Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3974 del 08/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 08/02/2022, (ud. 24/11/2021, dep. 08/02/2022), n.3974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12131-2016 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PELLEGRINO

MATTEUCCI 41, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA BRUNO,

rappresentato e difeso dall’avvocato RODOLFO BROGNIERI;

– ricorrente principale –

contro

REGIONE BASILICATA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA 56 presso l’UFFICIO DI

RAPPRESENTANZA DELLA REGIONE BASILICATA, rappresentata e difesa

dall’avvocato MADDALENA BRUNO;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

GESTIONE LIQUIDATORIA della soppressa ASL N. l “VULTURE ALTO BRADANO”

di VENOSA, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 130, presso lo studio

dell’avvocato TERESA MACRI’, rappresentata e difesa dall’avvocato

RAFFAELE CAGGIANO;

– controricorrente –

e contro

C.M.;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 106/2015 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 28/05/2015 R.G.N. 988/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2021 dal Consigliere Dott.ssa TRICOMI IRENE.

 

Fatto

RITENUTO

1. La Corte d’Appello di Potenza ha accolto l’appello proposto dalla Gestione Liquidatoria della soppressa ASL n. 1 “Vulture Alto Badano” nei confronti dell’odierno ricorrente principale C.M. e della Regione Basilicata, e per l’effetto, assorbito l’appello incidentale dell’odierno ricorrente principale, ha rigettato la domanda introduttiva del giudizio.

Il lavoratore, premesso di aver lavorato in regime di convenzionamento, in qualità di medico specialista in odontoiatria, presso la Usl n. I di Venosa dall’11 settembre 1989 e di essere stato illegittimamente pretermesso dal conferimento dell’incarico aggiuntivo di dieci ore in ortognatodonzia, chiedeva l’accertamento del proprio diritto all’ampliamento del rapporto di convenzionamento e, di conseguenza, la condanna delle parti resistenti al risarcimento del danno subito, da rapportarsi ai compensi maturati e maturandi dal 01 febbraio 1991 al 31 ottobre 2004, pari a Euro 144.338,96, oltre accessori come per legge, nonché la condanna delle convenute alla regolarizzazione della propria posizione contributiva.

2. Per la cassazione della sentenza di appello il ricorrente, medico convenzionato, prospetta quattro motivi di ricorso.

3. Resiste con controricorso e ricorso incidentale la Regione Basilicata.

4. Resiste con controricorso al ricorso principale la Gestione liquidatoria.

5. Il lavoratore ha resistito con controricorso al ricorso incidentale della Regione Basilicata.

6. Le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO.

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione -falsa applicazione dell’art. 100, c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché nullità della sentenza o del procedimento per motivazione omessa o apparente con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Il lavoratore, in convenzionamento della L. n. 833 del 1978, ex art. 48, a tempo indeterminato dall’11 settembre 1989 quale specialista convenzionato interno, della branca odontoiatria, aveva chiesto l’accertamento del diritto all’ampliamento di dieci ore del rapporto sostanziale intercorso con la USL n. 1 e con la ASL n. 1 e la conseguente condanna al risarcimento del danno, per mancata retribuzione e contribuzione.

Il ricorrente contesta l’affermato difetto di legittimatio ad causam della ASL n. 1, atteso che aveva promosso il giudizio per l’accertamento dell’ampliamento delle dieci ore nei confronti della USL n. 1 della Regione Basilicata a far data dal 1 febbraio 1991, e della ASL n. 1 della Regione Basilicata dal 1 gennaio 1995, in ragione della pubblicazione il 29 dicembre 1990 della disponibilità di tali ore da parte del Comitato zonale.

Dunque la domanda non riguardava solo la soppressa USL.

1.1. Il motivo non è fondato.

Occorre premettere che il ricorso introduttivo veniva proposto il 17 novembre 2004, in ragione di un rapporto di convenzionamento dall’11 settembre 1989 a tempo indeterminato, in relazione alla mancata attribuzione di 10 ore supplementari attivata dalla USL n. 1 con pubblicazione del Comitato zonale del 29 dicembre 1990. Dunque in ragione della causa petendi correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto sussistere la legittimazione passiva della Regione Basilicata gestione liquidatoria USL n. 1, atteso che comunque la soppressione della ASL n. 1 interveniva solo per effetto della L.R. n. 12 del 2008, art. 6, comma 2.

La Corte d’Appello ha affermato la sussistenza della legittimazione della Regione Basilicata e della Gestione liquidatoria della USL n. 1 per tutti i rapporti facenti capo alle USL ormai estinte.

