Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3985 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/02/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 16/02/2021), n.3985

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24132-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente-

contro

C.C., N.M., N.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2041/2016 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

TARANTO, depositata il 05/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/11/2020 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

 

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

C.C., N.M. e N.V. presentavano, in data 14 febbraio 2008, istanza di rimborso dell’imposta sostitutiva INVIM per l’importo di Euro 5.700,00, erroneamente corrisposta da N.A. in autoliquidazione, a seguito della dichiarazione di successione della moglie presentata nell’anno 1998.

L’istanza di rimborso veniva respinta dall’Agenzia delle Entrate, in quanto presentata oltre il termine triennale di decadenza di cui al D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 42.

I contribuenti impugnavano il diniego di rimborso Invim dinanzi alla CTP di Taranto che – con sentenza n. 620/2010 – accoglieva il ricorso, sul presupposto che il termine triennale di decadenza “concerne le ipotesi di imposta regolarmente percetta, mentre nell’ipotesi in cui l’imposta non è dovuta trovano applicazione gli ordinari termini prescrizionali”. La sentenza dei primi giudici veniva gravata dall’Erario, il quale insisteva nell’eccezione di decadenza dal diritto al rimborso ed eccepiva la carenza dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 17, comma 6.

La Commissione Tributaria Regionale della Puglia respingeva l’appello dell’ufficio sul presupposto che, poichè il titolo di provenienza della successione di N.A. era posteriore all’anno 1992, gli eredi non dovevano pagare l’INVIM, per il cui rimborso trovava applicazione il termine decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c..

L’Agenzia delle Entrate ricorre sulla base di due motivi per la cassazione della decisione n. 2041/28/2016 depositata il 05 settembre 2016.

I contribuenti sono rimasti intimati.

Diritto

ESPOSIZIONE DELLA RAGIONI DI DIRITTO

1. Con la prima censura la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 42, nonchè del D.P.R. n. 637 del 1972, art. 47 e dell’art. 2946 c.c.; assume che i giudici regionali hanno erroneamente escluso la fattispecie dalle ipotesi disciplinate dal cit. art. 42, ritenendo trattarsi di pagamento dovuto ad erronea interpretazione della norma. Deduce al riguardo che, secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, il contribuente deve richiedere il rimborso dell’Invim nel termine triennale, sempre che l’imposta sia stata pagata spontaneamente dal debitore e non in forza di atto impositivo notificato dall’ufficio; mentre il termine decennale di prescrizione trova applicazione, secondo l’ente ricorrente, solo nelle ipotesi di imposta di successione illegittimamente percetta che è corrisposta a seguito di liquidazione da parte dell’Ufficio.

2. Con la seconda censura si deduce violazione dello Statuto del Contribuente, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere i giudici regionali erroneamente affermato l’illegittimità del disconoscimento del diritto al rimborso, in violazione dei principi di buona fede e collaborazione che devono improntare i rapporti con l’amministrazione.

3. Il primo motivo è fondato, assorbito il secondo. Il D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 42, comma 2, richiamato per l’invim decennale dal D.P.R. n. 643 del 1972, art. 31, stabilisce che “il rimborso deve essere richiesto a pena di decadenza entro tre anni dal giorno del pagamento o, se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione”. L’interpretazione di questa disposizione porta a ritenere che il termine di decadenza ivi previsto decorra dal di del pagamento, salvo che il sorgere del diritto alla restituzione non sia riconducibile ad un evento successivo (Cass. n. 23716 del 2004). In particolare, il termine deve farsi decorrere dal pagamento in tutti i casi in cui l’agente si trovi, fin da questo momento, nella condizione di rendersi conto dell’erroneità, in tutto o in parte, del pagamento dell’imposta, con conseguente possibilità di chiedere il rimborso di quanto versato.

Ciò anche se tale diritto venga accertato in via giudiziale, atteso che la pronuncia del Giudice può conferire soltanto certezza al diritto e definitività al relativo accertamento, ma non incide sulla sua nascita che va, nei casi considerati, temporalmente collocata in un momento precedente. E’ però necessario che il pagamento sia eseguito spontaneamente dal contribuente, in assenza di qualsiasi atto impositivo dell’Ufficio finanziario, mentre, se è avvenuto contestualmente alla proposizione del ricorso avverso l’avviso di liquidazione allo scopo di evitare la riscossione coattiva dell’imposta, il termine di decadenza decorre dal passaggio in giudicato della sentenza che abbia accolto il ricorso.

Nel caso di specie deve ritenersi che il diritto dei contribuenti alla restituzione fosse sorto fin dal tempo del versamento dell’imposta, trovandosi la parte nella condizione giuridica di avvedersi dell’errore e quindi di chiedere il rimborso (Cass. n. 5516/2009; n. 15627/2014).

Di questo principio non ha fatto buon governo la sentenza impugnata che va dunque cassata.

4. In conclusione, il ricorso va accolto.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la sentenza va cassata e, decidendo nel merito, deve essere respinto l’originario ricorso dei contribuenti.

Sussistono i presupposti, tenuto conto dell’andamento delle vicende processuali, per la compensazione delle spese del giudizio di merito.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono il principio della soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso dei contribuenti; compensa le spese del giudizio di merito; condanna parte contribuente alla refusione delle spese sostenute per il presente giudizio dall’Agenzia delle entrate che liquida in Euro 1.400,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale da remoto della sezione tributaria della Corte di Cassazione, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA