Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3982 del 19/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 3982 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: BUFFA FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 11745-2012 proposto da:
ROMEO ROSA vedova CORSARO C.F. RMORS034L700351H,
CORSARO FATIMA C.F. CRSFTM69H61C351W, nella qualità di
eredi di CORSARO ANTONIO, domiciliate in ROMA, PIAZZA
CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato
2014

MUSCARA’ SALVATORE, giusta delega in atti;
– ricorrenti –

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contro

ASEC S.P.A. P.I. 03542180876, già Azienda Servizi
Energetici

Catania,

in

persona

del

legale

Data pubblicazione: 19/02/2014

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA VALNERINA 40, presso lo studio
dell’avvocato SCARTOZZI GINO, rappresentata e difesa
dall’avvocato MASCHERONI EMILIO, giusta delega in
atti;

avverso la sentenza n. 1125/2011 della CORTE D’APPELLO
di CATANIA, depositata il 01/02/2012 R.G.N. 1451/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/01/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
BUFFA;
udito l’Avvocato MUSCARA’ SALVATORE;
udito l’Avvocato SCARTOZZI GINO per delega MASCHERONI
EMILIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto del ricorso.

– controricorrente

1. Antonio Corsaro, dipendente dell’Azienda Autonoma Municipale del Gas di
Catania (AAMG), cessato il rapporto nel 1992, chiedeva nei confronti dell’ex
datore di lavoro il riconoscimento di vari diritti fondati sul rapporto lavorativo,
tra i quali, per quanto in questa sede rileva, il pagamento delle differenze per
maggior indennità di anzianità calcolata sulla base dei 54/30 (e non dei 30/30)
dell’ultima retribuzione percepita, ai sensi dell’art. 42 del C.C.N.L. 4 aprile
1974. Il giudizio, introdotto dal lavoratore, veniva proseguito dagli eredi
Romeo Rosa e Corsaro Fatima, mentre l’Azienda Servizi Energetici Catania
(oggi ASEC spa) subentrava all’AAMG.
2. Il Tribunale di Catania, con sentenza 20.5.2003, riformando la sentenza del
pretore della stessa sede del 17.11.1998, accoglieva sul punto la domanda del
lavoratore. Ricordava la sentenza della corte territoriale, per quel che qui
interessa, che con un accordo aziendale del 1957 ed altro del 1963 si era
convenuto di non iscrivere i dipendenti al fondo di previdenza Premungas,
salva diversa volontà degli stessi, e che l’iscrizione del Corsaro al fondo,
operata dall’Azienda solo nel 1978, dopo circa venti anni di ininterrotta
applicazione, a tutto il personale, dell’accordo del 1957 e nonostante il rifiuto
espresso del Corsaro, era illegittima, sicché l’eventuale pensione integrativa
maturata non poteva impedire la maturazione della maggiorazione di cui
all’art. 42 del C.C.N.L. 4 aprile 1974 invocato dal lavoratore (la cui
applicazione, quale trattamento di maggior favore per i lavoratori, era stata
fatta salva del C.C.N.L. del 1980, che aveva ridotto per il futuro l’importo della
maggiorazione nella misura dei 30/30 della retribuzione globale). Il giudice di
secondo grado condannava pertanto l’ASEC, sulla scorta di consulenza tecnica
contabile, a pagare agli eredi appellanti la complessiva somma di circa euro
45mila a titolo di trattamento di fine rapporto, oltre al rimborso delle ritenute
operate in favore del Premungas.
3. La sentenza veniva impugnata in cassazione dal datore di lavoro, che
evidenziava che il tribunale non aveva tenuto presente i requisiti richiesti
dall’art. 42 C.C.N.L. del 1974 per fruire della maggiorazione, prevedendo la
norma contrattuale il beneficio solo in favore dei lavoratori licenziati o
collocati a riposo senza aver diritto alla pensione integrativa e di quelli
dimissionari che non avessero acquisito il diritto né alla pensione integrativa né
a quella di legge; rilevava, in proposito, che i giudici di appello non avevano
considerato che il lavoratore aveva cessato la sua attività a seguito di
dimissioni incentivate e che lo stesso fruiva di pensione. Aggiungeva il datore
che, a seguito della sottoscrizione del C.C.N.L. del 1978, l’indennità di
anzianità era prevista nella misura di 30/30 della retribuzione globale in atto
alla cessazione del servizio per ogni anno dell’intero arco di servizio, sicché in
ogni caso, alla luce di tale nuova disposizione —secondo le regole sulla
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successione dei contratti- non competeva più la maggiorazione nella maggior
misura di 54/30 già prevista dalla contrattazione del 1974. Deduceva infine, in
ulteriore subordine, che, atteso che l’art. 50 del C.C.N.L. del 1980 faceva
comunque salve le disposizioni locali di miglior favore, potevano trovare
applicazione per il lavoratore al più le più favorevoli disposizioni dei soli
contratti aziendali del 1957 e del 1962, che prevedevano una maggiorazione
del t.f.r. nella misura da 12 a 23/30, aumentata a 32/30 dall’accordo del 1962.
La Cassazione, con sentenza n. 1571 del 26.1.2006, ha ritenuto fondato il
motivo, per non essere adeguatamente indicate dal giudice in motivazione le
ragioni della mancata considerazione del fatto che il lavoratore fruisse di
pensione, condizione ostativa alla fruizione della maggiorazione ai sensi
dell’art. 42 del C.C.N.L. del 1974. La sentenza è stata quindi cassata con rinvio
alla Corte d’appello di Catania al fine di “rimediare ai vizi logici in cui è
incorsa nella sentenza impugnata nella dimostrazione che al signor Corsaro,
per effetto della applicazione dell’accordo aziendale del 1957, era applicabile il
C.C.N.L. del 1974, art. 42, lett. b; e dare conto, in caso di dimostrata
applicazione di tale norma, della eccepita efficacia ostativa del godimento della
c.d. pensione di legge”.
Con sentenza 1.2.2012, la Corte d’appello di Catania, sul punto che in questa
sede rileva, ha negato la configurabilità di un diritto del lavoratore alla
maggiorazione dell’indennità di anzianità nella misura dei 54/30 ed ha
condannato gli eredi del lavoratore a restituire quanto percepito al detto titolo
in corso di causa, pari ad oltre € 51 mila, oltre interessi.
Ha ritenuto la sentenza della corte territoriale l’inapplicabilità dell’art. 42
suddetto al lavoratore, in quanto derogato in pejus dal contratto collettivo del
1980, nonché la non riconoscibilità della invocata maggiorazione sulla base
degli accordi aziendali del 1957 e 1963, non essendo prevista la misura dei
54/30 dai detti accordi, ma solo dal contratto collettivo nazionale del 1974,
inapplicabile nella specie per quanto detto.
Avverso tale pronuncia propongono ricorso gli eredi del lavoratore, con due
motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso, accompagnato da
memoria, il datore di lavoro.

