Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4000 del 19/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4000 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: PROTO CESARE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 4773-2008 proposto da:
GNAGNARELLA FELICE GNGFLC44A30L363Z, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE GORIZIA 14, presso lo
studio dell’avvocato SABATINI FRANCO, che lo
rappresenta e difende;
– ricorrente contro

2014
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MONTAINI

LEILA

MNTLLE34C42A3900,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA RENATO FUCINI 238, presso lo
studio dell’avvocato CUTULI GUIDO, che la rappresenta
e difende unitamente all’avvocato CACIOLI ALESSANDRA;

Data pubblicazione: 19/02/2014

- controricorrente nonchè contro
MONTAINI LUIGI, MONTAINI IRIDE, MONTAINI ANTONIO;

intimati

avverso la sentenza n. 612/2007 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. CESARE
ANTONIO PROTO;
udito l’Avvocato GIAMPIERO DINACCI,

con delega

dell’Avvocato FRANCO SABATINI difensore del ricorrente
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso, in subordine per il
rigetto.

di L’AQUILA, depositata il 21/08/2007;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel 1993 i sigg. Montaini chiedevano al Procuratore
della Repubblica di Pescara il dissequestro e la
restituzione di una tela del ‘700 raffigurante Madonna
con Bambino e adorazione dei Magi attribuita al

sequestro penale, asserendo di avere subito un furto
nella loro abitazione il 22/8/1988 e che la tela era
uno dei beni trafugati.
A seguito della domanda di restituzione dello stesso
bene formulata anche da Felice Gnagnarella che assumeva
di esserne proprietario per acquisto fattore da Luciani
Ranier, il Giudice delle Indagini preliminari, ritenuto
che il conflitto tra i due richiedenti introducesse una
controversia sulla proprietà, rimetteva le parti, ai
sensi dell’art. 263 c.p.p. al giudice civile, peraltro
mantenendo il sequestro e affidando la temporanea
custodia a Iride Montaini.
Con citazione del 17/9/1994 Leila, Antonio, Luigi e
Iride Montaini esponendo quanto sopra,convenivano in
giudizio Felice Gnagnarella, chiedevano, nei suoi
confronti, l’accertamento della proprietà della tela e
la restituzione, previo dissequestro.

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pittore Marco Marcola detto Veronese e sottoposta a

Il convenuto si

costituiva deducendo di

avere

acquistato il quadro in buona fede, essendo
inconsapevole della provenienza furtiva, chiedeva il
rigetto della domanda attrice e, in riconvenzionale, la
restituzione del bene.

dopo l’acquisizione di documentazione relativa anche al
procedimento penale instaurato nei confronti del
c(31117nuLei por rìuettaziúne e incauto acquisto (grondn
quanto si legge nella sentenza di appello) dichiarava
gli attori proprietari del quadro e condannava il
convenuto alla riconsegna.
Gnagnarella proponeva appello al quale resistevano i
Montaini ad eccezione di Antonio che rimaneva
contumace.
All’udienza di precisazione delle conclusioni in
appello Gnagnarella produceva un verbale di sequestro
in base al quale, a suo dire, sarebbe risultato che il
quadro in contestazione sarebbe stato sottratto a
soggetti diversi dagli attori; secondo quanto si
apprende dal ricorso per cassazione il verbale di
sequestro farebbe riferimento ad un quadro a olio su
tela del ‘700, raffigurante dama con tazzina nella mano
sinistra compendio di furto perpetrato il 20/5/1988

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Con sentenza del 20/3/2003 il Tribunale di Pescara,

nell’abitazione del notaio Spagnoli e altro olio su
tela, del ‘700, raffigurante natività di Gesù (senza
AbAu
riferimento all’adorazione dei Magi, costituente ijuno
dei temi del quadro oggetto di causa), compendio di
furto perpetrato il 20/5/1988 nel palazzo vescovile di

