Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3976 del 08/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 08/02/2022, (ud. 25/11/2021, dep. 08/02/2022), n.3976

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARTINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15633-2016 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II 308, presso lo studio dell’avvocato BARBARA CUFARI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO BERTI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE DI MANTOVA subentrata

all’AZIENDA OSPEDALIERA CARLO POMA DI MANTOVA, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MIGLIACCIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CORRADO PAVARINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 382/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/12/2015 R.G.N. 199/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/11/2021 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

1. La Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza n. 382 del 2015, ha rigettato l’appello proposto da M.M. nei confronti della Azienda Ospedaliera Carlo Poma di Mantova avverso la sentenza n. 225/14 resa tra le partì dal Tribunale di Mantova.

2. Il lavoratore, medico specializzato, aveva agito in giudizio chiedendo la condanna dell’Azienda al pagamento della somma di Euro 112.218,66 per differenze e contributi e di Euro 284.279,90 per danni non patrimoniali, in conseguenza dell’attività lavorativa prestata dal 1 giugno 1999 al 31 luglio 2009 presso l’Ospedale di Pieve di Coriano (salvo il periodo giugno – dicembre 2000 lavorato presso l’Ospedale di Suzzara), in forza di una serie di contratti per prestazioni libero-professionali aventi ad oggetto lo svolgimento di attività sanitarie di guardia medica.

3. La sentenza ha respinto anche la domanda di condanna al pagamento della somma di Euro 64.560,00 a titolo di risarcimento danni per l’illegittimità del contratto a termine relativo al periodo 1 agosto 2009 -31 marzo 2010, in forza del quale aveva lavorato come dirigente medico di medicina interna presso l’Ospedale di Pieve di Coriano.

Il Tribunale affermava, per il primo periodo, la sussistenza di un rapporto di collaborazione professionale e non di lavoro subordinato, e per il secondo periodo l’inapplicabilità del D.Lgs. n. 368 del 2001 al dirigente.

Quanto al risarcimento dei danni non patrimoniali, la Corte d’Appello ha affermato che non sussistevano i turni massacranti e che la lamentata perdita di occasioni di lavoro non era imputabile alla Amministrazione e che non vi era prova né della promessa di assunzione fatta dal primario (che, peraltro, non rientrava nelle prerogative dello stesso) né prova concreta del danno, dell’illecito o del nesso causale.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando tre motivi di ricorso, assistiti da memoria.

5. Resiste con controricorso l’Azienda socio sanitaria territoriale di Mantova, subentrata all’Azienda Ospedaliera Carlo Poma ex L.R. n. 23 del 2015.

Diritto

CONSIDERATO

1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di nullità della notifica effettuata all’Azienda ospedaliera Carlo Poma di Mantova, atteso che alla stessa, venuta meno in ragione della L.R. Lombardia n. 23 del 2015, è subentrata l’Azienda socio sanitaria territoriale Mantova, autonomo soggetto giuridico e fiscale.

Il contenzioso in oggetto è stato introdotto prima della L.R. n. 23 del 2015 (la sentenza di primo grado è del 9 dicembre 2014).

La L.R. Lombardia n. 23 del 2015 richiamata dall’Azienda, all’art. 2, comma 4, nel dettare le disposizioni transitorie, ha stabilito che “La Giunta regionale, acquisita e valutata la documentazione di cui al comma 2, approva le deliberazioni costitutive delle ATS e delle ASST regolando contestualmente la fase di transizione, con particolare riguardo alla definizione dei nuovi assetti organizzativi e dei procedimenti in corso, alla nomina degli organi, al subentro nei rapporti giuridici, all’assegnazione anche in via provvisoria di funzioni, di beni e di risorse umane, ai debiti informativi e alle gestioni liquidatorie, in modo che sia garantita la continuità nello svolgimento delle funzioni e nell’erogazione delle prestazioni”, e all’art. 2, comma 8, lett. c), che “Alla data indicata nelle deliberazioni di cui al comma 4” (…) “le ASST subentrano nei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo alle AO”.

Pertanto, in ragione della norma che prevede il subentro della ASST, l’eccezione non è fondata.

2. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Espone il ricorrente che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente applicato le disposizioni in materia di rapporto di lavoro subordinato, con particolare riferimento all’art. 2094 c.c., avendo escluso in concreto i caratteri tipici della subordinazione, in ragione delle risultanze testimoniali, senza considerare la giurisprudenza di legittimità in materia.

