Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3978 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/02/2021, (ud. 08/10/2020, dep. 16/02/2021), n.3978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36687-2018 proposto da:

COMUNE DI CASTENEDOLO, rappresentato e difeso dagli avvocati BUIZZA

DANTE DANIELE e ANDREOTTI ROBERTA, con domicilio eletto presso lo

studio di quest’ultima in ROMA, via GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI n. 27;

– ricorrente –

contro

CAVE SAN POLO SRL IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata in ROMA,

via ALESSANDRO MALLADRA n. 31, presso lo studio dell’avvocato IARIA

GIOVANNI, rappresentata e difesa dall’avvocato BERTELLI PAOLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2639/2018 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA

SEZ. DIST. di BRESCIA, depositata il 07/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/10/2020 dal Consigliere Dott. CAVALLARI DARIO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Cave S. Polo srl ha proposto ricorso contro tre avvisi di accertamento relativi all’IMU per gli anni di imposta 2012. 2013 e 2014 dovuta al Comune di Castenedolo.

La CTP di Brescia, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 581/3/2016, ha respinto il ricorso.

La società contribuente ha presentato appello che la CTR Lombardia, Sez. dist. Brescia, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 2639/25/2018, ha accolto.

Il Comune di Castenodolo ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

La Cave S. Polo srl si è difesa con controricorso. La sola parte ricorrente ha depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il Comune di Castenodolo lamenta la violazione degli artt. 2135 c.c., L.R. Lombardia n. 14 del 1998, art. 10, R.D. n. 1572 del 1931, art. 18, R.D. n. 1539 del 1933, art. 48, R.D.L. n. 652 del 1939, art. 6, D.M. n. 28 del 1998, art. 3, nella parte in cui la CTR ha dichiarato la cava un terreno agricolo, correttamente accatastato in catasto terreni, nonchè del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 2 e 5, D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 2, D.Lgs. n. 23 del 2011, artt. 8 e 9, D.L. n. 652 del 1939, artt. 3, 4, 5, 6, e 10, convertito dalla L. n. 1249 del 1939, D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 3, 4, 5 e 40 del D.M. n. Finanze n. 28 del 1998, artt. 1 e 2, ove il giudice di appello ha dichiarato la cava non qualificabile come fabbricato e non iscrivibile nel relativo catasto edilizio urbano.

Ad avviso di parte ricorrente, la CTR avrebbe errato nell’accogliere l’appello ritenendo la cava come correttamente iscritta in catasto terreni quale fondo agricolo.

In realtà, trattandosi di una cava, l’immobile non poteva essere inteso quale terreno agricolo privo di costruzioni, rientrando pure nel Piano Cave provinciale, e, quindi, non poteva neppure essere iscritto a catasto terreni, ma avrebbe dovuto essere inserito nel catasto edilizio urbano come fabbricato, con conseguente applicabilità del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3.

Con il secondo motivo, il Comune di Castenodolo contesta la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4, nella parte in cui la CTR aveva considerato come non contestata la circostanza che la materia del contendere riguardasse un terreno agricolo privo di costruzioni.

Infatti, parte ricorrente sostiene che questo profilo era stato ampiamente contestato fin dal giudizio di primo grado.

Con il terzo motivo, il Comune di Castenodolo afferma la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 2 e 5, della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, perchè la CTR avrebbe errato nel non riconoscere il potere dell’ente locale di accertare la mancata iscrizione dei fabbricati al catasto edilizio urbano ove già inseriti nel catasto terreni.

I tre motivi vanno trattati congiuntamente, stante laò stretta connessione.

2. In primo luogo, va respinta l’eccezione di inammissibilità di tali motivi sollevata dalla Cave S. Polo srl.

Sostiene la società controricorrente che la CTR aveva ritenuto illegittimamente accertata l’imposta perchè risultava iscritta a catasto, mentre l’ente locale ricorrente non avrebbe contestato questa ratio, con conseguente inammissibilità del motivo.

L’eccezione è infondata.