La Corte di Appello di L’Aquila con sentenza del
21/8/2007 rigettava l’appello rilevando:
– che l’eccezione di difetto di legittimazione attiva
degli attori, sollevata dal convenuto appellante solo
con

la

comparsa

conclusionale

di

appello,

era

inammissibile per tardività non potendo essere ampliato
con la conclusionale, neppure per le cause di “vecchio
rito”, il thema decidendum;
– che, nel merito, il furto della tela, subito dagli
attori non poteva essere messo in discussione in quanto
il giudice di primo grado lo aveva ritenuto provato con
la documentazione in atti, mai contestata e su tale
accertamento l’appellante non aveva formulato un motivo
di gravame;
– che i motivi di appello riguardanti la buona fede del
convenuto al momento dell’acquisto del quadro e la sua
prova non potevano essere accolti perché, pur dovendosi
riconoscere che la buona fede del possessore doveva

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Montefiascone.

presumersi, nella fattispecie l’ignoranza di ledere
l’altrui diritto dipendeva da colpa grave ravvisabile
in plurime circostanze complessivamente considerate,
quali la mancata richiesta di un certificato di
garanzia, la mancata richiesta di informazioni sulla

di opere d’arte con Ranier, suo dante causa, benché
questi non fosse un mercante d’arte e fosse, invece,
pluricondannato per ricettazione; avendo escluso un
possesso di buona fede, la Corte di Appello riteneva
superfluo accertare se il convenuto avesse o meno
acquistato in base ad un titolo idoneo.
Gnagnarella Felice ha proposto ricorso affidato a sette
motivi e ha depositato memoria.
Resistono con controricorso Leila, Luigi e Iride
Montaini, mentre Antonio Montaini è rimasto intimato.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità
della sentenza per violazione e falsa applicazione
dell’art. 132 u.c. c.p.c. in relazione all’art. 161
c.p.c. perché la sentenza non è stata sottoscritta dal
magistrato relatore collocato a riposo dopo la
deliberazione della sentenza, come attestato dallo
stesso Presidente sottoscrivendo la sentenza e in tal

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provenienza, la pluralità di rapporti di compravendita

senso formula il quesito ex art. 366 bis c.p.c. ora
abrogato, ma applicabile ratione temporis.
1.1 I motivo è infondato.
Come costantemente affermato da questa Corte negli
ultimi dieci anni, in caso di collocamento in pensione,

trasferimento ad altra sede o ad altro incarico) in cui
il magistrato abbia cessato di fare parte dell’ordine
giudiziario, la sottoscrizione della sentenza da parte
del medesimo – pur non sussistendo un impedimento
assoluto alla sua materiale apposizione non è
coercibile, e ben può essere rifiutata senza che egli
ne debba rispondere penalmente o disciplinarmente. Non
può riconoscersi natura eccezionale alla norma di cui
all’art. 132, ultimo coma, c.p.c. (che consente la
sottoscrizione del componente più anziano in caso di
impedimento del Presidente o del solo Presidente in
caso di impedimento dell’estensore) e pertanto
consentita l’applicazione analogica ed estensiva
dell’ipotesi di “altro impedimento” ivi contemplata, la
quale deve considerarsi integrata anche dal
collocamento a riposo del magistrato. Ne consegue che,
ove l’estensore venga successivamente a cessare dal
servizio e per qualsiasi motivo, non nulla la

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dimissioni, o comunque in tutte le ipotesi (diverse dal

sentenza sottoscritta dal solo Presidente del collegio
giudicante (con l’annotazione di avere sottoscritto in
vece del presidente “impedito”), attesa la chiara
enunciazione della norma:

