Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 39854 del 14/12/2021

Cassazione civile sez. VI, 14/12/2021, (ud. 26/10/2021, dep. 14/12/2021), n.39854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2187-2021 proposto da:

F.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL BANCO

DI SANTO SPIRITO, 42, presso lo studio dell’avvocato OSCAR BEZZI,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.L., C.N., C.E., in proprio e

quali eredi della sig.ra M.R., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA LIVIO ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato

ETTORE ROMAGNOLI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ILARIA ROMAGNOLI;

– controricorrenti –

contro

M.F.S., G.M., G.M.L.,

G.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4325/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/09/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 26/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

considerato che il Collegio condivide i rilievi di cui appresso, formulati dal relatore in seno alla proposta:

ritenuto che la vicenda qui al vaglio può riassumersi nei termini seguenti:

“- la Corte d’appello di Roma confermò la sentenza di primo grado, la quale aveva dichiarato proprietari per usucapione di uno stacco di terrendo C.L., C.E., C.N. e M.R., nei confronti di F.M.L., M.F.C. e M.F.S.;

ritenuto che F.M.L. ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di un solo motivo e che la controparte resiste con controricorso;

ritenuto che la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., assumendo che la sentenza impugnata aveva errato a non trarre le debite conseguenze in ordine alla mancata dimostrazione da parte dell’attrice di aver evocato in giudizio i proprietari del bene del quale rivendicava l’acquisto per usucapione, non avendo la stessa prodotto in giudizio la documentazione catastale e ipotecaria, tale da dimostrare “il valido titolo di proprietà in capo ai convenuti” e l’assenza di creditori ipotecari, che avrebbero avuto la qualità di litisconsorti necessari;

considerato che la doglianza è inammissibile:

a) la Corte territoriale rigetta il motivo d’appello, qui riproposto, dopo aver affermato che la giurisprudenza evocata dall’appellante si attagliava al giudizio di divisione ereditaria, nel quale era necessario verificare la sussistenza del diritto dominicale in capo a tutti gli interessati, chiarisce che la prodotta documentazione dimostrava la legittimazione passiva dei convenuti (peraltro, l’unica convenuta costituitasi non aveva sollevato eccezione di sorta in ordine all’integrità del contraddittorio, né aveva indicato eventuali altri titolari);

b) la doglianza, muovendosi esclusivamente su un piano astratto e congetturale, privo di qualsivoglia appiglio di seria apprezzabilità, invoca una vera e propria indagine, al cui esito, quale che esso possa essere, la ricorrente non ha interesse alcuno, poiché se fosse vero, come adombra la F., che la controparte non abbia dimostrato “il valido titolo di proprietà in capo ai convenuti”, non è dato cogliere in che consista l’interesse di essa ricorrente, proclamantesi, sia pure in astratta tesi, non titolare del fondo, all’accoglimento del ricorso;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S. U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643349), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida deliba5zione dei ricorsi “inconsistentì”;

considerato che la memoria della ricorrente non induce a mutamento d’opinione, in quanto, anche ad ammettere che la ricorrente abbia interesse alla censura, non avendo mai negato di essere titolare del bene (come dalla stessa asserito), risulta assorbente la circostanza che la medesima si è limitata ad eccepire la non integrità del contraddittorio dal lato passivo del tutto genericamente, omettendo, anche in questa sede, d’indicare i soggetti asseritamente non citati, nel mentre, siccome evidenzia la sentenza impugnata, “l’unica convenuta costituita non ha sollevato alcuna eccezione in merito alla integrità del contraddittorio”, dovendosi ribadire il principio già enunciato da questa Corte, secondo il quale l’eccezione di difetto del contraddittorio per violazione del litisconsorzio necessario può essere sollevata per la prima volta in sede di legittimità, a condizione che l’esistenza del litisconsorzio risulti dagli atti e dai documenti del giudizio di merito e la parte che la deduca ottemperi all’onere di indicare nominativamente le persone che devono partecipare al giudizio, di provare la loro esistenza e i presupposti di fatto e di diritto che giustifichino l’integrazione del contraddittorio (Sez. 2, n. 23634, 28/09/2018, Rv. 650383);

considerato che la soccombente ricorrente va condannata a rimborsare le spese in favore della parte controricorrente, la quale ha anche fatto pervenire memoria illustrativa, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo;

considerato che ai sensi D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2021

 

 

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