Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3993 del 19/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3993 Anno 2014
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: ACIERNO MARIA

ORDINANZA
sul ricorso 15837-2012 proposto da:
ROMA ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato SILVESTRI
ALESSANDRO, rappresentato e difeso dall’avvocato PIZZUTELLI
MARCO, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente] contro
ROMA TERESA ved. Roma Loreto, ROMA GIUSEPPE, ROMA
FABIOLA;

– intimati avverso la sentenza n. 5006/2011 della CORTE D’APPELLO di
ROMA dell’11.10.2011, depositata 11 23/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
17/12/2013 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.

)k

Data pubblicazione: 19/02/2014

Rilevato che è stata depositata la seguente relazione ex at.
380 bis cod. proc. civ. in ordine al procedimento civile iscritto al R.G. 15837 del 2012;
“Antonio Roma conveniva davanti al Tribunale di Roma Vincen-

luoghi mediante la chiusura delle vedute frontali, la demolizione dei balconi laterali, nonché la regolarizzazione degli
scarichi delle stalle e alla rifusione delle spese di lite.
All’udienza del 5 ottobre 2001, a seguito della dichiarazione
resa dal difensore di Vincenzo Roma della morte del proprio
assistito, il giudizio di primo grado veniva interrotto. Riassunto il processo da parte di Antonio Roma con atto notificato agli eredi impersonalmente e collettivamente presso
l’ultimo domicilio della controparte defunta, il Tribunale di
Roma accoglieva la domanda proposta da Antonio Roma e condannava in contumacia gli eredi di Vincenzo Roma.
Avverso tale sentenza proponeva tempestivamente appello Loreto Roma, nella qualità di erede di Vincenzo Roma, chiedendo
che venisse accertata l’estinzione del processo, poiché l’atto di riassunzione dello stesso era stato notificato agli eredi impersonalmente e collettivamente presso l’ultimo domicilio della controparte defunta in data 4 gennaio 2002, oltre
otto anni dopo la morte del convenuto avvenuta il 29 aprile
1993. Si costituiva Antonio Roma deducendo la regolarità del

zo Roma per sentirlo condannare al ripristino dello stato dei

suo operato. La Corte d’Appello di Roma, in accoglimento del
gravame, dichiarava l’estinzione del giudizio, osservando che,
a prescindere dal momento in cui il difensore, nell’esercizio
del suo potere discrezionale, aveva ritenuto di mettere al

zo, l’atto di riassunzione poteva essere notificato agli eredi impersonalmente e collettivamente ai sensi dell’art. 303 c.
p. c. solo nel termine di un anno dalla morte, decorso il
quale gli eredi dovevano essere individuati e convenuti in
giudizio personalmente.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Antonio Roma, affidandosi ai seguenti motivi:
nel primo è stata denunciata la nullità della sentenza per
violazione degli artt. 303, 307 e 156 c. p. c., per non avere la corte territoriale considerato che il vizio della notifica del ricorso per riassunzione del processo interrotto e
del decreto di fissazione d’udienza, effettuata impersonalmente e collettivamente agli eredi di Roma Vincenzo nell’ultimo domicilio del defunto oltre il termine di un anno dalla
morte, fosse stato sanato per il raggiungimento dello suo
scopo. Ha sostenuto il ricorrente che Roma Loreto, unico erede di Roma Vincenzo, aveva ricevuto l’atto e ne aveva avuto
piena conoscenza. Ciò risultava chiaramente per un verso dal
fatto che aveva la medesima residenza del padre defunto (Cec-

corrente l’organo giurisdizionale della morte di Roma Vincen-

cano, via Sterparo) e che l’ufficiale giudiziario aveva consegnato nel domicilio indicato copia dell’atto di riassunzione alla di lui moglie convivente, Roma Teresa, per l’altro
dal fatto che lo stesso Roma Loreto nell’atto d’appello data-

raggiunto dalla notifica, allegando la copia del ricorso per
riassunzione con la relativa relata di notifica;
nel secondo è stata lamentata la nullità della sentenza per
violazione e falsa applicazione degli artt. 303, 291, 307 e
354 c. p. c. per non avere la Corte d’Appello rimesso gli atti al giudice di primo grado, posto che, ai fini della tempestiva riassunzione del processo interrotto, sarebbe stato
sufficiente solo il deposito del ricorso nella cancelleria
del giudice, non rilevando la nullità della notifica del ricorso e del decreto. Secondo il ricorrente inoltre, ogni vizio della notificazione del ricorso sarebbe privo di rilievo
ai fini dell’estinzione, dovendo il giudice ordinare la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291.
Ritenuto che il primo motivo è inammissibile, in quanto il
ricorrente introduce in questa sede un tema di indagine nuovo,
non prospettato davanti al giudice d’appello in comparsa di
costituzione. Infatti, dalla lettura degli atti di causa, il
cui accesso a questa Corte è permesso qualora venga denunciato un vizio attinente alla violazione delle norme sul proces-

to 31 marzo 2005 aveva pienamente dimostrato di essere stato

so, è emerso che tanto nella comparsa di costituzione in appello quanto nella comparsa conclusionale, non era stata dedotta né la circostanza che Roma Loreto fosse l’unico erede
di Roma Vicenzo né quella che lo stesso risiedesse presso