8. Con il primo motivo, si deduce —ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.violazione e falsa applicazione dell’art. 2077 cod. civ. e 1362 cod. civ., in
relazione all’artt. 42 lett. B) del c.c.n.l. del 1974, lamentando che il giudice del
rinvio abbia applicato disposizioni contrattuali peggiorative di accordi
individuali plurimi fatti salvi dall’art. 50 del c.c.n.l. del 1980, violando per di
più l’art. 2077 cod. civ., che prevede la sostituzione di diritto delle clausole dei
contratti individuali con quelle del contratto collettivo, salvo che le prime siano
più favorevoli. Si rileva, in particolare, che il diritto al trattamento di anzianità
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—nella misura dei 54/30 dell’ultima retribuzione- ha fondamento negli accordi
notarili individuali integrati dalla contrattazione collettiva, cui si fa espresso
richiamo in caso di regolamentazione migliorativa, e che il detto diritto è un
diritto quesito, non modificabile da successivi contratti collettivi nazionali ed
anzi fatto salvo dall’art. 50 suddetto.
9. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce —ai sensi dell’art 360 n. 5 cod.
proc. civ.- violazione degli ara. 392 e 394 cod. proc. civ., ed omessa erronea ed
insufficiente motivazione della controversia, lamentando che la corte
territoriale, nell’applicare le regole di successione nel tempo dei contratti
collettivi omogenei per livello, abbia deciso su punti non oggetto di rinvio,
avendo per converso la S.C. già definitivamente sancito la natura di accordi
individuali degli accordi notarili 1957 e 1963.
10. Il primo motivo è in parte improcedibile, con riferimento alla dedotta
violazione dell’art. 1362 cod. civ. ed all’invocata interpretazione della clausola
della “salvezza delle condizioni locali di maggior favore” prevista dall’art. 50
del c.c.n.1, non essendo stati prodotto nel testo integrale il contratto collettivo
della cui interpretazione ci si duole, nonostante la chiara previsione dell’ara.
369 co. 2 cod. proc. civ. (nell’interpretazione costantemente seguita da questa
Corte: tra le tante, Cass. Sez. U, Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, secondo la
quale nel giudizio di cassazione, l’onere del ricorrente di produrre, a pena di
improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o
accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del
principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai
documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del
fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti
contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di
trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai
sensi dell’art. 369, terzo comma, cod. proc. civ., ma resta ferma, in ogni caso,
l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6,
cod. proc. civ., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento
degli stessi; tra le altre, nel medesimo senso, Sez. 6 – L, Ordinanza n. 21366 del
15/10/2010).
11. Il motivo è pure inammissibile per violazione del principio di autosufficienza,
nella parte in cui si richiamano le disposizioni degli accordi del 1957 e 1963
senza trascriverne le disposizioni rilevanti. Ha precisato infatti la
giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 2560 del
06/02/2007) che l’interpretazione della volontà delle parti in relazione al
contenuto di un contratto o di una qualsiasi clausola contrattuale importa
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indagini e valutazioni di fatto affidate al potere discrezionale del giudice di
merito, non sindacabili in sede di legittimità ove non risultino violati i canoni
normativi di ermeneutica contrattuale e non sussista un vizio nell’attività svolta
dal giudice di merito, tale da influire sulla logicità, congruità e completezza
della motivazione. Peraltro, quando il ricorrente censuri l’erronea
interpretazione di clausole contrattuali da parte del giudice di merito, per il
principio di autosufficienza del ricorso, ha l’onere di trascriverle integralmente
perché al giudice di legittimità è precluso l’esame degli atti per verificare la
rilevanza e la fondatezza della censura (con riferimento alla contrattazione
collettiva, poi, tra la altre, Sez. L, Sentenza n. 4678 del 02/04/2002).
12.11 motivo è per il resto infondato con riferimento alla dedotta violazione
dell’art. 2077 cod. civ.. Occorre premettere che il diritto invocato dal
lavoratore ha fondamento solo nella contrattazione collettiva del 1974, come
correttamente ritenuto dalla corte territoriale nella sentenza impugnata, e non
nei pregressi accordi che prevedevano maggiorazioni del trattamenti in misura
