Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3987 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/02/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 16/02/2021), n.3987

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18359-2018 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LAZIO 20-C,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO COGGIATTI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ANDREA BASSO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 45/2017 della COMM. TRIB. REG. di AOSTA,

depositata il 13/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/11/2020 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. C.F. impugnava l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione con contestuale irrogazione delle sanzioni, notificatogli l’11 maggio 2015, relativo ad una donazione di Euro 465.000 effettuato in suo favore da parte della suocera A.L., sul presupposto che, contrariamente a quanto assunto dall’Ufficio, la somma accreditata sul suo conto corrente era destinata alla sottoscrizione di un aumento di capitale della società “2Win s.r.l.” e doveva essere qualificato come contratto di mutuo, nonchè sul rilievo che l’Agenzia era decaduta dal potere impositivo, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, richiamato dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 60.

La CTP di Aosta accoglieva il ricorso, dichiarando la decadenza dell’Agenzia dal potere impositivo esercitato oltre il termine quinquennale previsto dalla legge. L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione di primo grado.

La CTR della Valle d’Aosta accoglieva il gravame, qualificando l’accredito in conto corrente come donazione indiretta, e negando che fosse decorso il termine di legge per l’esercizio del potere impositivo, sul rilievo che l’accertamento dell’imposta di donazione scaturiva dall’autodichiarazione di liberalità indiretta resa dal ricorrente in data 28 maggio 2014, confermando la natura di donazione indiretta della dazione di somme in favore del C., sulla quale erano dovute le imposte relative.

Avverso la sentenza n. 45/2017, depositata il 13.12.2017, il contribuente propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, illustrato con le memorie del 22.10.2020.

L’ufficio resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorrente censura, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sentenza per violazione degli artt. 1362,1366,1360,1813 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., c.c., per avere il decidente valutato la natura giuridica della dazione di somme di denaro alla luce del verbale di dichiarazioni rese alla Guardia di Finanza omettendo, tuttavia, di considerare ed esaminare la documentazione prodotta nel giudizio di merito che dimostrava la conclusione di un contratto di mutuo e non di donazione; in particolare deduce il contribuente di aver allegato alla memoria, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 32 ed ex art. 58, comma 2, la lettera (doc. 10) del 31 luglio 2009 a lui indirizzata, con cui la A. gli comunicava ” di aver bonificato la somma di essere 199.500,00 sul complessivo prestito concordato di 465.000,00… siamo intesi che mi restituirai l’importo entro dieci anni senza interessi…”; nonchè la lettera del 31 luglio 2009 (documento n. 11 allegato anch’esso alla medesima memoria) con cui il predetto riscontrava la comunicazione della suocera.

Sulla scorta di detta documentazione, la CTR avrebbe dovuto ritenere che, in presenza dell’obbligo di restituzione, la somma bonificata sul suo c/c non poteva essere qualificata come donazione, bensì come mutuo.

Deduce al riguardo che prima ancora dell’omesso esame di un fatto decisivo, la CTR è incorsa in violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., avendo fondato il suo convincimento sulla base di talune risultanze istruttorie, trascurando l’esame delle altre.

3. La censura è fondata nei termini che seguono.

Occorre premettere che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezione, non anche quando abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. 05/09/2006, n. 19064; Cass. 17/06/2013, n. 15107; Cass. 21/02/2018, n. 4241) ovvero abbia omesso di esaminare taluni documenti prodotti.

Principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa corte di legittimità, ai sensi del quale la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo (cfr. Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, in motivazione).

Nel caso di specie, alla luce del disposto dell’art. 2697 c.c., l’onere di superare la presunzione di liberalità delle somme ricevute gravava sul contribuente, onere che il giudice del merito ha ritenuto non assolto sulla scorta delle dichiarazioni rese dal contribuente; con la conseguenza che la CTR non ha operato un’indebita inversione di tale onere, ma ha attribuito rilevanza esclusiva al processo verbale contenente le dichiarazioni rese nel 2014 dal contribuente, il quale confermava di aver ricevuto la somma dalla suocera senza indicarne il titolo.

