Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4000 del 15/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 15/02/2017, (ud. 03/11/2016, dep.15/02/2017),  n. 4000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23899/2011 proposto da:

D.V., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO BETTI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA CARIGE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO BERTOLONI 44, presso lo studio dell’avvocato MATTIA

PERSIANI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

CAMILLO PAROLETTI, ANDREA PAROLETTI, giusta procura speciale per

Notaio;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 294/2011 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 07/04/2011 R.G.N. 993/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/11/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPCSITO;

udito l’Avvocato BETTI STEFANO;

udito l’Avvocato PERSIANI MATTIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’appello di Genova confermò la decisione del giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda avanzata da D.V. nei confronti di Banca Carige s.p.a., volta all’accertamento della invalidità delle dimissioni dallo stesso rassegnate, nonchè della illegittimità dell’interruzione del rapporto di lavoro a far data dal 2 dicembre 2006, con condanna della Banca alla immissione nel posto di lavoro e alla corresponsione delle retribuzioni non percepite.

2. La Corte escluse che le dimissioni fossero state determinate da errore essenziale o viziate per violenza morale (specificamente il ricorrente aveva prospettato che, avendo fruito di due anni di aspettativa per gravi ragioni familiari, alla richiesta del terzo anno di aspettativa ai sensi del CCNL di categoria si era visto contestare la possibilità di cumulo e prospettare, quale alternativa al rigetto dell’istanza, le dimissioni con efficacia differita). Ritenne, altresì, che la revoca delle dimissioni fosse inidonea alla loro perdita di efficacia giuridica. Reputò prospettazione nuova, introdotta tardivamente in appello, quella attinente alla sussistenza di un abuso del diritto nella condotta tenuta dalla banca.

3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il D. sulla base di quattro motivi. La società resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 49 C.C.N.L. 12 febbraio 2005, della L. 8 marzo 2000, n. 53, art. 4 e dell’art. 1429 c.c., comma 4. Rileva che erroneamente i giudici d’appello hanno ritenuto che la citata norma contrattuale preveda non il diritto soggettivo perfetto del lavoratore ad ottenere un anno di aspettativa in aggiunta ai due previsti dalla L. n. 53 del 2000, ma, piuttosto, un diritto condizionato alla valutazione riservata al datore di lavoro. Rileva che l’interpretazione corretta della norma collettiva sarebbe stata quella di considerare l’anno previsto come un diritto soggettivo aggiuntivo, cioè cumulabile con i due anni di aspettativa previsti dalla legge. Osserva che dall’erronea interpretazione datoriale era derivato l’errore determinante in cui era caduto il ricorrente circa il proprio diritto a ottenere un ulteriore anno di aspettativa non retribuita dopo aver già fruito in precedenza di altri due anni.

1.2. Il motivo è privo di fondamento, poichè si rivela corretta l’interpretazione della norma contrattuale cui accede la Corte territoriale, confortata dal dato testuale costituito dal richiamo all’espressa menzione della compatibilità della concessione dell’aspettativa con le esigenze di servizio, elemento cui fa pure riferimento la circolare ABI invocata dal ricorrente. Tale richiamo esclude inequivocabilmente che al diritto all’ulteriore anno di aspettativa possa essere attribuita la natura di diritto soggettivo perfetto.

2. Con il secondo motivo deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e inadeguata motivazione su punto decisivo della controversia sulla non impressionabilità del D.B. e, ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione di norme processuali ex artt. 420 e 421 c.p.c. e per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1435 c.c. e artt. 1175 e 1475 c.c.. Rileva che la Corte d’appello, con motivazione illogica, insufficiente e del tutto incoerente, non ha pregiudizialmente ammesso le prove orali, statuendo, in modo del tutto labile, che il D. non era impressionabile in ragione dell’età, dei livello culturale e della posizione sociale. In tal modo non aveva considerato, omettendo qualsiasi motivazione sul punto, che la violenza morale esercitabile dal datore di lavoro poteva agire anche come concausa.

