Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 400 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. III, 11/01/2017, (ud. 21/07/2016, dep.11/01/2017),  n. 400

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2069/2014 proposto da:

C.M.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DELLE ROBINIE 84, presso lo studio dell’avvocato BRUNO BOTTA,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA CAMPANA,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

REPUBBLICA ITALIANA, in persona del Presidente del Consiglio p.t.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2273/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 31/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/07/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato MASSIMILIANO SCARINGELLA per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso (Cass. sent. n. 17066/16).

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. Il Dott. C.M.M. ha proposto ricorso per Cassazione, contro la Repubblica Italiana, in persona del Presidente del Consiglio, avverso la sentenza n. 2273 del 21 maggio 2013, con cui la Corte d’Appello di Milano provvedeva sull’appello dal medesimo proposto avverso la sentenza n. 11591/2009 con cui il Tribunale di Milano aveva rigettato per intervenuta prescrizione quinquennale del diritto la domanda, da lui proposta con atto di citazione notificato in data 12 dicembre 2006, intesa ad ottenere il risarcimento del danno per l’inadempimento dello Stato Italiano all’obbligo di recepimento delle Direttive CEE n. 75/362, 75/363 e 82/76, le quali avevano resa obbligatoria per tutti gli Stati membri la previsione di adeguata remunerazione per i partecipanti ai corsi di specializzazione medica.

p.2. La Corte territoriale ha rigettato l’appello e confermato la sentenza del giudice di prime cure, ritenendo fondata l’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dall’Amministrazione convenuta. In particolare, la Corte d’Appello ha ritenuto applicabile la L. n. 183 del 2012, art. 4, comma 43, con conseguente soggezione del diritto al risarcimento del danno azionato dai medici iscritti a corsi di specializzazione ante 1991/1992 al termine di prescrizione quinquennale, con decorrenza a partire dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991.

p.3. Il ricorso del C. contro la sentenza d’appello è affidato a due motivi.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha resistito con controricorso ed ha anche depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 “violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2011, art. 4, comma 43”.

Vi si contesta l’impugnata sentenza per aver ritenuto applicabile al caso di specie la L. n. 183 del 2012, art. 4, comma 43, senza considerare che la predetta norma di legge sarebbe idonea a disporre esclusivamente per il futuro. In particolare, la Corte d’Appello avrebbe disatteso i principi statuiti dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 4575/2012, con cui era stata chiarita l’assenza nella formula legislativa in questione di alcuna espressione che potesse far pensare ad una volontà legislativa di far retroagire la norma.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la falsa applicazione dell’art. 2947 c.c., dolendosi di come la Corte d’Appello, in conseguenza dell’erronea applicazione della L. n. 183 del 2012, art. 4, avrebbe altrettanto erroneamente sussunto il diritto fatto valere dall’appellante sotto il disposto dell’art. 2947 c.c., ritenendo applicabile il termine di prescrizione quinquennale con decorrenza dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991.

p.2. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto volti a sollevare censure fra loro intimamente connesse, sono fondati e meritano di essere accolti.

Deve invero osservarsi che la giurisprudenza di questa Corte si è ormai consolidata, a partire dalle sentenze gemelle nn. 10813, 10814, 10815 e 10816 del 2011, ed ancor prima dalla sentenza delle S.U. n. 9147/2009, nel senso per cui, posto che la responsabilità dello Stato per tardiva trasposizione della direttiva concernente l’adeguata rimunerazione dei medici specializzandi è di carattere contrattuale in quanto attinente all’adempimento di una obbligazione ex lege di natura indennitaria, la relativa pretesa deve ritenersi assoggettata al termine ordinario di prescrizione decennale. Quanto alla decorrenza del predetto termine prescrizionale, si è affermato il seguente principio di diritto: “A seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 – è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991. La lacuna è stata parzialmente colmata con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa europea. Nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11”.

Tale principio è stato poi costantemente ribadito da numerosissime successive pronunce, fra cui, da ultimo, le sentenze nn. 1064, 1143, 2688, 2785, 2786, 2787,2788, 3439, 3440 del 2014, nn. 11220, 11221, 11034, 10612, 20287, 21654 del 2015, nn. 3653, 12346 del 2016.

p.3. La giurisprudenza di questa Corte si è inoltre fatta carico del problema discendente dalla sopravvenienza normativa verificatasi per effetto dell’entrata in vigore della L. n. 183 del 2012, art. 4, comma 43, generalmente invocato dalle difese erariali, con cui è stato disposto che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato. Sul punto, Cass. n. 1917/2012, immediatamente confermata da Cass. n. 21270/2012, ha chiarito che in riferimento alla pretesa azionata dai medici che abbiano frequentato corsi di specializzazione nel periodo di in attuazione delle direttive comunitarie, nessuna influenza può avere la sopravvenuta disposizione di cui alla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 43, trattandosi di norma che, in difetto di espressa previsione, non può che spiegare la sua efficacia rispetto a fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore.

