Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3981 del 18/02/2011
Cassazione civile sez. trib., 18/02/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 18/02/2011), n.3981
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MERONE Antonio – Presidente –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 9516/2009 proposto da:
DEMAS SRL (OMISSIS), in persona del Presidente del Consiglio di
Amministrazione, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI SANTA
COSTANZA 35, presso lo studio dell’avvocato VITTUCCI Domenico, che la
rappresenta e difende, giusta mandato speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope
legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 137/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di ROMA del 25/09/08, depositata il 12/11/2008;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
02/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
è presente il P.G. in persona del Dott. ENNIO ATTILIO SEPE.
Fatto
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:
“Con sentenza del 12/11/2008 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio respingeva il gravame interposto dalla società DEMAS s.r.l.
nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Roma di rigetto dell’opposizione spiegata in relazione ad avviso di accertamento emesso dall’AGENZIA DELLE ENTRATE Roma (OMISSIS) a titolo di I.V.A., IRPEG ed IRAP per l’anno d’imposta 2002.
Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello la società DEMAS s.r.l. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 MOTIVI. Con il 1^ MOTIVO denunzia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il 2^ MOTIVO denunzia violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il 3^ MOTIVO denunzia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 163 (già art. 127), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Resiste con controricorso l’AGENZIA DELLE ENTRATE. Il ricorso dovrà essere ritenuto inammissibile in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366 bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.
L’art. 366 bis c.p.c., dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).
Orbene, nel caso i motivi risultano formulati senza recare invero il prescritto quesito di diritto.
E’ d’altro canto da escludersi la configurabilità di una formulazione del quesito di diritto implicita nella formulazione del motivo di ricorso, avendo Cass., Sez. Un., 26/3/2007, n. 7258 precisato che una siffatta interpretazione si risolverebbe invero nell’abrogazione tacita della norma.
I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo;
atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;
rilevato che le parti non hanno presentato memoria, nè vi è stata richiesta di audizione in Camera di consiglio;
considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;
rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;
ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato pertanto inammissibile;
considerato che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.100,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011