Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3992 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. II, 18/02/2011, (ud. 16/11/2010, dep. 18/02/2011), n.3992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.R.I.S. di M.M., rappresentato e difeso dall’avv. D’AMICO

Giuseppe, presso il quale è elett.te dom.to in Biella, Via

Repubblica n. 25;

– ricorrente –

contro

Z.P., rappresentato e difeso dagli avv.ti DIRUTIGLIANO Diego

e Armando Montarsolo ed elett.te dom.to presso il secondo in Roma,

Viale Mazzini n. 157;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 717

depositata il 5 maggio 2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 16

novembre 2010 dal Consigliere Dott. Carlo DE CHIARA;

udito per il controricorrente l’avv. Francesco DELL’ORSO, per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il sig. M.M., titolare della ditta I.R.I.S., ottenne decreto ingiuntivo nei confronti del sig. Z.P. per il pagamento di L. 25.191.400, oltre interessi e spese, a titolo di corrispettivo della installazione degli impianti idrico e termico nell’abitazione dell’intimato.

Quest’ultimo propose quindi opposizione davanti al Tribunale di Biella sostenendo, in particolare, di non avere alcun rapporto con l’intimante, essendo quei lavori compresi nell’appalto stipulato con la Master Costruzioni s.a.s. di Renzo Costa & C, la quale li aveva autonomamente subappaltati al M..

Il Tribunale respinse l’opposizione e lo Z. propose appello, accolto dalla Corte di Torino la quale accertò l’insussistenza di un rapporto fra lui e il M. in quanto: era onere dell’opposto, attore in senso sostanziale, dare la prova del suo diritto; la fattura emessa dalla I.R.I.S. non aveva valore di prova contro il preteso committente; nè aveva valore probatorio, nei confronti di un soggetto non imprenditore, quale lo Z., l’estratto autentico dei libri contabili del preteso appaltatore; nè avevano valore le dichiarazioni a sè favorevoli rese dall’opposto in sede di interrogatorio formale; infine, l’unico teste indicato dall’opposto aveva dichiarato di ignorare i rapporti intercorsi fra le parti, mentre i due testi indicati dall’opponente avevano confermato la tesi di quest’ultimo.

Il M. ha quindi proposto ricorso per cassazione per un solo motivo, cui l’intimato ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo di ricorso si denunciano violazione dell’art. 2729 c.c., e dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè vizio di motivazione. Si da atto che la Corte di appello ha correttamente individuato il principio di diritto da applicare, e cioè che incombe sul creditore l’onere di provare che il suo debitore è proprio il convenuto (in senso sostanziale), ma si lamenta che i giudici abbiano trascurato le risultanze processuali, dalle quali invece era ricavabile, in base a presunzioni, che debitore dell’intimante era appunto l’intimato.

1.1. – Il motivo non può essere accolto.

Va anzitutto escluso che ricorra il vizio di difetto assoluto di motivazione (evocato con il richiamo dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.), dato che le ragioni della decisione sono chiaramente espresse nella sentenza impugnata, come risulta dall’esposizione fattane sopra in narrativa.

Per il resto, il motivo è inammissibile. Più che errori di diritto, vengono denunciati errori nella ricostruzione dei fatti; ma le critiche del ricorrente non attingono mai il livello della deduzione dei vizi logici di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essendo articolate, invece, in termini di pura e semplice rivisitazione del materiale istruttorio e rideterminazione del suo valore inferenziale:

il che è riservato al giudice di merito e precluso a questa Corte.

2. – Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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