Il diritto al risarcimento del danno subito dai medici che abbiano seguito i corsi di specializzazione medica iniziati dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991, a causa della mancata trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive concernenti l’organizzazione di corsi di specializzazione medica, derivando dall’inadempimento di un’obbligazione ex lege di natura contrattuale, soggiace pertanto alla prescrizione decennale decorrente dal 27 ottobre 1999, mentre risulta inapplicabile, in quanto destinato a operare esclusivamente per il futuro, la L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 43, che assoggetta alla prescrizione quinquennale il diritto al risarcimento del danno da mancato recepimento di direttive comunitarie.

p.3.1. Il Collegio rileva che nel controricorso l’Amministrazione ha invocato, in punto di decorrenza del termine di prescrizione in senso contrario a quanto stabilito dalla giurisprudenza sopra richiamata, il precedente, rimasto del tutto isolato (e, peraltro, neppure argomentato in dissenso dalle sentenze gemelle), di cui a Cass. sez. lav. n. 9071 del 2013, che, però – è stato confutato da Cass. n. 16104 del 2013 per prima e, quindi, da consolidata giurisprudenza successiva di questa sezione della Sesta Sezione – 3 (ex multis, Cass. (ord.) n. 17066 del 2013).

Sempre nel controricorso, l’Amministrazione ha invocato un preteso superamento delle statuizioni di cui alle sentenze gemelle per effetto delle decisioni assunte dalla Corte di Giustizia CE nel procedimento C-452/90, ma anche tale assunto è stato confutato già da Cass. n. 17876 del 2011, deliberata nella stessa udienza di adozione delle sentenze gemelle e depositata dopo, e da Cass. n. 25993 del 2011, e, quindi, successivamente, per ripetute volte.

p.3.2. Nella memoria la Presidenza del Consiglio dei ministri si fa carico, al contrario di quanto aveva fatto nel controricorso, degli argomenti che le sentenze gemelle avevano svolto per individuare il dies a quo della prescrizione e li critica, ma con deduzioni che sono del tutto inidonee a superarle.

Infatti, quanto al rilievo che prima della sentenza Francovich non fosse predicabile nell’ordinamento interno un diritto risarcitorio per l’inadempimento statuale di direttive sufficientemente specifiche, sebbene non self-executing, la memoria contrappone l’evocazione di un precedente remotissimo, cioè quello reso nel 1963 nella causa C-26/62, che è del tutto inconferente, riferendosi al generico riconoscimento che gli obblighi imposti agli stati membri possano dar luogo a diritti soggettivi, tant’è che la sua invocazione avviene senza spiegare come e perchè avrebbe quasi trenta anni precorso la sentenza Francovich. Peraltro, le sentenze gemelle evidenziarono che la vera e propria “sistemazione”, da parte della giurisprudenza comunitaria, del diritto risarcitorio ricollegato all’inadempimento di direttive non self-executing ebbe luogo con la sentenza Brasserie du pecheur.

Sempre nella memoria, si evoca la sentenza resa nella causa C-445-06, ma anche in tal caso senza farsi carico delle ampie argomentazioni che su di essa svolsero già le sentenze gemelle.

Ancora nella memoria, senza un’adeguata e specifica considerazione delle argomentazioni (esposte da Cass. n. 10813 del 2011 nei paragrafi 6.4. e ss.) delle sentenze gemelle e correlate alla particolarità della posizione statuale di inadempimento delle note direttive e delle specifiche considerazioni sulla peculiarità del soggetto che doveva adempiere l’obbligo comunitario, si dissente – insistendo sul fatto che ai fini della decorrenza della prescrizione non sarebbe stato necessario che l’inadempimento statuale si consolidasse attraverso un atto che rendesse inequivocabile la volontà di non adempiere – dalle ragioni che indussero ad attribuire rilievo solo all’intervento della L. n. 370 del 1999, art. 11, come momento rappresentante il dies a quo della prescrizione. Ma, al riguardo, il Collegio non ha che da rinviare alle complessive considerazioni svolte proprio sulla peculiarità della vicenda dalle sentenze gemelle, che non sono espressamente discusse.

In fine, nella memoria si svolge un argomento basato sull’evocazione dei principi che si sarebbero applicati – da Cass. n. 20863 del 2010 – all’azione di ripetizione di tributi, dichiarati non dovuti da decisioni della Corte costituzionale o della Corte di Giustizia, ma nuovamente l’argomentare, correlandosi a vicenda di declaratoria di incostituzionalità, non è pertinente rispetto alla situazione occasionata all’inadempimento statuale per come ricostruita dalle sentenze gemelle al lume della giurisprudenza comunitaria e della qualificazione adottata da Cass. sez. un. n. 9147 del 2009.

Sicchè, a norma dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, non si offrono affatto argomenti per superare il consolidato orientamento inaugurato da dette sentenze, ma si esprime un dissenso che non si svolge con argomenti che effettivamente incidano sulle rationes decidendi delle sentenze gemelle, condivise da consolidata giurisprudenza della Corte.

p.4. Conclusivamente deve rilevarsi che erroneamente la Corte d’Appello di Milano ha ritenuto applicabile la prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c., peraltro con decorrenza dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991.

La sentenza impugnata è, in conseguenza, cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano, comunque in diversa composizione. Il giudice del rinvio considererà la pretesa del ricorrente, qualificata alla stregua delle numerose pronunce richiamate, come non prescritta, perchè la prescrizione, di durata decennale, iniziò il suo decorso soltanto dal 27 ottobre 1999 e, pertanto, all’atto della proposizione della domanda giudiziale, avvenuta nel 2006, non era ancora maturata.

La Corte di rinvio dovrà, inoltre, fare applicazione anche degli ulteriori principi individuati da questa Corte nelle suddette pronunce, sia in punto di presupposti del diritto al risarcimento del danno, sia quanto alla sua quantificazione. Al riguardo, terrà presente le specificazioni fatte già da Cass. n. 1917 del 2012 già citate e poi ripetute in numerosi casi simili di rinvio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 21 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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