Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3975 del 08/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 08/02/2022, (ud. 24/11/2021, dep. 08/02/2022), n.3975

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20005-2016 proposto da:

AZIENDA UNITA’ SANITARIA TOSCANA NORD OVEST, già AZIENDA USL N. 6 DI

LIVORNO, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE PISANELLI 2, presso lo studio

dell’avvocato ALBERTO ANGELETTI, rappresentata e difesa

dall’avvocato VITO VANNUCCI;

– ricorrente –

contro

V.N., F.P., elettivamente domiciliate in ROMA,

CORSO VITTORIO EMANUELE II N. 18, presso lo studio GIANMARCO GREZ,

rappresentate e difese dall’avvocato CARLO GUFONI;

– controricorrenti –

e contro

C.C., STUDIO COMMERCIALE B. DI B.M. & C SAS

IN LIQUIDAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 803/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 29/02/2016 R.G.N. 621/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2021 dal Consigliere Dott.ssa TRICOMI IRENE.

 

Fatto

RITENUTO

1. La Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza pronunciata tra le parti dal Tribunale di Livorno, ha condannato l’Azienda Unità Sanitaria Locale n. 6 di Livorno, in solido con lo studio commerciale B. di B.M. & C., in liquidazione, al pagamento, in favore di V.N., della somma di Euro 21.115,71; in favore di F.P. della somma di 12.942,34; in favore di C.C. della somma di Euro 12.050,12, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali ai sensi dell’art. 429, c.p.c., dalle singole scadenze al saldo.

1.1. La Corte di Appello ha confermato nel resto la sentenza impugnata.

1.2. Il giudice di appello ha dichiarato che l’Azienda Unità Sanitaria Locale n. 6 di Livorno ha diritto al rimborso, da parte dello studio Commerciale B., di quanto corrisposto alle lavoratrici in base alla statuizione di condanna.

2. Le lavoratrici avevano proposto appello nei confronti della sentenza del Tribunale di Livorno che, dopo aver accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le stesse e lo studio commerciale B., e aver dichiarato quest’ultimo tenuto al pagamento delle differenze retributive, aveva respinto la domanda proposta ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 di condanna in via solidale anche dell’Azienda unità sanitaria locale nella sua qualità di committente dell’appalto conferito allo studio commerciale B..

3. La Corte d’Appello ha ritenuto di non condividere la sentenza n. 15432 del 2014 pronunciata da questa Corte.

Ciò, in particolare, in quanto, ad avviso del giudice di secondo grado, il secondo periodo del D.L. n. 76 del 2013, art. 9, comma 1, non ha natura meramente ricognitiva, ma innovativa, per cui anche anteriormente alla vigenza della norma in esame, deve ritenersi l’applicabilità del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, anche agli appalti conferiti dalle P.A..

Ha, altresì, affermato che, per i crediti anteriori alla vigenza del D.Lgs. n. 276 del 2003, trova applicazione la L. n. 1369 del 1960, art. 3, applicabile agli appalti di servizi da parte di enti pubblici organizzati con criteri di imprenditorialità (Cass., n. 3172 del 2002), tra i quali vanno ricomprese quelli organizzati in forma di azienda.

Tale domanda non poteva ritenersi tardiva per inammissibilità, in quanto mera qualificazione giuridica di fatti costitutivi tempestivamente allegati (Cass., n. 15925 del 2007).

4. Per la Cassazione della sentenza di appello ricorre l’Azienda Unità Sanitaria Toscana Nord Ovest, succeduta ai sensi della legge della Regione Toscana n. 84 del 2015 alla AUSL n. 6 di Livorno, prospettando cinque motivi di impugnazione.

5. Resistono F.P. e V.N. con controricorso, assistito da memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 163 del 2006, artt. 37 e 118, del D.P.R. n. 207 del 2010, artt. 4 e 5, del D.Lgs. n. 76 del 2013, art. 9, comma 1, conv. nella L. n. 99 del 2013, e dell’art. 1676 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La ricorrente, nel richiamare la giurisprudenza di legittimità, e la disciplina normativa che viene in rilievo, prospetta che erroneamente la Corte d’Appello aveva ritenuto la propria responsabilità solidale ai sensi del citato D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 3, del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, dell’art. 11 preleggi, dell’art. 414 c.p.c. e art. 437 c.p.c., comma 2, , e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4.

Deduce la ricorrente che al contratto di appalto in questione andava applicata la disciplina della L. n. 1369 del 1960, atteso che i contratti delle lavoratrici, che si fondavano sul contratto di appalto, erano stati stipulati prima del 24 ottobre 2003, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003. La relativa domanda proposta nei confronti della AUSL ai sensi della L. n. 1369 del 1960, art. 3, era stata prospettata per la prima volta in appello, e mancavano in ordine alla stessa l’allegazione e prova dei fatti costitutivi.

