Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 39852 del 14/12/2021

Cassazione civile sez. VI, 14/12/2021, (ud. 13/10/2021, dep. 14/12/2021), n.39852

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12421-2019 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in GENOVA, DISTACCO PIAZZA

MARSALA 4-14, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BATTISTA

ALBITES COEN, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE MOCONESI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA NICATORE;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 24725/2018 della CORTE SUPRENL/ DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 08/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Genova, con sentenza resa nel contraddittorio tra T.A. e il Comune di Moconesi, ha accertato l’esistenza di una servitù di uso pubblico per ditali ad patriam su un terreno della T.. Dichiarato inammissibile, ex art. 348-bis c.p.c., l’appello proposto dalla T. contro la sentenza di primo grado, questa è stata impugnato dalla stessa T. con ricorso per cassazione. Il ricorso è stato rigettato con ordinanza con ordinanza n. 24725 del 2018. Avverso tale ordinanza T.A. propone ricorso per revocazione sulla base di un unico motivo, con il quale si sostiene che la ricorrente, nell’originario ricorso per cassazione, aveva prospettato la seguente tesi in diritto: strada privata che trae origine dal termine di una strada pubblica veicolare, ma che finisce contro una casa e dalla quale parte un sentiero pedonale, non può recare a quella strada pubblica veicolare l’utilità tipica di essa, né può conseguire il fine di pubblico interesse delle strade pubbliche veicolari, che è quello di consentire la circolazione pubblica veicolare. Su tale premessa in diritto, la ricorrente, sull’auspicio che la Corte Suprema l’avesse condivisa, aveva opinato che il ricorso avrebbe potuto essere accolto con decisione nel merito, essendo circostanza pacifica che la conformazione dei luoghi non consentiva, tramite la strada privata oggetto della supposta servitù di uso pubblico, il passaggio veicolare dall’una all’altra strada pubblica. Ad ogni modo la ricorrente aveva formulato anche un’ipotesi alternativa rispetto alla decisione nel merito: fermo l’errore in diritto commesso dal tribunale, nell’avere riscontrato nella fattispecie i presupposti per il sorgere della servitù, la decisione impugnata avrebbe dovuto essere cassata per consentire al giudice di merito di compiere il relativo accertamento sulla impossibilità del transito veicolare dall’una all’altra strada pubblica, accertamento vanamente richiesto nelle fasi di merito. Era stato sostenuto inoltre che, seppure la tesi in diritto accolta dal tribunale fosse stata esatta, nel senso potrebbe costituire oggetto di servitù carrabile di uso pubblico anche una strada priva di collegamento con altra via carrabile, il ricorso era comunque da accogliere, perché l’ipotesi dedotta dal Comune preludeva a un uso esclusivamente veicolare.

Con il ricorso per revocazione la T. sostiene che la Corte di cassazione, in palese contrasto con tali deduzioni, avrebbe definito il ricorso supponendo che la ricorrente avesse chiesto, in sede di legittimità, l’accertamento “se un tratto del percorso non fosse carrabile”, laddove l’esistenza di una tale richiesta, da considerarsi alla stregua di un fatto, era incontrovertibilmente esclusa.

Il Comune di Moconesi ha resistito con controricorso.

Il ricorso, su conforme proposta del relatore di inammissibilità del medesimo, è stato fissato dinanzi alla sesta sezione civile della Corte di cassazione.

Le parti hanno depositato memorie.

Il ricorso è inammissibile. Innanzitutto, esso si fonda su un passaggio dell’ordinanza impugnata che non integra la ratio della decisione, fondata sul diverso rilievo che “dall’esame della sentenza del Tribunale risulta che la servitù in questione sia “pedonale e veicolare”, senza che in alcun modo si distingua fra i tratti ipotizzati dalla ricorrente”. In secondo luogo, si osserva che la Corte di cassazione, laddove afferma che la ricorrente aveva posto in sede di legittimità “una questione in fatto, relativa al se un tratto del percorso non sia carrabile”, intendeva all’evidenza sottolineare che la censura per violazione di legge, dedotta con il motivo, presupponeva una ricostruzione in fatto diversa da quella assunta nella sentenza impugnata, dalla quale risultava che la servitù fosse a un tempo “pedonale e veicolare”: il che, secondo la Corte di legittimità, avrebbe giustificato una censura diversa da quella dedotta, non violazione di legge, ma omesso esame di un fatto decisivo. Tale censura, però, nella specie non era configurabile, stante la preclusione ex art. 348-ter c.p.c.

Gli argomenti, già spesi con l’iniziale ricorso per revocazione, sono ripresi con la memoria depositata dal nuovo difensore della T.. Con tale memoria, perpetuando l’equivoco in ordine alla lettura dell’ordinanza impugnata, si insiste nella tesi che, con l’iniziale ricorso per cassazione, la ricorrente sottopose alla Suprema corte una questione di puro diritto, “lungi dal sottoporre alla stessa alcuna quaestio facti”. Ribadito il reale significato del passaggio motivazionale con cui si allude alla quaestio facti, rimane ulteriormente confermato che ciò che si chiede con l’istanza di revocazione non è il rilievo di un errore risultante dalla sentenza impugnata “con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive” (Cass. n. 16439 del 2021; Cass. n. 3190 del 2006); si chiede piuttosto di compiere una corretta valutazione del motivo a suo tempo proposto, supponendosi errata quella compiuta con l’ordinanza oggetto dell’istanza di revocazione. Ciò non è consentito, perché “in tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, configurabile solo nelle ipotesi in cui essa sia giudice del fatto ed incorra in errore meramente percettivo, non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perché in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso” (Cass. n. 3760 del 2018; Cass. n. 10466 del 2011).

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 13 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2021

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