Infatti, il Comune di Castenedolo ha criticato il presupposto della decisione della CTR, ovvero la non applicabilità del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, fondata dal giudice di appello sul fatto dell’iscrizione dell’immobile nel catasto terreni, e la non riconducibilità dell’immobile fra i fabbricati D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 2. Ciò ha fatto rilevando che, comunque, questa disposizione poteva essere utilizzata, in quanto il cespite avrebb dovuto essere inserito nel catasto edilizio urbano perchè da classificare come fabbricato, come si evince dal contenuto del ricorso e dalla stessa rubrica del motivo che, fra gli altri, menziona proprio gli artt. 2 e 5 da ultimi citati.

Se ne ricava che la ratio decidendi della sentenza contestata è stata impugnata.

3. Nel merito, i motivi sono fondati.

Il citato D.Lgs. n. 504, art. 5, comma 3, si riferisce ai “fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto” e si occupa della determinazione del loro valore ai fini impositivi.

Secondo la CTR e la società contribuente, la semplice iscrizione di un immobile nel catasto terreni escluderebbe l’applicazione del menzionato art. 5, comma 3, il quale presupporrebbe, per essere utilizzato, quanto ai fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, la totale non iscrizione nel catasto.

Inoltre, ad avviso della CTR, il terreno oggetto di accertamento non poteva essere qualificato come fabbricato, atteso che per fabbricato doveva intendersi, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma, l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano.

Questa ricostruzione non è condivisibile.

Infatti, l’art. 5, comma 3, concerne i fabbricati. Ne deriva che l’inciso “non iscritti a catasto” deve essere letto in accordo con il resto della disposizione. In particolare, la non iscrizione a catasto va riferita al catasto edilizio urbano e non certo al catasto terreni, che non può riguardare i fabbricati.

Ne consegue che l’art. 5, comma 3, ben potrebbe essere applicato ove un immobile qualificabile come fabbricato fosse iscritto erroneamente nel catasto terreni e non nel catasto fabbricati.

Ciò si desume pure dal disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, il quale prescrive che “per fabbricato si intende l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, considerandosi parte integrante del fabbricato l’area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza”.

Infatti, la norma appena menzionata, nel fare riferimento all’unità immobiliare “che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano”, implicitamente ammette il potere dell’ente impositore di verificare se detta iscrizione sia avvenuta.

Al riguardo, deve richiamarsi il principio per il quale, in tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 consente, in presenza di variazioni permanenti intervenute sull’unità immobiliare, di determinare l’imponibile sulla base di una rendita presunta, sussistendo a carico del contribuente l’obbligo di provvedere alla richiesta del nuovo accatastamento. Ne consegue che gli immobili erroneamente classificati in una categoria non conforme alla destinazione d’uso, non possono essere esentati dall’imposizione fiscale ove tale errato classamento sia stato determinato da una omissione del contribuente, che non abbia provveduto a denunciare l’effettivo utilizzo del cespite, non essendo onere dell’ente impositore richiedere all’ufficio competente le modifiche della rendita preesistente nell’ipotesi di negligenza del soggetto per legge onerato (Cass., Sez. V, n. 1704 del 29 gennaio 2016).

Queste considerazioni devono reputarsi estendibili anche all’ipotesi nella quale il contribuente ometta di segnalare, in materia di IMU, ai fini della necessaria variazione catastale, le modifiche di una unità immobiliare che ne comporterebbero l’iscrizione al catasto edilizio urbano in luogo di quello terreni.

Occorre valutare, quindi, se il cespite in esame possa essere qualificato come fabbricato.

Al riguardo, si rileva che, in tema di ICI, l’area classificata come D3 nel piano regolatore generale adottato dal Comune, ancorchè concretamente destinata unicamente a cava e ad attività estrattiva, non è perciò solo qualificabile come agricola, in quanto avente potenzialità edificatoria, sia pure limitata alla sola realizzazione di fabbricati strumentali (Cass., Sez. V, n. 31079 del 28 novembre 2019).

