Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3989 del 19/02/2010

Cassazione civile sez. I, 19/02/2010, (ud. 02/12/2009, dep. 19/02/2010), n.3989

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

fallimento Cappa Consortile s.c. a r.l., domiciliata in Roma, via

Adda 55, presso l’avv. Del Prato Enrico, che la rappresenta e

difende, come da mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Sadam Castiglionese s.p.a., domiciliata in Roma, piazza dei

Caprettari 70, presso l’avv. Guardascione B., che la rappresenta e

difende unitamente agli avv. A. Maffei Alberti e M. Malesani, come da

mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3360/2004 della Corte d’appello di Roma,

depositata il. 19 luglio 2004;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Aniello Nappi;

uditi i difensori, avv. E. Del Prato per il ricorrente, che ha

chieste l’accoglimento del ricorso, e avv. Malesani per la

resistente, che ne ha chiesto il rigetto.

Udite le conclusioni del P.M., Dr. ABBRITTI Pietro, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Roma ha confermato il rigetto della domanda proposta dal Fallimento Cappa Consortile s.c. a r.l. per la dichiarazione di inefficacia, a norma della L. Fall., art. 67, comma 2, di due pagamenti per complessive L. 1.234.708.210 che si assumevano eseguiti dalla società poi fallita in favore dello Zuccherificio Castiglionese s.p.a., poi denominato Sadam Castiglionese s.p.a., tramite la Federconsorzi, di cui entrambe le società erano sode.

Hanno ritenuto i giudici del merito:

a) secondo la prospettazione dello stesso fallimento attore alla Cappa Consortile venivano addebitate tutte le fatture emesse dai fornitori dei consorzi agrari riconducibili alla Federconsorzi;

b) la mandataria Federconsorzi annotava in un conto corrente tutti i pagamenti eseguiti in nome della Cappa Consortile ai fornitori dei consorzi agrari e tutti i versamenti eseguiti dai consorzi in favore della Cappa Consortile;

c) la stessa Federconsorzi annotava poi in altri conti, relativi a ciascuno dei consorzi, i pagamenti effettuati in nome della Cappa Consortile;

d) essendovi un rapporto di conto corrente anche tra la Federconsorzi e la società Zuccherificio Castiglionese, la curatela non aveva provato la natura effettivamente solutoria, anzichè meramente ripristinatoria, delle rimesse in favore dello zuccherificio per la cui revoca aveva agito;

e) nè aveva provato la curatela che la Federconsorzi avesse effettivamente addebitato sul conto della Cappa Consortile la provvista necessaria ai due pagamenti in favore dello Zuccherificio Castiglionese s.p.a. o se ne fosse comunque rivalsa prima del fallimento.

Contro la sentenza d’appello ricorre ora per cassazione il Fallimento Cappa Consortile s.c. a r.l. e propone cinque motivi d’impugnazione, illustrati anche da memoria, cui resiste con controricorso la Sadam Castiglionese s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1- Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1823, 1824 1831, 2697 c.c., art. 116 c.p.c., vizi di motivazione della decisione impugnata.

Sostiene che l’esistenza di un rapporto di conto corrente non ha alcuna influenza sulla natura dello singole rimesse, che dipende dal loro specifico e autonomo titolo, come risulta dall’art. 1827 c.c., comma 1, secondo il quale l’inserimento di un credito nel conto non esclude l’esercizio delle azioni e delle eccezioni relative all’atto da cui esso deriva.

Ne consegue che, contrariamente a quanto affermalo dai giudici del merito, il fallimento non aveva l’onere di dimostrare la natura solutoria delle rimesse, ma incombeva semmai alla Sadam fornire la prova negativa di tale natura.

1.2- Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1183 c.c. e, sotto altro profilo, degli artt. 1823 e 2697 c.c., nonchè della L. Fall., art. 67, comma 2, e vizi di motivazione della decisione impugnata.

Sostiene che, contrariamente a quanto affermato dai giudici del merito, i crediti annotati in cento corrente sono effettivamente esistenti, anche se non sono esigibili prima della chiusura del conto.

Ne consegue che è irrilevante, ai fini dell’accertamento del pagamento controverso, l’effettiva esistenza di un saldo attivo sul conto corrente tra Federconsorzi e Cappa Consortile; mentre non v’era rapporto di conto corrente tra Cappa Consortile e Sadam Castiglionese.