La violazione dell’art. 115 c.p.c., tra l’altro denunciata dal ricorrente, può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale (Cass. 11 ottobre 2016, n. 20382)

In altri termini occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.. (Cass. n. 18092/2020; n. 4699 del 2018; n. 16812/2018; n. 13395 del 2018; n. 11176 del 2017; n. 23940/2017).

Per quanto attiene, poi, alla pretesa violazione dell’art. 116 c.p.c., essa può dirsi sussistente, e costituire valido motivo di ricorso per cassazione, solo in un caso: quando il giudice di merito attribuisca pubblica fede ad una prova che ne sia priva oppure, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova a valutazione vincolata, come l’atto pubblico (Cass. 12 ottobre 2017, n.).

Per contro, l’omessa valutazione di alcune fonti di prova, pur non costituendo di per sè violazione dell’art. 116 c.p.c., e quindi un error in procedendo, ma soltanto – a tutto concedere – un error in iudicando, integra gli estremi del vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, quando le prove non esaminate dimostravano quel fatto, conseguentemente trascurato (v. Cass. n. 11253/2020, in motiv.; n. 7618 del 2019).

Tuttavia, l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass. n. 26310/2017;n. 25557/2017; n. 4036/2014).

Infatti, secondo un’evoluzione interpretativa che può dirsi costante e rispettosa dell’esigenza di effettività della tutela del diritto azionato in giudizio, può dirsi che ormai, pur permanendo l’indispensabilità di un’articolazione del ricorso per cassazione in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, non è necessaria l’adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi, sicchè l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta più, di norma, alla riqualificazione della sua sussunzione entro diversa fattispecie dell’art. 360 c.p.c., comma 1, alla sola condizione che, nello sviluppo stesso del motivo, il ricorrente articoli con coerenza argomenti a sostegno di una tesi giuridica manifestamente riconducibile alla fattispecie malamente indicata (in tali espressi sensi, relativamente al vizio di omessa pronuncia: Cass. Sez. Un., 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. 31 ottobre 2013, n. 24553).

Pertanto, anche l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio – che deve essere proposta in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 – è utilmente fatta valere con un motivo, sia pure incongruamente od erroneamente rubricato ai sensi del n. 3 o n. 4 della stessa norma, se l’omissione è comunque adeguatamente prospettata come tale e se sono addotti motivi in punto di prospettata corretta individuazione della norma processuale da applicare e di quella violata.

Ebbene, nella presente fattispecie, alla pagina 8 del ricorso, il ricorrente ha prospettato l’omesso esame della documentazione depositata in sede di appello nel termine di venti giorni prima dell’udienza di discussione (doc. n. 1 e doc. n. 2 allegato alla memoria del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 32, comma 1 ed ex art. 58, comma 2) avente ad oggetto la corrispondenza, tra il contribuente e la suocera, relativa al prestito di denaro oggetto della tassazione, trascrivendo, in ossequio al principio di autosufficienza il testo integrale dei documenti nel ricorso per cassazione, nonchè gli argomenti e le deduzioni che, in relazione alla pretesa fatta valere, erano state formulate nel giudizio di merito (v. Cass. n. 13625/2019).

La documentazione depositata presenta peraltro, ex art. 2704 c.c., anche data certa anteriore (almeno il doc. n. 11 che reca il timbro postale del 2010) all’atto impositivo, con la conseguenza che l’eccepita simulazione da parte dell’Agenzia andrà valutata dalla CTR in sede di rinvio.

In conclusione, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e con rinvio alla CTR della Valle d’Aosta, in diversa composizione, che deciderà anche sulla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Valle d’Aosta, in diversa composizione, la quale deciderà anche sulla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale da remoto della quinta sezione civile della Corte di cassazione, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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