seguente possibilità di sanatoria della notifica, essendosi
limitato l’appellato a contestare la tesi avversaria e a sostenere la validità della notifica effettuata collettivamente
ed impersonalmente agli eredi dopo otto anni dalla morte del
defunto. L’accertamento di tali nuovi fatti resta precluso a
questa Corte, in quanto, sebbene il ricorrente alleghi al ricorso per cassazione, in ossequio al principio di autosufficienza, le certificazioni anagrafiche di residenza dalle quali si evince che Roma Loreto risiede nel domicilio del defunto Roma Vicenzo, non risulta essere stato allegato alcun documento comprovante che Roma Loreto sia l’unico erede di Roma
Vicenzo;
che il secondo motivo è manifestamente fondato nei limiti e
per le ragioni di seguito indicate. Secondo il costante orientamento di questa corte, in tema di riassunzione, il meccanismo per la riattivazione del rapporto processuale interrotto si realizza distinguendo il momento della rinnovata editio actionis da quello della

vocatio in jus,

sicché, una

volta eseguito tempestivamente il deposito del ricorso in
cancelleria, il termine di sei mesi di cui all’art. 305 cod.

l’ultimo domicilio del defunto al tempo della morte, con con-

proc. civ. non ha alcun ruolo nella successiva notifica
dell’atto volta a garantire il corretto ripristino del contraddittorio. Ne consegue che, ove la notifica del ricorso e
del decreto di fissazione dell’udienza sia viziata od inesi-

giudice per la rinnovazione della notifica e il compimento
del relativo adempimento prescindono dal rispetto delle indicazioni di cui all’art. 305 cod. proc. civ. rispondendo alla
sola necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie
della vocatio in jus, senza che siano estensibili i principi
applicabili per il ricorso in appello nel rito del lavoro e
per il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo – che,
alla stregua del principio della ragionevole durata del processo ex art. 111, secondo comma, Cost., postulano che la notificazione avvenga nei termini di legge senza possibilità
per il giudice di assegnare un termine per la rinnovazione rispondendo la situazione ad una differente ratio legis (Cass.
n. 13683 del 31/07/2012; n. 10016 del 06/05/2011; n. 1900
del 27/01/2011; n.
20/03/2008; n.

6325 del 16/03/2010; n.
18713 del 06/09/2007;

n.

7611 del
6023 del

15/03/2007; n. 5348 del 08/03/2007; S.U. n. 14854 del
28/06/2006; n. 14085 del 01/07/2005). Orbene Roma Antonio ha
certamente rispettato il termine perentorio di mesi sei previsto dall’art. 305 c. p. c. (nel testo ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame) per il deposito in can-

stente, l’assegnazione di un ulteriore termine da parte del

celleria dell’atto di riassunzione, avendo provveduto al deposito di detto atto in data 7 dicembre 2001, pur avendo invalidamente notificato l’atto di riassunzione collettivamente
ed impersonalmente agli eredi ben oltre l’anno dalla morte

tesi di nullità disciplinate dall’art. 160 cod. proc. civ.,
atteso che il destinatario di essa rivestiva la qualità di
erede ed incontestatamente risiedeva presso l’ultimo domicilio del defunto, come risulta dalle certificazioni anagrafiche allegate al ricorso per cassazione. Tale notificazione è
pertanto nulla ai sensi dell’art. 160 cod. proc. civ. Ne consegue che la corte d’appello, come sostenuto dal ricorrente,
non avrebbe potuto dichiarare l’estinzione del processo, ma
il giudizio, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente,
non deve essere rimesso al giudice di primo grado. Infatti,
secondo il costante indirizzo di questa Corte, la nullità degli atti successivi all’interruzione del processo, conseguente alla irregolare riassunzione del medesimo, non rientrage
casi nei quali il giudice di appello, riconoscendo una nullità del processo di primo grado deve rimettere la causa al
primo giudice, per cui lo stesso deve trattenere la causa e
deciderla nel merito, in virtù della conversione dei vizi
della sentenza di primo grado in motivi di gravame (Cass. S.U.

19 maggio 2008 n. 12644, Cass. 23 giugno 2006 n. 14650, 13
dicembre 2005 n. 27411, 8 settembre 1998 n. 8870, 10 gennaio

della parte. Tale notifica tuttavia è inquadrabile nelle ipo-

1998 n. 154, e, sia pure con riferimento a un caso simile ma
non identico, Cass. 6 settembre 2007 n. 18691).
Ritenuto pertanto che, ove si condividano i predetti rilievi,
il ricorso deve essere accolto.”

ex art. art. 378 c. p. c. dal ricorrente, aderisce senza rilievi alla relazione, e che, pertanto, il ricorso deve essere
accolto, la sentenza cassata con rinvio alla Corte d’Appello
di Roma in diversa composizione, anche per le spese di rinvio

;

P.Q.M.

La Corte,
accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, anche per
le spese del presente procedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 dicembre
2013.

Ritenuto che il collegio, letta la memoria adesiva presentata

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