Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3995 del 08/02/2022

Cassazione civile sez. III, 08/02/2022, (ud. 16/09/2021, dep. 08/02/2022), n.3995

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – est. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

M.A., (codice fiscale (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocata

Amelia Aprea, del Foro di Formia, presso il cui studio è

elettivamente domiciliato in Formia, Via Ferdinando Lavagna n. 101.

– ricorrente –

contro

IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via del Portoghesi

n. 12.

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Napoli n. 7773/2019, pubblicato

il 23/10/2019.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16/9/2021 dal

Presidente, Dott. Giacomo Travaglino.

La Corte.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

– che il signor M., nato in (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

– che, avverso tale provvedimento, egli ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Napoli, che lo ha rigettato con decreto reso in data 23.10.2019;

– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, il ricorrente, comparendo personalmente in udienza dinanzi al giudice di primo grado, aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese dopo essere stato abbandonato dalla madre adottiva, che lo aveva picchiato e cacciato di casa;

– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria, in considerazione della propria – oggettiva e grave – condizione di vulnerabilità;

– che il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione invocate dal ricorrente, ed in particolare di quella umanitaria, negata per l’asserita impredicabilità di un’effettiva situazione di vulnerabilità del richiedente asilo, la cui condizione di solitudine non poteva essere convincentemente invocata a dimostrazione di uno stato di particolare vulnerabilità;

– che il provvedimento è stato impugnato per cassazione dall’odierno ricorrente sulla base di un unico motivo di censura;

– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

Col primo ed unico motivo, si censura il decreto impugnato per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, applicabile ratione temporis (ex art. 360 c.p.c., n. 3).

In sintesi, lamenta il ricorrente:

– La violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria posto a carico dell’organo giudicante, che avrebbe altresì trascurato il valore delle circostanze di fatto all’uopo richiamate specificamente in ricorso;

– La violazione dell’obbligo di comparazione, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, tra la situazione del Paese di origine, con specifico riguardo alla mancata tutela dei diritti umani fondamentali, ed il livello di integrazione lavorativa raggiunto in Italia dal richiedente asilo.

Il motivo è fondato.

Con l’unico motivo di ricorso si lamenta la violazione di cui all’art. 360 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo della controversia ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il motivo è fondato.

Correttamente il ricorrente lamenta l’illegittima omissione di qualsivoglia giudizio comparativo tra la situazione del richiedente asilo in Italia e la situazione oggettiva del Paese di origine, così discostandosi dai principi più volte affermati da questa Corte regolatrice in tema di protezione umanitaria, a mente dei quali, se, per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b), deve essere dimostrato che il richiedente asilo abbia subito, o rischi concretamente di subire, atti persecutori come definiti dall’art. 7 (atti sufficientemente gravi per natura o frequenza, tali da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse misure il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti), così che la decisione di accoglimento consegue ad una valutazione prognostica dell’esistenza di un rischio, onde il requisito essenziale per il riconoscimento di tale forma di protezione consiste nel fondato timore di persecuzione, personale e diretta, nel paese di origine del richiedente asilo, alla luce di una violazione individualizzata – e cioè riferibile direttamente e personalmente al richiedente asilo in relazione alla situazione del Paese di provenienza, da compiersi in base al racconto ed alla valutazione di credibilità operata dal giudice di merito, diversa, invece, è la prospettiva dell’organo giurisdizionale in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale è necessaria e sufficiente (anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del racconto) la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità – accertamento che prende le mosse, e non può prescindere, dal dettato costituzionale di cui all’art. 10, comma 3, ove si discorre, significativamente, di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

Pur vero che, da questa Corte, è stato ripetutamente affermato il principio (fra le altre, Cass. 4/8/2016 n. 16362) secondo cui il diritto di asilo riconosciuto dall’art. 10 Cost., risulterebbe interamente attuato e regolato attraverso le tre forme di protezione previste dall’ordinamento vigente (rifugio, protezione sussidiaria e protezione umanitaria) – con la conseguenza che, al di fuori della “esaustiva normativa” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, “non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto dell’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione” (Cass. 26/6/2012 n. 10686) – è vero altresì che tale indirizzo deve pur sempre confrontarsi con la norma costituzionale (e con le norme sovranazionali), di rango superiore in sede di interpretazione della legge ordinaria, escludendone l’applicabilità tutte le volte che tale interpretazione si ponga in conflitto con la norma gerarchicamente sovraordinata.

Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, pertanto, deve ritenersi necessaria e sufficiente la valutazione dell’esistenza e della comparazione degli indicati presupposti (per tutte, Cass. 8819/2020; Cass. 19337/2021), che non sono condizionati dalla eventuale valutazione negativa di credibilità del ricorrente – o, comunque, dal contenuto della sua narrazione, ove pur ritenuta credibile ma non rilevante ai fini della concessione della misura di protezione invocata. A tal fine, il giudizio comparativo deve volgersi altresì alla compiuta disamina anche della condizione economico-sociale del paese di origine, dovendosi verificare se ivi si sia determinata una situazione dettata, oltre che da ragioni d’instabilità politica od altre cause, anche di assoluta ed inemendabile povertà per alcuni strati della popolazione e di conseguente impossibilità di poter provvedere almeno al proprio sostentamento, dovendosi ritenere configurabile la violazione dei diritti umani, al di sotto del loro nucleo essenziale, anche in questa ipotesi (Cass. n. 12418/2021; n. 16119 del 2020; n. 18443 del 2020);

Il riconoscimento della protezione umanitaria postula – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine, ed eventualmente di acquisizione documentale (Cass. n. 28435/2017; Cass. 18535/2017; Cass. 25534/2016). Il dovere di cooperazione trova fondamento nella Direttiva CE 13.12.2011 n. 95 – in cui art. 4, rubricato come “Esame dei fatti e delle circostanze”, prevede al comma 1 che lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda – e nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 – ove si dispone che la decisione su ogni singola domanda deve essere assunta in modo individuale, obiettivo ed imparziale e sulla base di un congruo esame effettuato ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251. In particolare, il comma 3 prevede, riferendosi alla fase amministrativa di esame della domanda, che ciascuna domanda sia esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. Specularmente, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, con riferimento alla fase giurisdizionale, prevede che, per la decisione, il giudice si avvalga anche delle informazioni sulla situazione sociopolitico-economica del Paese di provenienza previste dall’art. 8, comma 3, elaborate dalla Commissione Nazionale e rese disponibili all’autorità giudiziaria. A rafforzare tale previsione soccorre, infine, per il giudizio di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, secondo il quale il giudice acquisisce anche d’ufficio le informazioni relative al Paese di origine e alla specifica condizione del richiedente.

Il principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, a mente del quale la Protezione umanitaria, assieme con le due forme di Protezione maggiori, costituisce un plesso normativo unitario, omogeneo ed esaustivo del diritto di asilo costituzionale impone di ritenere che, anche al fine della valutazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, il giudice sia obbligato ad attivare i suoi poteri istruttori al fine di accertare la situazione e il livello di tutela dei diritti umani fondamentali, per poi formulare, all’esito di tali accertamenti, un necessario giudizio comparativo.

Alfine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), ma senza incorrere nell’errore di utilizzare le fonti informative che escludano (a torto o a ragione) l’esistenza di un conflitto armato interno o internazionale (rilevanti al solo fine di valutare la domanda di protezione internazione sub specie del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)) – al diverso fine di valutare la situazione del Paese di origine sotto l’aspetto della mancata tutela dei diritti umani e del loro nucleo incomprimibile nel riportare il contenuto dello COI utilizzate per escludere l’esistenza di un conflitto armato.

Va pertanto riaffermato il principio di diritto, cui il giudice di rinvio si atterrà nel riesaminare la domanda di protezione umanitaria, alla luce del quale, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del suo riconoscimento, occorre operare la valutazione comparativa della situazione oggettiva, oltre che eventualmente anche soggettiva, del richiedente asilo con riferimento al Paese di origine sub specie della libera esplicazione dei diritti fondamentali della persona, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, rilevando a tal fine in modo pregnante l’attività lavorativa svolta, alla luce del recente insegnamento delle sezioni unite di questa stessa Corte (Cass., s.u. n. 24413 del 2021).

Il decreto impugnato – ove si legge, invece, che “il ricorrente ha allegato e documentato di svolgere attività lavorativa regolare” – non si è attenuto a tali principi, valorizzando esclusivamente il profilo di vulnerabilità soggettiva, nella specie escluso, ritenendo “non convincente la addotta condizione di solitudine” conseguente alle vicissitudini narrate, e richiamandosi ad un principio, del tutto destituito di fondamento – secondo il quale “sarebbe pur sempre ipotizzabile che il tessuto di relazioni del luogo di provenienza sia pur sempre più ricco e variegato di quello tutto da costruire in un Paese straniero in cui il richiedente è comunque solo” (Cass. 7831/2019) – poché la premessa maggiore si fonda su di una mera e indimostrata illazione, in spregio ai principi posti a presidio del ragionamento probatorio presuntivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia il procedimento al Tribunale di Napoli, che, in diversa composizione, farà applicazione dei principi di diritto suesposti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 16 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022

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