Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3985 del 15/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 15/02/2017, (ud. 10/01/2017, dep.15/02/2017),  n. 3985

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 1742/13, proposto da:

Autosalone Internazionale s.r.l., in persona del legale rappres.

p.t., elett.te domic. in Roma, alla via Zanardelli n. 36, presso

l’avv. Paolo Puccioni, dal quale è rappres. e difesa con procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, elett.te domic. In Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12, presso l’avvocatura dello Stato che la rappres. e

difende come per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 86/42/12 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata il 31/5/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/1/2017 dal consigliere Dott. Caiazzo Rosario;

udito il difensore della parte controricorrente, avv. Caselli;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale Dott. De

Augustinis Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Autosalone Internazionale s.r.l. impugnò innanzi la CTP di Varese un avviso d’accertamento afferente alla rideterminazione del reddito d’impresa e al valore della produzione, ai fini Irap, per l’anno 2005, recuperando a tassazione la maggiore imposta per iva.

La CTP accolse parzialmente il ricorso, in ordine alla questione relativa ai maggiori ricavi accertati, derivanti dalla cessione di automobili usate, ritenendo prive di fondamento le presunzioni basate sui differenziali negativi che scaturivano dal raffronto tra il prezzo d’acquisto e di vendita di alcune automobili, in quanto il concetto di antieconomicità non poteva desumersi da alcune transazioni, ma dall’intera gestione aziendale.

Avverso tale sentenza, l’agenzia delle entrate propose appello; si costituì la società, chiedendone il rigetto e proponendo appello incidentale.

La CTR accolse parzialmente l’appello, argomentando che l’accertamento dei maggiori ricavi fosse da ritenere corretto, in quanto era emerso un rilevante numero di cessioni di automobili in perdita per il venditore, mentre la società appellata aveva allegato deduzioni non documentate circa la gestione della casa – madre in tema di permuta di automobili nuove con vecchie (ovvero la sopravvalutazione dell’usato ritirato dai clienti acquirenti di autovetture nuove).

La CTR rigettò invece l’appello incidentale.

Avverso tale sentenza l’Autosalone Internazionale s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, formulando due motivi.

Con il primo, la parte ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, criticando l’argomentazione presuntiva che aveva sorretto l’accertamento dei maggiori ricavi circa il numero delle cessioni di autoveicoli usati e il relativo prezzo.

Con il secondo motivo, parte ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 85 del TUIR, considerato che il controllo sull’economicità o meno di atti imprenditoriali sarebbe stato da esercitare in ordine alla gestione sociale, nella sua interezza e complessità.

Resiste l’agenzia delle entrate, con controricorso, eccependo l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Parte ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c., riportandosi alle proprie difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, il collegio delibera di redigere la sentenza in forma semplificata.

Inoltre, i due motivi sono da esaminare congiuntamente, data la connessione da cui sono avvinti.

Il ricorso è infondato.

La società ricorrente ha censurato l’accertamento analitico – induttivo effettuato dall’ufficio, muovendo dalla critica della valutazione afferente all’antieconomicità delle operazioni compiute, oggetto del medesimo accertamento.

Occorre richiamare il consolidato orientamento della Corte secondo cui una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di un comportamento del contribuente, poichè assolutamente contrario ai canoni dell’economia, incombe sul medesimo l’onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni, essendo in difetto pienamente legittimo il ricorso all’accertamento induttivo da parte dell’amministrazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, e D.P.R. n. 603 del 1972, art. 54 (Cass., 20.3.2013, n. 6918).

Nel caso concreto, l’accertamento dell’ufficio ha inteso dimostrare, attraverso presunzioni, l’antieconomicità delle vendite di automobili usate, riscontrate in numero rilevante e con notevole entità delle differenze tra i prezzi praticati e il valore effettivo dei beni ceduti.

Al riguardo, dallo stesso ricorso si evince che le transazioni ritenute dall’ufficio espressione di antieconomicità- in quanto caratterizzate da differenziali negativi – ammontano a circa la metà, per cui la censura in esame, in realtà, appare sostanzialmente tradursi in un’istanza di revisione del giudizio di merito espresso dalla CTR.

Nè può dubitarsi della gravità, precisione e concordanza delle presunzioni utilizzate dai verificatori, considerando altresì che parte ricorrente ha inteso contestare la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice d’appello avrebbe considerato solo alcune transazioni e non l’attività imprenditoriale nel suo complesso, senza però criticare i suddetti connotati delle presunzioni utilizzate. La parte ricorrente non ha addotto argomenti idonei a vincere le stesse presunzioni, ovvero ad escludere il carattere antieconomico delle operazioni contestate nell’accertamento impugnato.

Per le medesime argomentazioni suesposte va ritenuta l’infondatezza del secondo motivo, in quanto l’accertamento induttivo è stato sorretto da presunzioni afferenti alla complessiva attività imprenditoriale della società e non certo con riferimento a singoli operazioni commerciali.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso, condannando la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 5000,00 oltre la maggiorazione del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2017

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