“se l’estensore non può

sottoscrivere la sentenza per morte o altro impedimento

purché prima della sottoscrizione sia menzionato
l’impedimento”.
Nella

fattispecie

l’impedimento è

stato appunto

menzionato dal Presidente prima della sottoscrizione.
Non è necessario indicare la causa dell’impedimento
(peraltro nella specie indicata), essendo sufficiente
che ne sia attestata l’esistenza, perché l’attestazione
non è censurabile non risultando al riguardo prevista
alcuna possibilità di impugnazione (cfr. Cass.
16/6/2003 n. 9616; Cass. 9/2/2005 n. 2645; Cass.
19/3/2012 n. 4326 Ord.).
In questi termini si risponde al quesito.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e
delle norme in materia di distinzione tra eccezione e
difesa.
Il ricorrente sostiene:

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è sufficiente la sottoscrizione del solo Presidente,

-

di avere depositato in appello un verbale di

sequestro a carico del ricorrente nel quale si dava
atto del sequestro di un quadro a olio su tela del
‘700,

raffigurante dama con tazzina nella mano

sinistra

compendio di furto perpetrato il 20/5/1988

tela, del ‘700, raffigurante natività di Gesù,
compendio di furto perpetrato il 20/5/1988 nel palazzo
vescovile di Montefiascone;
– che, a suo dire, in base alle risultanze del verbale
doveva escludersi che il quadro in contestazione fosse
di proprietà degli attori e ad essi

sottratto il

22/9/1988 perché le date dei furti e le parti offese
non coincidevano;
– che il verbale di sequestro era inteso semplicemente
a negare il fatto costitutivo della domanda

e la

relativa deduzione non poteva essere qualificata come
una eccezione, essendo invece una mera difesa.
Il ricorrente, formulando il quesito di diritto, chiede
se in caso di domanda di accertamento della proprietà
di un quadro di cui gli attori si assumono spogliati a
seguito di furto, l’illustrazione, nella comparsa
conclusionale,

della

portata

di

un

documento

ritualmente prodotto che attesta come il medesimo

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nell’abitazione del notaio Spagnoli e altro olio su

quadro era estraneo a quel furto, in tal guisa
negandosi la titolarità del rapporto proprietario, si
risolva nell’introduzione di una eccezione in senso
stretto o nell’espletamento di una attività difensiva.
2.1 Il motivo è infondato.

ius novorum in appello si riferisce

alle domande, alle eccezioni e alle prove (art. 345
c.p.c.) e non già indiscriminatamente alle mere difese
comunque svolte dalle parti per resistere alle pretese
o alle eccezioni di controparte, potendo i fatti su cui
esse si basano e che risultano dalle acquisizioni
processuali essere rilevati d’ufficio dal giudice alla
stregua delle eccezioni “in senso lato” o “improprie”
(cfr. fra le tante, Cass. nn. 11015/11, 11774/07 e
18096/05).
Tuttavia la contestazione della legittimazione attiva
si compendia nell’affermazione che gli attori non erano
stati derubati di quel quadro e non ne potevano
chiedere la restituzione perché quel quadro era stato
rubato ad altri ed in tempi diversi.
La contestazione del ricorrente assume il connotato di
eccezione di merito in quanto riguarda l’accertamento
in concreto se gli attori fossero effettivamente
titolare del rapporto dedotto in giudizio e, quindi,

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Il divieto dello

attiene alla titolarità della situazione giuridica
sostanziale perché viene disconosciuto, nella sostanza,
il presupposto fattuale della domanda attorea (ossia il
diritto alla restituzione del bene in quanto era stato
rubato agli attori che se ne dichiaravano proprietari)

contestato con il gravame.
In quanto tale, l’eccezione non è rilevabile d’ufficio
e deve essere tempestivamente formulata dalla parte
(tra

le

tante:

Cass.

18/11/2005 n.

24457;

Cass.

10/5/2010 n. 11284; Cass. 27/6/2011 n. 14177) e
correttamente il giudice di appello né ha rilevato
l’inammissibilità, anche nel processo di “vecchio rito”
in quanto formulata solo con la comparsa conclusionale
di appello.
3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in
relazione all’art. 324 c.p.c.
Il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha
ritenuto formatosi un giudicato interno sulla
circostanza del patito furto denunciato dagli attori,
tenuto conto che nella sentenza di primo grado la
motivazione che faceva riferimento ai documenti già in
atti era utilizzata non per risolvere la questione

Il

ma l’accertamento del patito furto non era stato

della legittimazione attiva, ma per giustificare la
mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti
dall’attore (CTU e prova per testi).
Il ricorrente, formulando il quesito, chiede se sia
suscettibile di passare in giudicato l’accertamento di

affermare la superfluità della prova testimoniale.
3.1 Il motivo è infondato.
Il giudicato interno per mancata censura specifica
della sentenza impugnata si forma sui capi e sulle
parti di questa che siano stati oggetto di decisione
espressa ovvero implicita. Per verificare se una data
questione sia stata decisa implicitamente è necessaria
un’operazione logica di tipo condizionale, nel senso
che, rimossa la decisione implicita presupposta, il
decisum espresso perderebbe, ceteris paribus, le
proprie basi fattuali e giuridiche di riferimento.
La nozione di “parte della sentenza”, alla quale fa
riferimento l’art. 329 cpv. c.p.c., dettato in tema di
acquiescenza implicita e cui si ricollega la formazione
del giudicato interno, identifica non già qualsivoglia
affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, che
non sia stata espressamente o implicitamente investita
da una censura specifica, bensì soltanto le statuizioni

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un fatto storico compiuto dal giudice al fine di

minime suscettibili di acquisire autonoma efficacia
decisoria nell’ambito della controversia.
La proprietà del bene così come il patito furto
risultante da documenti, non erano mai stati
contestati, ma la causa era nata per dirimere il

invece rivendicava un acquisto a titolo originario
fondato sulla sua buona fede.
Il giudice di primo grado aveva ritenuto provato il
furto subito dall’originario proprietario di quel bene
sulla base degli elementi documentali raccolti e aveva
ritenuto che proprio quel quadro era stato oggetto di
furto e per questi motivi aveva condannato il
convenuto, che aveva acquistato con colpa grave, alla
restituzione; tale accertamento implicava il
riconoscimento del diritto degli attori a richiedere la
restituzione del bene all’acquirente a non domino che
non poteva giovarsi della buona fede; nell’atto di
appello il convenuto non aveva contestato il diritto
che scaturiva dall’accertamento del patito furto del
bene di proprietà (e proprio di quello oggetto della
controversia), ma aveva continuato a sostenere di
essere proprietario per l’acquisto a titolo originario,
avendo acquistato in buona fede.

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conflitto tra l’originario proprietario e colui che

Per contro il decisum del primo grado comprendeva, due
statuizioni, quella relativa alla proprietà originaria
degli attori e al patito furto e quella relativa
all’insussistenza di un acquisto a titolo originario
da parte del Gnagnarella che aveva acquistato a non

colpa grave: solo quest’ultima statuizione è stata
appellata e non la prima.
4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in
relazione agli artt. 324 e 329 coma II c.c., sempre in
ordine al giudicato sul furto del quadro e sulla
relativa proprietà e sostiene, formulando il relativo
quesito, che siccome gli attori avevano proposto
domanda di accertamento della proprietà e di condanna
alla restituzione del bene, l’impugnazione concernente
la restituzione, si estendeva anche al capo concernente
la proprietà.
4.1 Il motivo è infondato perché con l’impugnazione
l’appellante contestava il diritto degli attori alla
restituzione non già perché non fossero gli originari
proprietari del bene o perché non ne fossero stati
derubati, ma perché il bene era stato acquistato in
buona fede e quindi faceva valere un acquisto a titolo