La Corte d’Appello aveva valorizzato, da un lato, elementi fattuali irrilevanti (quali la circostanza di non avere il M. pazienti in carico, dovendo ricevere le consegne dal medico che lo aveva preceduto nell’assistenza e lasciandole al professionista subentrante, ed osservare protocolli aventi regole basilari dell’arte medica) in quanto tipici dell’attività di guardia medica in sé considerata, a prescindere dalla natura del rapporto contrattuale che eventualmente leghi la struttura sanitaria al professionista chiamato ad espletarla; dall’altro, aveva attribuito significato a vicende fattuali neutre anche ove comprovate (quali il difetto di richiami operato dall’Azienda ospedaliera a carico dell’odierno esponente, inteso come assenza di potere disciplinare), oppure aveva riconosciuto rilevo preclusivo a circostanze prive di tale efficacia, quali la prestazione della propria opera in favore di una pluralità di presidii, peraltro facenti capo alla medesima struttura sanitaria.

3. Il motivo non è fondato.

3.1. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass., n. 6294 del 2020), i rapporti tra i medici convenzionati esterni e gli enti sanitari, disciplinati dalla L. n. 833 del 1978, art. 48 e dagli accordi collettivi nazionali stipulati in attuazione di tale norma, pur se costituiti in vista dello scopo di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale, corrispondono a rapporti libero-professionali che si svolgono di norma su un piano di parità, non esercitando l’ente pubblico nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, all’infuori di quello di sorveglianza, né potendo incidere unilateralmente, limitandole o degradandole ad interessi legittimi, sulle posizioni di diritto soggettivo nascenti, per il professionista, dal rapporto di lavoro autonomo. Ne deriva che tali rapporti, non connotati da subordinazione, non possono essere ricompresi nell’ambito di applicazione della direttiva 99/70/CE sul lavoro a tempo determinato, che presuppone la presenza di “un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro”, al quale non può essere ricondotto il rapporto di parasubordinazione che si instaura con il medico convenzionato.

3.2. Si e’, altresì, affermato che ai fini della distinzione tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo occorre avere riguardo al concreto atteggiarsi del potere direttivo del datore di lavoro, il quale, affinché assurga ad indice rivelatore della subordinazione, non può manifestarsi in direttive di carattere generale (compatibili con il semplice coordinamento sussistente anche nel rapporto libero professionale), ma deve esplicarsi in ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa, stabilmente inserita nell’organizzazione aziendale (Cass., n. 29646 del 2018).

3.3. Tanto premesso, nel caso di specie i giudici di merito hanno constatato la mancanza di prova di un divario dalle regole e principi del rapporto libero professionale, non essendosi dimostrato l’assoggettamento del ricorrente al potere direttivo, di controllo e disciplinare ed essendo emerso che tra le parti si è effettivamente sviluppato, in conformità ai contratti di prestazione libero-professionale, stipulati, un rapporto di collaborazione attraverso il quale l’Azienda sanitaria ha assicurato il pieno svolgimento del servizio di guardia medica. Ciò sia in relazione alle modalità concrete della prestazione lavorativa, sia in ragione del fatto che l’odierno ricorrente svolgeva contemporaneamente attività lavorativa per altre strutture ospedaliere, circostanza che nel quadro probatorio già delineato costituiva argomento a conferma della genuinità del rapporto di collaborazione instaurato dalle parti nel corso degli anni

4. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., in relazione all’art. 360 c.c., n. 3.

Il ricorrente censura il rigetto della domanda risarcitoria per la lesione del diritto alla salute a causa delle concrete modalità di svolgimento della propria attività professionale, per conto dell’Azienda Ospedaliera.

La Corte d’Appello, senza svolgere un rigoroso esame dei turni effettivamente svolti secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, si era soffermata solo sull’analisi del periodo successivo al 2004, su una valutazione mediana (i turni lavorati erano 13 al mese) inidonea ad apprezzare non solo gli accadimenti anteriori, ma altresì anche la concreta organizzazione successiva, caratterizzata da prolungati periodi (ad es. da giugno a ottobre 2004) in cui al M. venivano richiesti oltre 15 turni mensili, tutti notturni, ovvero più di una notte su due.

La sentenza di appello, inoltre, escludeva ogni responsabilità in capo alla struttura in ragione delle concrete modalità di svolgimento dell’attività, avendo il lavoratore effettuato nel periodo 2004-2008 la maggior parte dei turni in occasione di festività, trattandosi di elemento insufficiente ad integrare modalità usuranti e comunque frutto di una libera scelta dello stesso, atteso che il calendario dei turni sarebbe stato concordemente stabilito dai medici. Ciò, contrasta, ad avviso del ricorrente, con la giurisprudenza di legittimità che non dà rilievo alla scelta del lavoratore atteso che ciò non esime da adottare tutte le misure idonee alla tutela della integrità psico-fisica del lavoratore.

