merito, nel considerare la responsabilità della P.A., si è opportunamente posta in questa diversa prospettiva, rilevando che il danno cagionato dalla fauna selvatica in circolazione non è risarcibile ex art. 2052 c.c., essendo lo stato di libertà della selvaggina incompatibile con qualsiasi obbligo di custodia a carico della P.A.. Anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 157 del 1992, la responsabilità della P.A. correlata ai comportamenti degli animali selvatici nel territorio di competenza va valutata entro la cornice del danno aquiliano, ex art. 2043 c.c., con la conseguenza che, in base all’onere probatorio stabilito da tale ultima disposizione, spetta al danneggiato provare la condotta colposa dell’ente pubblico causalmente efficiente rispetto al danno provocato dall’animale (Sez. 1, Sentenza n. 9276 del 24/04/2014; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 5722 del 27/02/2019: nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza che aveva respinto la domanda, proposta contro la regione, di risarcimento dei danni provocati dall’aggressione di un coltivatore diretto da parte di un cinghiale proveniente da una confinante oasi naturale, non potendo essere pretese la recinzione o la segnalazione generalizzata di tutti i perimetri boschivi, indipendentemente dalle loro peculiarità concrete, e non essendo stato provato che il luogo del sinistro fosse all’epoca abitualmente frequentato da animali selvatici, in un numero eccessivo di esemplari tale da costituire un vero e proprio pericolo per le proprietà vicine anche se adeguatamente protette ovvero teatro di precedenti incidenti).

2.4. Ed invero, la giurisprudenza che si è pronunciata in tale materia, muovendosi nell’ambito della fattispecie legale di cui all’art. 2043 c.c., a partire dal 2010 sino a tempi più recenti (da Cass. n. 80 del 2010 a Cass. n. 22886 del 2015, attraverso Cass. n. 4202 del 2011, n. 21395 del 2014, n. 12808 del 2015; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16642 del 09/08/2016), ha in più occasioni riconnesso l’imputazione della responsabilità agli enti pubblici territoriali, compresa la Provincia, cui dalla legislazione fossero stati concretamente affidati, nell’ambito del quadro della legislazione nazionale (L. n. 157 del 1992), concreti poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata. Tali pronunce, spesso intervenute per risolvere il profilo della legittimazione passiva tra i vari enti, anche quando contengono affermazioni generali circa la “finalizzazione” dei poteri degli enti territoriali alla sicurezza dei soggetti potenzialmente esposti ai danni derivanti dagli imprevedibili comportamenti della fauna, e quindi, non solo alla tutela del complessivo equilibrio dell’ecosistema, concernono specie in cui veniva comunque in questione la mancanza di segnaletica stradale che avvertisse gli utenti della strada della presenza di un pericolo concreto tale da mettere in rilievo la violazione di uno specifico obbligo di diligenza e prudenza (v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16642 del 09/08/2016).

2.5. In tema di responsabilità extracontrattuale, anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 157 del 1992, essendo lo stato di libertà della selvaggina incompatibile con qualsiasi obbligo di custodia a carico della P.A., pertanto, il danno cagionato dalla fauna selvatica in circolazione è risarcibile non tanto ex art. 2052 c.c., bensì in forza dell’art. 2043 c.c., con la conseguenza che, in base all’onere probatorio stabilito da tale ultima disposizione, spetta al danneggiato provare una condotta colposa dell’ente pubblico causalmente efficiente rispetto al danno (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 5722 del 27/02/2019). Conseguentemente, la pretesa di far discendere l’obbligo di predisporre dispositivi specifici, mirati ad avvisare del pericolo, ovvero a scoraggiare o a impedire l’attraversamento di animali selvatici a tutela degli utenti della strada, non potendo direttamente derivare dalla finalità di protezione delle specie animali e dall’attribuzione dei relativi poteri agli enti territoriali (nella specie la Provincia), non può che trovare fondamento in specifiche norme che impongono alla P.A., ad esempio in materia di circolazione sulla rete viaria, di adottare misure preventive a tutela di chi si trovi ad attraversare tali territori in una situazione di concreto pericolo. Altrimenti, dalla finalità generale della legislazione si farebbero discendere obblighi specifici, ai fini della valutazione della condotta negligente rilevante ai sensi dell’art. 2043 c.c., che andrebbero ben oltre la generica prudenza e diligenza richiesta in relazione al caso concreto (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 7080 del 28/03/2006; Sez. 3, Sentenza n. 16642 del 09/08/2016; Sez. 1, Sentenza n. 9276 del 24/04/2014; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 5722 del 27/02/2019).

2.6. Ragionando di questa stregua, ai fini dell’affermazione della responsabilità gravante sulla P.A., occorre quindi valutare se, nel caso specifico, vi sia stata violazione di un precetto che, in riferimento al caso di specie, imponeva alla p.a. di tenere una condotta di cautela e di salvaguardia dei fruitori della strada, certamente non correlata all’obbligo generale di protezione e gestione della fauna, ma alla situazione di rischio di attraversamento della fauna in concreto sussistente in quel territorio.

