Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3986 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 18/02/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 18/02/2011), n.3986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 10545/2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS) in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

MARCONI DI GARZITTO GIANCARLO & C. SAS;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7/2008 della Commissione Tributaria Regionale

di TRIESTE del 5.3.08, depositata il 07/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ENNIO

ATTILIO SEPE.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:

“Con sentenza del 7/3/2008 la Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia respingeva il gravame interposto dall’AGENZIA DELLE ENTRATE di Udine nei confronti pronunzia della Commissione Tributaria di Udine di accoglimento, in ragione del condono L. n. 289 del 2002, ex art. 12, dell’opposizione spiegata dalla società MARCONI DI GARZITTO GIANCARLO & C. s.n.c. in relazione a cartella di pagamento emessa a titolo di IRPEF per l’anno d’imposta 1996.

Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello l’Agenzia delle entrate propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Con il 1^ MOTIVO la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il 2^ MOTIVO la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, artt. 7, 8, 9, 9 bis, 11, 12, 15 e 16, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

I motivi appaiono fondati.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il condono previsto all’art. 12 L. n. 289 del 2002 ha struttura e funzione diversa rispetto alle altre forme di sanatoria previste alla L. n. 289 del 2002, artt. 7, 8, 9, 15 e 16 (v. Cass., 6/10/2010, n. 20745).

Nel disciplinare una speciale procedura per la definizione dei carichi inclusi in ruoli emessi da uffici statali e affidati ai concessionari del servizio nazionale della riscossione fino al 31 dicembre 2000, mediante il pagamento del 25% dell’importo scritto a ruolo, oltre alle eventuali spese sostenute dal concessionario, la norma in argomento non prevede invero alcuna attestazione di regolarità del condono e del pagamento integrale di quanto dovuto, gravando invero sul contribuente, ai fini dell’accertamento della corrispondenza tra quanto versato ed il ruolo oggetto della controversia, l’onere di provare che il versamento effettuato concerna la controversia in corso e che le somme pagate corrispondano al 25% dell’importo iscritto a ruolo (capitale, interessi e sanzioni), oltre alle eventuali spese (cfr. Cass., 3/2/2006, n. 2410;

Cass., 8/7/2005, n. 14440. V. anche Cass., 30/6/2006, n. 15113).

Trattasi invero di una particolare forma di sanatoria (c.d. condono demenziale) di natura diversa rispetto a quelle previste alla L. n. 289 del 2002, artt. 7, 8, 9, 15 e 16 (c.d. condono premiale), le quali ultime attribuiscono al contribuente il diritto potestativo di chiedere un accertamento straordinario, da effettuarsi secondo regole peculiari e diverse da quelle ordinarie, del proprio rapporto tributario (cfr. Cass., 31/8/2007, n. 18353).

Diversamente da tali ipotesi, all’istanza di sanatoria non consegue invero una necessaria attività di liquidazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, non comportando in realtà il condono ex art. 12, incertezza alcuna, come sopra esposto, in ordine al quantum normativamente indicato da versarsi da parte del contribuente per definire favorevolmente la vicenda fiscale.

A tale stregua, il condono in argomento è pertanto condizionato all’integrale pagamento di quanto dovuto, conseguendone in difetto, quand’anche come nella specie si tratti di mero ritardo nel versamento dell’ammontare residuo dovuto, la definitiva inefficacia della sanatoria.

Al condono L. n. 289 del 2002, ex art. 12, non può ritenersi dunque applicabile il principio da questa Corte affermato con riferimento alla chiusura delle liti fiscali pendenti prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 16, in base al quale nel caso in cui il contribuente si avvalga della facoltà, prevista dal comma 2, di detta disposizione, di versare ratealmente l’importo dovuto, soltanto l’omesso versamento della prima rata comporta l’inefficacia dell’istanza di condono, con la conseguente perdita della possibilità di avvalersi della definizione agevolata, mentre in caso di mancato versamento delle rate successive si procede ad iscrizione a ruolo (a titolo definitivo) dell’importo dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 14, con addebito di una sanzione amministrativa pari al 30 per cento delle somme non versate (ridotta alla metà in caso di versamento eseguito entro i trenta giorni successivi alla scadenza della rata), oltre agli interessi legali (v.

Cass., 23/10/2006, n. 22788. V. anche Cass., 28/5/2007, n. 12410;

Cass., 22/3/2006, n. 6370).

Orbene nell’affermare, con motivazione meramente apparente, che secondo una costante e pacifica corrente giurisprudenziale, una volta accertata la ricorrenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi che legittimano la proposizione della domanda di condono, la omessa ovvero tardiva corresponsione delle somme dovute in base al condono non determinano nè invalidità, nè inefficacia del condono medesimo ma unicamente legittimano l’Ufficio al recupero forzoso delle somme ancora dovute, il giudice dell’appello ha disatteso invero i suindicati principi.

Dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la causa potrà essere peraltro decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente;

atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori della parte costituita;

rilevato che le parti non hanno presentato memoria nè vi è stata richiesta di audizione in Camera di consiglio;

considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;

rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;

ritenuto che il ricorso deve essere pertanto accolto, e che non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la causa può essere decisa nel merito, con rigetto del ricorso introduttivo della contribuente e la compensazione integrale tra le parti delle dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.

Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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