Prospetta, altresì, che la L. n. 1369 del 1960, art. 3 è applicabile solo agli appalti di servizi da parte di enti pubblici organizzati secondo criteri di imprenditorialità, circostanza su cui nulla avevano dedotto le controparti.

I presupposti delle due discipline richiamate erano diversi, di talché la domanda proposta in appello con riguardo alla L. n. 1369 del 1960, art. 3 era tardiva. Comunque, la stessa non era fondata in quanto mancava la deduzione di fatti volti a provare il carattere imprenditoriale dell’attività svolta dalla USL n. 6.

3. I suddetti motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono fondati.

4. La ricorrente censura entrambe le ratiii decidendi della sentenza di appello, che, senza una chiara distinzione temporale che precisi i rapporti di lavoro in questione soggetti al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, e quelli soggetti alla L. n. 1369 del 1960, art. 3, afferma l’applicabilità alla fattispecie in esame delle due disposizioni, ciascuna ratione temporis.

5. Occorre premettere (Cass., n. 25679 del 2019) che il D.Lgs. n. 276 del 2003, all’art. 85, ha abrogato la L. n. 1369 del 1960, e con essa l’art. 3, che prevedeva al primo con-mia: “Gli imprenditori che appaltano opere o servizi, compresi i lavori di facchinaggio, di pulizia e di manutenzione ordinaria degli impianti, da eseguirsi nell’interno delle aziende con organizzazione e gestione propria dell’appaltatore, sono tenuti in solido con quest’ultimo a corrispondere ai lavoratori da esso dipendenti un trattamento minimo inderogabile retributivo e ad assicurare un trattamento nonnativo, non inferiore a quelli spettanti ai lavoratori da loro dipendenti”. Tale disposizione è diretta ad assicurare parità di trattamento ai lavoratori operanti nel medesimo settore produttivo e riguarda, pertanto, non tutte le opere ed i servizi che si svolgano nell’interno dei locali dell’azienda dell’appaltatore, ma solo quelle che ineriscano al suo ciclo produttivo normale, sia pure con carattere sussidiario ed accessorio.

Il medesimo art. 3, al comma 3, sanciva: “Gli imprenditori sono altresì tenuti in solido con l’appaltatore, relativamente ai lavoratori da questi dipendenti, all’adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza ed assistenza”.

La previsione era formulata in termini ampi, ed era idonea quindi a configurare la responsabilità solidale dell’imprenditore appaltante in relazione a tutte le obbligazioni, previdenziali, assistenziali ed assicurative Inail.

Questa Corte ha precisato (Cass., n. 27123 del 2017) che la L. n. 1369 del 1960, art. 3, commi 1 e 3, si interpreta nel senso che ai dipendenti dell’appaltatore compete un trattamento minimo inderogabile, retributivo e normativo, non inferiore a quello spettante ai lavoratori del committente, mentre non rientra nella tutela, anche previdenziale, prevista dalla norma l’imposizione della medesima aliquota contributiva applicabile all’impresa appaltante, in virtù dell’inquadramento in un settore differente da quello di appartenenza dell’appaltatore.

6.Tanto premesso si osserva che non è applicabile alla fattispecie il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, in ragione dei principi già affermati da questa Corte, dapprima con la sentenza n. 15432 del 2014, e poi con ulteriori pronunce, ai quali intende dare continuità.

Occorre ricordare che il D.Lgs. n. 276 del 2003 ha introdotto all’art. 29, comma 2, il principio della responsabilità solidale, fra committente e appaltatore, in ordine alla corresponsione, ai lavoratori alle dipendenze del secondo, dei trattamenti retributivi e dei contributi previdenziali.

La disposizione rafforza la tutela offerta dall’art. 1676 c.c., ai dipendenti dell’appaltatore i quali, secondo quanto previsto da tale disposizione possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda.

Il D.L. n. 73 del 2013, art. 9, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 99 del 2013, ha previsto, in particolare, che “Le disposizioni di cui al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 29, comma 2, e successive modificazioni (…) non trovano applicazione in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2”.

Con la sentenza n. 15432 del 2014, la Corte si è pronunciata per la prima volta sulla questione della portata del suddetto art. 9, ritenendo – all’esito dell’iter argomentativo, che l’art. 29, comma 2, non si applica agli appalti pubblici, e ha affermato che in materia di contratti pubblici di appalto relativi a lavori, servizi e forniture, in caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni o dei contributi dovuti al personale dipendente dall’esecutore o dal subappaltatore, o dai soggetti titolari di subappalti e cottimi di cui al D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 118, comma 8, ultimo periodo, i lavoratori devono avvalersi degli speciali strumenti di tutela previsti del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, artt. 4 e 5.