Più precisamente, si deve ritenere che, come già stabilito dalla giurisprudenza in tema di imposta di registro e di INVIM, anche in materia di IMU la qualificazione agricola (con relativa attribuzione di rendita), non più attuale, di un terreno destinato ad attività industriale estrattiva renda possibile la rettifica del valore dello stesso secondo il valore venale, non coincidendo necessariamente l’attribuzione di rendita con la stima fondiaria, perchè un tale errato presupposto interpretativo non tiene conto (come ha precisato la Corte costituzionale con sentenza n. 285 del 2000) del fatto che il R.D. 8 ottobre 1931, n. 1572, art. 18 esclude comunque le cave dalla stima fondiaria per la determinazione del reddito dominicale, sicchè, in tali casi, le risultanze catastali non corrispondono all’effettiva e giuridica destinazione del terreno, benchè non sia stata denunciata al catasto la variazione (Cass., Sez. V, n. 24568 del 23 novembre 2005).

In precedenza, si era già affermato, sempre in ordine all’imposta di registro (ma il principio, di natura generale, può essere esteso pure all’IMU), che l’applicazione, ai fini della dichiarazione, nell’atto di trasferimento di immobile, della base imponibile, del criterio della valutazione automatica di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, n. 4, postula la iscrizione in catasto dell’immobile in questione con attribuzione di corrispondente rendita (oltre che, in ordine ai terreni, la non previsione di una destinazione edificatoria degli stessi negli strumenti urbanistici), con la conseguente inapplicabilità dell’istituto quando le risultanze catastali non corrispondano alla effettiva e giuridica destinazione dei suoli, anche se il contribuente non abbia avuto cura di denunciarne la variazione. Pertanto, nel caso di terreni sfruttati come cave, la valutazione di cui si tratta deve essere operata con il metodo del valore venale ex n. 1 del citato art. 52, avuto riguardo alla circostanza che il R.D. n. 1572 del 1931, art. 18 esclude le cave dalla stima fondiaria e che la eventuale indebita iscrizione delle aree nel catasto terreni non può valere a ravvisare nella rendita fondiaria erroneamente risultante da tale iscrizione l’idoneità ad esprimere la potenzialità reddituale derivante dallo sfruttamento dei terreni stessi per una finalità estrattiva di natura esclusivamente industriale (Cass., Sez. V, n. 12774 del 19 ottobre 2001).

Nessun dubbio, quindi, può sussistere in ordine al potere per la P.A. di prescindere, in un caso del genere, dall’attestazione catastale non rispondente allo stato dei luoghi.

Sostiene la CTR che la natura di terreno agricolo privo di costruzioni del cespite de quo non è stata contestata in corso di causa.

Peraltro, parte ricorrente ha negato tale circostanza, riportando nell’atto di impugnazione le doglianze avanzate sul punto. Inoltre, dalla stessa sentenza si evince che la qualità agricola del fondo era oggetto di discussione.

Ne consegue l’accoglimento dei tre motivi proposti.

4. Il ricorso è, quindi, integralmente accolto.

La sentenza è cassata con rinvio alla CTR Lombardia, in diversa composizione, la quale accerterà l’esistenza o meno di una cava, alla luce dei piani urbanistici vigenti, e deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di lite, in applicazione dei seguenti principi di diritto:

– l’inciso “non iscritti a catasto”, di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, va riferito al catasto edilizio urbano e non a catasto terreni, con la conseguenza che il citato art. 5, comma 3, può trovare applicazione ove un immobile qualificabile come fabbricato sia iscritto erroneamente nel catasto terreni e non nel catasto fabbricati;

– qualora il contribuente ometta di segnalare, in materia di IMU, per la necessaria variazione catastale, le modifiche permanenti di una unità immobiliare che ne comporterebbero l’iscrizione al catasto edilizio urbano in luogo di quello terreni, l’ente locale ha il potere di procedere al relativo accertamento, ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, senza necessità di domandare l’intervento del diverso ufficio competente ad apportare le necessarie variazioni catastali;

– in materia di IMU, la qualificazione agricola (con relativa attribuzione di rendita), non più attuale, di un terreno destinato ad attività industriale estrattiva rende possibile la rettifica del valore dello stesso secondo il valore venale.

PQM

La Corte:

– accoglie integralmente il ricorso;

– cassa con rinvio alla CTR Lombardia, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito anche in ordine alle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 5 Sezione Civile, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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