2.7. Sotto il profilo della condotta diligente che la P.A. è tenuta ad osservare rileva che, a tenore della norma di cui all’art. 84, comma 2, Reg. Codice della Strada, il segnale di pericolo deve essere installato “quando esiste una reale situazione di pericolo sulla strada, non percepibile con tempestività da un conducente che osservi le normali regole di prudenza”. In tale contesto, ove la pubblica amministrazione deve orientare la propria condotta a fini generai-preventivi e sulla base di un principio di precauzione, il pericolo deve essere considerato al fine di generare un obbligo della p.a. di attivarsi a comprimerlo, con valutazione ex ante, trattandosi di una norma che orienta l’attività della p.a. in relazione alla situazione di rischio prospettabile nell’area in questione. L’obbligo insorge, dunque, quando vi sia pericolo concreto da comprimere (cfr. Cass. 16642/2016 cit.).

2.8. Nella fattispecie in considerazione, invece, in sede di applicazione delle norme riferite alla prevenzione dei rischi sulle pubbliche vie, adibite alla circolazione di veicoli su strada, i giudici di appello non hanno considerato che, anche tenuto conto del principio di precauzione che deve orientare la condotta della P.A. ai fini generai-preventivi, il campo del sinistro dovesse essere considerato una zona di pericolo di attraversamento di animali selvatici, non essendo dirimente che gli incidenti in precedenza fossero occorsi a soli duecento metri di distanza, ma che comunque nell’area fossero presenti e avessero dimostrato tale attitudine: infatti, essendo gli incidenti collegati all’attraversamento di animali selvatici, rilevava esclusivamente che quella zona, non più ampia di 1 kmq, era complessivamente frequentata da quel tipo di fauna di per sè mobile sul territorio, avente già dimostrato, peraltro, l’attitudine a invadere la corsia stradale, come confermato dalle due segnalazioni del 2012, (p. 33 della sentenza), sì da costituire un pericolo per gli utenti della strada – (cfr. Cass. 7080 del 2006- richiamata da Cass. n. 1579/2018, sopra citata, che valorizza la circostanza che il luogo del sinistro fosse abitualmente frequentato da animali selvatici, ovvero fosse stato teatro di precedenti incidenti tali da allertare le autorità preposte). Nel caso concreto, pertanto, assume particolare rilievo la inosservanza, da parte della Provincia, dell’obbligo di predisporre una segnaletica stradale adeguata in un’area frequentata dalla fauna selvatica avente l’attitudine ad attraversarla, e dunque costituente un concreto pericolo per gli utenti della strada, da valutarsi ex art. 84, Reg. Cod. Strada, comma 2, secondo il generale principio di precauzione che deve guidare l’attività della pubblica amministrazione.

2.9. Del pari, del tutto contraria all’elaborazione giurisprudenziale formatasi in tema di ricostruzione del rapporto di causalità, è l’affermazione per cui, in base a un giudizio controfattuale, la segnalazione di pericolo, ove posta, non avrebbe reso impossibile l’evento, tenuto conto che ciò che va valutato, secondo la regola del più probabile che non, è sia l’impatto fra animale e veicolo a causa della violazione di un obbligo di segnalazione del pericolo da parte della P.A., sia anche, se non soprattutto, le conseguenze dello stesso, nel caso di specie particolarmente gravi, che, ovviamente, dipendono, dalla velocità osservata dal conducente della motocicletta, verosimilmente limitata in caso di segnalazione di pericolo. In tema di illecito civile, la ricostruzione del nesso di derivazione eziologica esistente tra la condotta del danneggiante e l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria implica la scomposizione del giudizio causale in due autonomi e consecutivi segmenti: il primo è volto ad identificare il nesso di causalità materiale o “di fatto” che lega la condotta all’evento di danno; il secondo è, invece, diretto ad accertare, secondo la regola dell’art. 1223 c.c., (richiamato dall’art. 2056 c.c.), il nesso di causalità giuridica che lega tale evento alle conseguenze dannose risarcibili (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 22857 del 13/09/2019 (Rv. 655090 – 01); Cass. sez. I -, sentenza n. 47 del 03/01/2017; Cass. n. 16123 del 2010; Cass. Sezioni Unite, n. 576 del 2008).

2.10. Quanto sopra osservato comporta l’assorbimento delle ulteriori censure del ricorrente.

2.11. La controricorrente Lloyds, infine, deduce, l’inammissibilità della manleva esercita dalla P.A. per mancata proposizione dell’appello incidentale condizionato all’accoglimento dell’appello (Cass. 15107/2013). La censura, per quanto inammissibile, in quanto non proposta in forma di ricorso incidentale, in ogni caso contrasta con quanto statuito da Sez. U, Sentenza n. 7700 del 19/04/2016 (Rv. 639281 – 01), ove è stato sancito che, in caso di rigetto della domanda principale e conseguente omessa pronuncia sulla domanda di garanzia condizionata all’accoglimento, la devoluzione di quest’ultima al giudice investito dell’appello sulla domanda principale non richiede la proposizione di appello incidentale, essendo sufficiente la riproposizione della domanda ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

3. Conclusivamente, il ricorso va accolto, per quanto di ragione, con cassazione della sentenza, e conseguente rinvio alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione, anche per le spese.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Trento, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della terza sezione, il 4 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2020

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