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domino e non poteva giovarsi della buona fede perché in

originario fondato su una fattispecie acquisitiva
rispetto alla quale l’altrui proprietà non assumeva
rilevanza alcuna.
5. Con il quinto motivo il ricorrente, formulando il
relativo quesito,

deduce

la violazione e

falsa

Appello avrebbe ritenuto che era prassi chiedere un
certificato di garanzia

per un quadro d’epoca e

informarsi sulla provenienza dell’opera, mentre tale
prassi non poteva essere ritenuta applicabile nel caso
di specie, nel quale, il quadro era d’epoca, ma non era
indicato, dal venditore, l’autore ed era richiesto un
prezzo (lire 3.900.000) che escludeva trattarsi di un
capolavoro o comunque, di un’opera significativa.
6. Con il sesto motivo il ricorrente, formulando il
relativo quesito, deduce la violazione dell’art. 115
comma II c.p.c. sostenendo che le prassi seguite nelle
negoziazioni dei quadri d’epoca non possono ritenersi
acquisite alla cultura media e pertanto ascrivibili al
notorio.
7. Con il settimo motivo il ricorrente deduce il vizio
di motivazione in quanto la Corte di Appello avrebbe
ritenuto non contestato dal convenuto che il Ranier,
dal

quale

aveva

acquistato

15

il

quadro,

fosse

applicazione dell’art. 115 c.p.c. perché la Corte di

pluricondannato per ricettazione, mentre la circostanza
era contestata in primo grado quando, con la memoria
del 28/12/2001 il convenuto, nell’opporsi al capitolo
di prova che concerneva le condanne per ricettazione
del suo alienante, dichiarava che, all’epoca

con la giustizia.
8. Il quinto il sesto e il settimo motivo devono essere
esaminati congiuntamente in quanto tutti relativi alla
motivazione e ai criteri di valutazione delle condotte
del convenuto, con i quali la Corte di Appello ha
ritenuto provata la colpa grave del convenuto, idonea
ad escludere che la buona fede potesse giovargli ai
fini dell’acquisto a non domino.
8.1 La motivazione della Corte di appello tiene conto
di una pluralità di elementi indiziari indicativi della
colpa grave e che devono essere esaminati, quanto alla
loro rilevanza, unitariamente e non separatamente come
già giustamente rilevato dai giudice del merito.
La Corte di Appello ha rilevato che il Ranier (il
venditore) non era un mercante d’arte e che Gnagnarella
ha acquistato il quadro d’epoca da questo soggetto
senza informarsi sulla sua provenienza e senza un
certificato di garanzia.

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dell’acquisto il Lucani non aveva mai avuto a che fare

Orbene, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente,
queste

verifiche

dovevano

apparire

assolutamente

normali anche e proprio ad un soggetto che si dichiara
di media cultura, nell’ambito di un acquisto di una
rilevanza economica significativa (lire 3.900.000 tra

relativo ad un quadro d’epoca.
Pur in presenza di tali circostanze l’acquirente ha
omesso di svolgere le indagini dettate da una anche
minima diligenza e pertanto non può giovarsi della
buona fede.
Il quadro indiziario, già di per sé rilevante, è stato
poi integrato dall’osservazione relativa alle condanne
per ricettazione che, contrariamente a quanto si
sostiene nel ricorso, non risulta espressamente
riferita all’esistenza delle condanne al momento
dell’acquisto, ma alla circostanza che con il Ranier,
il quale aveva riportato plurime condanne per
ricettazione (circostanza non contestata) Gnagnarella
intratteneva vari rapporti di compravendita di opere
d’arte; peraltro nell’ambito del complessivo quadro
indiziario, come correttamente ricostruito e valutato
dai giudici del merito, quest’ultima considerazione

17

la fine degli anni 80 e i primi anni 90) e per giunta

appare addirittura superflua e non condizionante il
giudizio.
9. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con
la condanna del ricorrente, in quanto soccombente, al
pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna Gnagnarella
Felice a pagare ai controricorrenti Leila, Luigi e
Iride Montaini le spese di questo giudizio di
cassazione che liquida in euro 3.500,00 per compensi
oltre euro 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, addì 9/1/2014.

liquidate come in dispositivo.

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