diversa e meno favorevole al lavoratore. La maggiorazione è poi venuta meno
con il c.c.n.l. del 1980, che ha fatto salvo solo diverse previsioni locali più
favorevoli. Ciò posto va rilevato che è infondata la prospettazione del
ricorrente secondo cui l’art. 2077 cod. civ. garantirebbe un effetto sostitutivo in
melius delle clausole contrattuali individuali, recependo il contenuto più
favorevole di clausole collettive successive, precludendo nel contempo
l’operatività concreta della successione nel tempo delle disposizioni
contrattuali collettive ove le successive siano meno favorevoli.
13. La giurisprudenza di questa Corte ha infatti chiarito che il divieto di deroga in
pejus posto dall’art. 2077 cod. civ. è relativo solo alle disposizioni contenute
nel contratto individuale di lavoro in relazione alle disposizioni del contratto
collettivo, non viceversa, mentre i rapporti di successione temporale tra
contratti collettivi sono regolati non dall’art. 2077 cod. civ. ma dal principio
della libera volontà delle parti stipulanti, cosicché, nell’ipotesi di successione
tra contratti collettivi, le precedenti disposizioni possono essere modificate da
quelle successive anche se in seguito sfavorevole al lavoratore, con il solo
limite dei diritti quesiti, ovvero di quei diritti che sono già entrati a far parte del
patrimonio individuale del lavoratore (Sez. L, Sentenza n. 16635 del
05/11/2003). Si è pure precisato (Sez. L, Sentenza n. 13879 del 14/06/2007)
che, nel caso in cui ad una disciplina collettiva privatistica succeda altra
disciplina di analoga natura, si verifica l’immediata sostituzione delle nuove
clausole a quelle precedenti, ancorché la nuova disciplina sia meno favorevole
ai lavoratori, giacché il divieto di deroga in pejus è posto dall’art. 2077 cod.
civ. unicamente per il contratto individuale di lavoro in relazione alle
disposizioni del contratto collettivo, con la conseguenza che i lavoratori non
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possono vantare posizioni di diritto quesito trovando i loro individuali interessi
tutela solo tramite quella dell’interesse collettivo. Correlativamente, nell’ipotesi
di successione tra contratti collettivi, per cui le precedenti disposizioni possono
essere modificate da quelle successive anche in senso sfavorevole al lavoratore,
con il solo limite dei diritti quesiti, il lavoratore stesso non può pretendere di
mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto
derivante da una norma collettiva non più esistente e ciò in quanto le
disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei
contratti individuali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di
regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché, nel caso di
successione di contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono
suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più
favorevole (art. 2077 cod. civ.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo
ed individuale (Sez. L, Sentenza n. 21234 del 10/10/2007; Sez. L, Sentenza n.
16691 del 24/08/2004).
14. Non vi è dubbio, peraltro, che anche nell’ambito del rapporto di lavoro sono
configurabili diritti quesiti, che non possono essere incisi dalla contrattazione
collettiva in mancanza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da
parte dei singoli lavoratori, ma tale situazione (come precisato da Sez. L,
Sentenza n. 20838 del 29/09/2009) è configurabile solo con riferimento a
situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore
subordinato, come nel caso dei corrispettivi di prestazioni già rese, e non
invece in presenza di quelle situazioni future o in via di consolidamento, che
sono frequenti nel contratto di lavoro, da cui scaturisce un rapporto di durata
con prestazioni ad esecuzione periodica o continuativa, autonome tra loro e
suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione
di contratti collettivi.
15. Il secondo motivo di ricorso è del pari infondato, atteso che la corte territoriale
non ha superato i limiti del rinvio, non essendosi in alcun modo occupata della
qualificazione degli accordi 1957 e 1963, che non sono stati applicati al caso
non in quanto norme collettive derogate da altre omogenee collettive, ma in
quanto norme non recanti la previsione della maggiorazione nella misura
invocata dall’attore.

16. Le spese e competenze di lite seguono la soccombenza.

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rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite, che si
liquidano in complessivi € 3.000,00, di cui € 100,00 per spese, oltre accessori come
per legge.
Roma, 8 gennaio 2014
dente
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