2.2. Anche la predetta censura è priva di fondamento. Quanto al profilo di doglianza attinente al vizio di motivazione, si evidenzia che non è ravvisabile insufficienza, illogicità o contraddittorietà motivazionale nelle argomentazioni della Corte, le quali individuano in maniera congrua e logica nel ricorrente i caratteri propri di una personalità non influenzabile sulla scorta di plurimi fattori. Per quanto riguarda, invece, il profilo attinente alla violazione di legge, si evidenzia che la Corte territoriale dà conto delle ragioni in forza delle quali ha ritenuto superfluo accedere all’istruttoria officiosa nei termini richiesti dal ricorrente in appello, rilevando che la circostanza (oggetto della richiesta istruttoria) che nel corso del colloquio con il Dott. Do. la Banca avesse effettivamente condizionato l’accoglimento della domanda di aspettativa alla presentazione delle dimissioni non consentiva di ravvisare i presupposti della violenza morale, in ragione delle condizioni del soggetto e della possibilità da parte sua di consigliarsi con i propri legali. Ne consegue che il diniego dell’esercizio dei poteri istruttori officiosi risulta conforme ai criteri enunciati da questa Corte di legittimità (si veda per tutte Cass. n. 12717 del 25/05/2010, Rv. 613111 – 01: “Nel rito del lavoro, l’esercizio di poteri istruttori d’ufficio, nell’ambito del contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità, involge un giudizio di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale, che può essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto come vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora la sentenza di merito non adduca un’adeguata spiegazione per disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione”).

3.Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, nullità della decisione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (ex artt. 112 o 113 c.p.c.) per non corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ed ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente e inadeguata motivazione su punto decisivo della controversia: dimissioni soggette a condizione sospensiva non verificatasi. Assume che la sentenza è erronea poichè non ha correttamente inquadrato la censura mossa con l’appello e su di essa non si è pronunciata. Osserva che non si trattava di dare valenza alla revoca delle dimissioni, ma di valutare se le stesse fossero state condizionate sospensivamente e, conseguentemente, se fosse mancato l’avveramento della condizione.

3. Il motivo è infondato. La doglianza, prospettata in termini di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avrebbe richiesto l’allegazione, accompagnata da produzione documentale, della proposizione della domanda nei termini indicati sin negli atti del giudizio di primo grado (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10605 del 30/04/2010, Rv. 612776). Di tali atti difetta la produzione, nè degli stessi è specificata la collocazione nel fascicolo processuale mediante puntuale indicazione della loro ubicazione, talchè non può evincersi l’esatta prospettazione dei termini della domanda.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, nullità della decisione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (ex artt. 112 o 113 c.p.c.) per errata qualificazione della domanda ed ex artt. 350 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente e inadeguata motivazione su punto decisivo della controversia. Rileva che la Corte territoriale ha ritenuto nuova, introdotta nel secondo grado di giudizio, e, pertanto, non esaminabile, la prospettazione relativa all’ipotizzata esistenza di un abuso del diritto nella condotta tenuta da Banca Carige s.p.a. Rileva che la situazione di abuso del diritto denunciata in appello emerge dal medesimo contesto e prospettazione dei fatti del ricorso di primo grado e dalle conclusioni in quella sede formulate.

4.2. L’infondatezza del motivo discende da quanto argomentato sub 3.2. Va rilevato, inoltre, che nella specie le allegazioni di parte, per la loro genericità e in mancanza di integrale produzione dell’originario ricorso di primo grado, non sono rispettose delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, sì da consentire di verificare contenuto e limiti della domanda azionata. Quanto al prospettato vizio motivazionale, si evidenzia che la censura non è conforme alla formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo vigente ratione temporis (D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), difettando l’indicazione del “fatto controverso e decisivo per il giudizio” in relazione al quale sarebbe riscontrabile l’omissione, l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione.

5. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.600,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2017

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