L’esistenza di un saldo attivo della Cappa Consortile sul conto corrente con la Federconsorzi non è affatto condizione dell’esistenza del pagamento di cui si è richiesta la revoca, perchè rileverebbe solo ai fini dell’esigibilità di un eventuale credito finale della Cappa Consortile nei confronti della Federconsorzi alla chiusura del conto.

Lamenta infine che, pur nella riconosciuta incertezza della documentazione acquisita, i giudici del merito abbiano omesso di considerare che la Sadam Castiglionese s.p.a. non aveva chiesto l’ammissione dei suo credito nel passivo della Cappa Consortile, così confermando di fatto l’avvenuto pagamento a opera della Federconsorzi.

1.3- Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, e degli artt. 1241 e ss. e 1823 c.c..

Ribadisce che l’iscrizione in conto corrente di un credito non ne modifica la natura nè altera la funzione delle singole rimesse.

1.4- Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 78, L. Fall., dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., lamentando che erroneamente la corte d’appello abbia addebitato alla curatela fallimentare di non avere fornito la prova della data di chiusura del conto.

Sostiene che la data di chiusura del conto non ha alcuna rilevanza ai fini dell’esistenza del pagamento. E aggiunge che comunque, secondo quanto prevede l’art. 73, L. Fall., il conto corrente doveva intendersi chiuso alla data del fallimento.

1.5- Con il quinto motivo, infine, il ricorrente deduce violazione dell’art. 1180 c.c., della L. Fall., art. 67, comma 2, degli artt. 2697, 2709 e 2710 c.c., art. 116 c.p.c., vizi di motivazione della decisione impugnata.

Censura innanzitutto che sia stato escluso il pagamento in favore della Sadam Castiglionese, provato documentalmente anche dalla mancata domanda di insinuazione di tale credito nel passivo della Cappa Consortile.

Secondo la ricorrente, poi, i giudici del merito hanno erroneamente ritenuto che, ai fini dell’azione revocatoria, non fosse sufficiente provare l’intervenuto pagamento del credito della Sadam Castiglionese, ma fosse necessario provare anche che il pagamento di tale credito da parte della Federconsorzi fosse stato effettuato con denaro fornitole dalla Cappa Consortile. Al contrario, al – fine dell’azione revocatoria, era sufficiente l’imputabilità del pagamento alla società poi fallita.

2. il ricorso è infondato.

Benchè sia alquanto confusa la ricostruzione dei fatti proposta sia nella sentenza impugnata sia nei ricorso, viene qui in discussione il pagamento da parte di un terzo, la Federconsorzi, di un debito della società poi fallita, la Cappa Consortile. E secondo la giurisprudenza di questa corte, “la revocatoria fallimentare del pagamento di debiti del fallito “ex” art. 67, L. Fall., è esperibile anche quando il pagamento sia stato effettuato da un terzo, purchè questi abbia pagato il debito con danaro dell’imprenditore poi fallito, ovvero con danaro proprio, sempre che, dopo aver pagato, abbia esercitato azione di rivalsa prima dell’apertura del fallimento, con recupero del relativo importo, essendo in tali casi, ravvisabile una potenziale idoneità di detto pagamento ad incidere sulla “par condicio”, stante la configurabilità di una effettiva relazione/interazione con il patrimonio del fallito” (Cass., sez. 1, 10 gennaio 2003, n. 142, m. 559534, Cass., sez. 1, 17 aprile 2007, n. 9143, m. 596649). Solo in questo caso, infatti, si verifica “un depauperamento del patrimonio dei fallito stesso, mentre, in assenza di tale relazione, detto pagamento assume veste di atto del tutto “neutro” rispetto ai creditori, non comportando nè una riduzione dell’attivo, nè un incremento del passivo, con conseguente, strutturale inidoneità ad incidere sulla “par condicio” assicurata dalla legge speciale, con conseguente insuscettibilità di revoca ex art. 67, L. Fall.” (Cass., sez. 1, 22 gennaio 1999, n. 570, m.

522517).