5. Il motivo è in parte non fondato e in parte inammissibile.

Giova ribadire il principio, più volte affermato questa Corte (cfr., Cass., n. 93 del 2018), che l’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, sicché incombe al lavoratore che lamenti di avere subito a causa dell’attività lavorativa svolta un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente o delle condizioni di lavoro ed il nesso tra l’uno e l’altro. E, a fronte della prova di tali circostanze, ai finì del superamento della presunzione di cui all’art. 1218 c.c., sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la eventuale malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi (Cass., nn. 14468 del 2017, 14313 del 2017, 10319 del 2017, 34 del 2016, 16003 del 2007).

Nella fattispecie in esame, la Corte d’Appello ha affermato, facendo corretta applicazione di tali principi relativi all’onere della prova, che i presupposti di fatto che integrano la prova gravante sul prestatore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., non sono stati provati.

La Corte d’Appello ha preso in esame i turni mensili dal 2004 al 2008, e ha affermato che non era significativa la prestazione lavorativa nei mesi estivi del 2000 messa in luce nell’atto di appello trattandosi di un breve periodo, e che in ragione del suddetto lungo periodo preso in considerazione, in cui di norma il lavoratore svolgeva 13 turni mensili – dato completamente diverso da quanto affermato nel ricorso introduttivo del giudizio – non era rilevante la mancata produzione dei turni mensili anteriori al 2004, periodo per il quale del resto non vi era la prova che la prestazione lavorativa si fosse svolta con modalità diverse. Ha, quindi, escluso la gravosità dei turni tale da integrare violazione dell’art. 2087 c.c..

Pertanto, non risultando provata l’effettuazione del consistente maggior numero di turni prospettato dall’attore, che avrebbe dato luogo alla violazione dell’art. 2087 c.c., la Corte d’Appello ha rigettato la domanda.

Tale accertamento di fatto è fondato sulle risultanze istruttorie documentali e attiene, in ragione dei principi sopra richiamati, ai fatti costitutivi della domanda attorea che è onere del lavoratore provare.

L’accertamento del giudice di merito costituisce un’indagine di fatto, insindacabile in sede di legittimità se sostenuta, come nella specie, da corretta e congrua motivazione (Cass., n. 35957 del 2021).

Si e’, altresì, affermato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., n. 5, qualora, il fatto storico, rilevante in causa, nella specie la vicenda oggetto della contestazione, sia stato comunque preso in considerazione, come nella fattispecie in esame, dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr., Cass., n. 28887 del 2019).

La valutazione delle risultanze istruttorie effettuata dalla Corte d’Appello non è adeguatamente censurata dal lavoratore, laddove lo stesso, si limita ad affermare che il numero dei turni della prestazione lavorativa dei mesi estivi del 2000 avrebbe abbracciato un periodo più lungo, e a richiamare genericamente per il periodo giugno ottobre 2004, in ordine al quale allega l’effettuazione di oltre 15 turni mensili, documenti del fascicolo di primo grado non precisati quanto al contenuto degli stessi, che non è trascritto, e al soggetto che li avrebbe adottati, senza peraltro dedurne la allegazione e produzione nel giudizio di appello (a fronte dell’affermazione della Corte d’Appello di circa 13 turni mensili e di analoghe modalità in precedenza).

Di talché la censura, quanto alla contestazione della valutazione delle risultanze istruttorie effettuata dal giudice di appello, si traduce in un riesame del merito della controversia inammissibile in sede di legittimità se non nei limiti dell’omesso esame o del difetto di motivazione nei limiti della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come interpretato dalle Sezioni Unite (Cass., S.U., n. 19881 del 2014 e Cass., S.U. n. 8053 del 2014), non ravvisabili nella specie.

6. Con il terzo motivo di ricorso è prospettato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente deduce di aver richiesto l’esibizione da parte dell’Azienda del calendario dei turni mensili anteriori al 2004, sia in primo grado che in appello, al fine di dimostrare la gravosità dei

turni, quali le prestazioni svolte presso gli Ospedali di Pieve di

Coriano e Suzzara, il fatto storico che ne sarebbe emerso avrebbe escluso l’irrilevanza della completa produzione da poter colmare con il ricorso alle presunzioni.

7. Il motivo è inammissibile perché la censura, ricondotta al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non poteva essere formulata per il divieto posto dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5.

Va ribadito, infatti, che ” nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse” (Cass., n. 26774 del 2016).

Nella specie il ricorrente non ha indicato le ragioni di diversità fra le due pronunce.

A detta ragione già di per sé assorbente si deve anche aggiungere che il motivo prospetta l’omesso esame non di un fatto storico bensì il mancato accoglimento di una istanza istruttoria, e non riproduce nel ricorso i termini della stessa e le specifiche circostanze fattuali a cui si riferiva, senza assolvere pertanto i requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6.

8. Il ricorso deve essere rigettato.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

10. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022

 

 

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