L’art. 9 del D.L. 76 del 2013, nella parte in cui prevede la inapplicabilità dell’art. 29 ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, non ha carattere di norma di interpretazione autentica, dotata di efficacia retroattiva, ma lo stesso non ha innovato il quadro normativo previgente, avendo solo esplicitato un precetto già desumibile dal testo originario del richiamato art. 29 e dalle successive integrazioni.

Tali principi sono stati confermati da Cass. n. 10664 del 2016, n. 10731 del 2016, n. 20327 del 2016, n. 28185 del 2017, n. 9741 del 2018.

Il Collegio intende dare continuità a detto orientamento, poiché la motivazione delle sentenze sopra richiamate, da intendersi qui trascritta ex art. 118, disp. att. c.p.c., offre argomenti solutori che possono trovare applicazione in relazione alle questioni prospettate negli scritti difensivi delle odierne parti, escludendo, peraltro, ogni profilo di illegittimità costituzionale della interpretazione qui accolta (si v. memoria lavoratrici) e ponendo in risalto le differenze fra appalto pubblico e privato che giustificano la diversità della disciplina.

Pertanto la relativa censura della ricorrente è fondata e va accolta non potendo trovare applicazione l’art. 29 citato.

7. Con riguardo alla disciplina di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 3, va rilevato che, come questa Corte ha affermato tale disposizione trova applicazione anche in relazione alle attività svolte dagli enti pubblici, purché aventi carattere imprenditoriale (Cass. n. 3172 del 2002; Cass. n. 243 del 2003, che ha escluso tale qualità per i Comuni).

L’art. 3 presuppone chiaramente e sostanzialmente – e non solo nominalisticamente, quale equivalente della espressione “datore di lavoro” – la natura di imprenditore del soggetto appaltante, come è fatto palese del riferimento, nello stesso articolo, ad “aziende” e “impianti” (si cfr., Cass., n. 9107 del 1991).

Tale natura non è rinvenibile nella specie, atteso che come ha affermato la giurisprudenza di questa Corte proprio in materia di appalto (cfr., Cass., n. 24640 del 2016) l’Azienda Sanitaria è un “organismo di diritto pubblico” ai sensi del D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157, art. 2, lett. b) (poi trasfuso nel D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3, comma 26 – c.d. Codice dei contratti pubblici, e poi nel D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 3, lett. d): tale quell’organismo a) che è istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; b) che è dotato di personalità giuridica; c) la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.

L’AUSL, quindi, in ragione dei compiti e delle finalità istituzionali fa parte del Servizio sanitario nazionale che è pubblica amministrazione su cui grava l’adempimento dell’obbligo costituzionale di tutela della salute – cui si correlano diritti individuali e interesse collettivo (cfr. Cass., SU, n. 26496 del 2020), di talché l’AUSL, in relazione alla fattispecie in esame, non può ritenersi imprenditore atteso che come affermato da questa Corte (Cass., n. 16435 del 2003, n. 16612 del 2008) la nozione di imprenditore, ai sensi dell’art. 2082 c.c., va intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale all’attività economica organizzata che sia ricollegabile ad un dato obiettivo inerente all’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, che riguarda il movente soggettivo che induce l’imprenditore ad esercitare la sua attività e dovendo essere, invece, escluso il suddetto carattere imprenditoriale dell’attività nel caso in cui essa sia svolta in modo del tutto gratuito, dato che non può essere considerata imprenditoriale l’erogazione gratuita dei beni o servizi prodotti.

Pertanto anche sotto tale profilo, che assorbe le ulteriori censure prospettate, il secondo motivo di ricorso è fondato.

8. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2099 c.c., art. 414 c.p.c., art. 416 c.p.c., art. 115 c.p.c., art. 2697 c.c., art. 2070 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4.

La ricorrente contesta l’applicazione del CCNL Commercio e del relativo inquadramento contrattuale.

9. Con il quarto motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 3, dell’art. 2099 c.c., dell’art. 414 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.c., n. 3 e n. 4.

La ricorrente, nel ribadire la non fondatezza della domanda delle lavoratrici, contesta la quantificazione effettuata dalla Corte d’Appello sulla base del CCNL Commercio e non in ragione del CCNL Comparto sanità.

10. Con il quinto motivo di ricorso la sentenza è impugnata con riguardo all’art. 2099 c.c., all’art. 36 Cost., all’art. 2070 c.c., all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4Si deduce l’omessa pronuncia della Corte d’Appello sulla non debenza della 14 mensilità prevista dal CCNL Commercio.

11. Il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso sono assorbiti in ragione dell’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.

12. La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso. Assorbiti gli altri. Cassa la sentenza di appello in relazione ai motivi accolti e rimette anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso. Assorbiti gli altri. Cassa la sentenza di appello in relazione ai motivi accolti e rimette/anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022

 

 

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