Contrariamente a quanto il ricorrente sostiene, dunque, non è sufficiente che il pagamento effettuato dal terzo sia imputabile al fallito, ma occorre che incida sul suo patrimonio.

Nel caso in esame l’accertamento di tale presupposto dell’azione revocatoria fallimentare è risultato complicato dal fatto che il terzo intervenuto per il dedotto pagamento, vale a dire la Federconsorzi, aveva in corse un rapporto di conto corrente con la creditrice, lo Zuccherificio Castiglionese, e un distinto rapporto di conto corrente con la debitrice, la Cappa Consortile.

Infatti il rapporto di conto corrente obbliga le parli solo all’annotazione dei crediti derivanti dalle reciproche rimesse e unifica così tutte le ragioni di reciproco credito delle parti, escludendo che possano essere considerate come effetto di successive compensazioni le riduzioni o gli accrescimenti del credito disponibile per il correntista Cass., sez. 1, 1 luglio 2008, n. 17954, m. 604035).

Le modificazioni delle disponibilità del conto conseguenti alle diverse rimesse non sono quindi il risultato di pagamenti nè tanto meno di compensazioni. Sicchè si esclude la revocabilità delle rimesse meramente ripristinatori e della disponibilità del correntista. Di pagamento può parlarsi solo quando il conto sia scoperto per carenza di depositi ovvero, essendo il conto assistito da un’apertura di credito, il correntista ne abbia superato i limiti.

In questo caso infatti, secondo la ricostruzione consolidata di questa Corte, la rimessa del correntista non può essere considerata solo come una posta del rapporto di conto corrente, ma costituisce appunto il pagamento di un autonomo debito del correntista. E la rimessa è revocabile, come pagamento eseguito dal correntista, quale che ne sia l’origine, anche se provenga da un terzo (Cass., sez. 1, 28 giugno 2002, n. 9494, m. 555458).

I giudici del merito, tenendo correttamente distinti i due conti correnti in discussione, hanno escluso sia che vi fosse stato un pagamento in favore dello Zuccherificio Castiglionese sia che tale pagamento fosse stato eseguito con denaro della Cappa Consortile.

Quanto al rapporto tra Federconsorzi e Zuccherificio Castiglionese, i giudici del merito, contrariamente a quanto il ricorrente sostiene, hanno in realtà riconosciuto che è stata provata l’iscrizione nel relativo conto dell’importo dovuto allo zuccherificio dalla Cappa Consortile. Ma hanno ritenuto che tale rimessa non potesse essere considerata pagamento, perchè non è stato provato che il conto fosse passivo per lo Zuccherificio Castiglionese.

Tuttavia è del tutto irrilevante, nella prospettiva dell’azione revocatoria in esame, che l’iscrizione in quel conto non possa essere considerata un pagamento nei confronti dello zuccherificio, posto che comunque l’assunzione del debito da parte della Federconsorzi comportava l’estinzione del debito della Cappa Consortile.

Rileva insomma che l’interveto della Federconsorzi comportò l’estinzione del debito della Cappa Consortile nei confronti della Zuccherificio Castiglionese. Non rileva che non possa essere considerate un pagamento l’annotazione sul conto corrente con la Zuccherificio Castiglionese di un debito della Federconsorzi corrispondente al debito estinto della Cappa Consortile.

E’ al contrario rilevante il fatto che, secondo i giudici del merito, l’assunzione da parte della Federconsorzi del debito della Cappa Consortile verso le Zuccherificio Castiglionese non risulta annotata a debito della mandante sul suo conto corrente con la mandataria.

Su questo versante del rapporto, infatti, l’annotazione a debito della società poi fallita sarebbe stata comunque idonea a fondare l’azione revocatoria proposta dalla curatela, perchè avrebbe comportato un’incidenza sul patrimonio della debitrice.

Tuttavia il convincimento espresso in proposito dai giudici del merito non risulta adeguatamente censurato dal ricorrente, che, nel presupposto della rilevanza della sola imputabilità del pagamento alla società fallita, neppure indica quale sia la prova dell’avvenuto addebito alla Cappa Consortile dell’assunzione da parte della Federconsorzi del credito vantato dallo Zuccherificio Castiglionese, Si deve pertanto concludere con il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro 9.200,00 di cui Euro 9.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2010

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