Secondo un costante indirizzo di questa Corte, per effetto della soppressione delle unità sanitarie locali e della conseguente istituzione delle aziende unità sanitarie locali (aventi natura di entri strumentali della Regione), si è realizzata una fattispecie di successione ex lege delle regioni in tutti i rapporti obbligatori facenti capo alle ormai estinte USL, con conseguente esclusione di ogni ipotesi di successione in universum ius delle ASL alle preesistenti USL.

Tuttavia tale successione delle regioni è caratterizzata, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 6, da una procedura di liquidazione, che è affidata ad un’apposita gestione stralcio, la quale è strutturalmente e finalisticamente diversa dall’ente subentrante ed individuata dalla legge nell’ufficio responsabile della medesima unità sanitaria locale a cui si riferivano i debiti e crediti inerenti alle gestioni pregresse, usufruisce della soggettività dell’ente soppresso (che viene prolungata durante la fase liquidatoria), ed è rappresentata dal direttore generale della nuova azienda sanitaria nella veste di commissario liquidatore (così, ex plurimis, Cass., n. 20412 del 2006, n. 1819 del 2007).

Conseguentemente, venendo in considerazione, con riferimento alle domande spiegate con il ricorso introduttivo dal ricorrente, una posizione debitoria conseguente a una fattispecie risarcitoria (in relazione alla mancata attribuzione delle dieci ore supplementari), che è sorta insorta prima della soppressione dell’USL 1, proprio già secondo la prospettazione del ricorrente, difettava la legittimazione passiva ad causar della convenuta ASL 1.

Tale legittimazione passiva, quindi, sussiste nella specie esclusivamente in capo Gestione liquidatoria della medesima USL 1 e alla Regione Basilicata che è munita di una legittimazione sostanziale e processuale concorrente con quella della Gestione in questione: cfr., ad es., Cass., S.U., n. 10135 del 2012).

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 112, c.p.c. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 316 del 1990, artt. 8,9,10,11 e 12, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3

Deduce il ricorrente che la Corte d’Appello “ha pronunciato ultra perita giacché non ha deciso sulla scorta di un argomento diverso dalla eccezione impedirà sollevata dalla ASL n. 1 in primo grado (riproposta dall’appellante/successore: la Gestione liquidatoria della disciolta ASL n. 1”.

E’ contestata, dopo aver ripercorso le vicende processuali di causa, la statuizione con cui la Corte d’Appello, pur affermando che effettivamente le ore in questione andavano attribuite per la specialità della odontoiatria, ha statuito che la USL n. 1 aveva esercitato il potere discrezionale previsto dal D.P.R. n. 316 del 1990, art. 10, e aveva chiesto il possesso di un ulteriore titolo di specializzazione. In ciò avrebbe posto a fondamento di tale statuizione non l’eccezione della Gestione Liquidatoria che l’odontoiatra non può svolgere attività di ortognatodonzia, ma questione dedotta in appello non come eccezione ma come argomento di valutazione del comportamento della USL n. 1.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Il ricorrente sottopone alla Corte una propria lettura degli atti di causa che contrappone alla motivazione della decisione di appello senza tuttavia specificare, indicandone la sede processuale, e trascrivere, in aderenza all’art. 366 c.p.c., n. 6, il contenuto degli atti difensivi di primo e secondo grado nonché delle pronunce intervenute nel corso del giudizio, a cui fa riferimento onde consentire a questa Corte il vaglio di rilevanza della censura.

2.3. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, ove vengano in rilievo atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. di carenze motivazionali, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, o anche di un error in procedendo, è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità, senza che possa attribuirsi rilievo al fatto che nell’indice si indicano come allegati i fascicoli di parte di primo e secondo grado (Cass., S.U., n. 22726 del 2011, Cass., S.U., n. 8077 del 2012).

I requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perché solo l’esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure.

Gli oneri sopra richiamati sono altresì funzionali a permettere il pronto reperimento degli atti e dei documenti il cui esame risulti indispensabile ai fini della decisione sicché, se da un lato può essere sufficiente per escludere la sanzione della improcedibilità il deposito del fascicolo del giudizio di merito, ove si tratti di documenti prodotti dal ricorrente, oppure il richiamo al contenuto delle produzioni avversarie, dall’altro non si può mai prescindere dalla specificazione della sede in cui il documento

o l’atto sia rinvenibile e dalla sintetica trascrizione nel ricorso del contenuto essenziale del documento asseritamente trascurato od erroneamente interpretato dal giudice del merito (Cass., S.U, n. 5698 del 2012; Cass. S.U., n. 25038 del 2013, Cass., S.U., n. 34469 del 2019).

3. Con il terzo motivo di censura è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 833 del 1978, art. 48, del D.P.R. n. 316 del 1990, artt. 8,9,10,11,12, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché nullità della sentenza o del procedimento per motivazione omessa o apparente con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5.

3.1. E’ censurata la statuizione che ravvisa in capo alla USL un potere discrezionale nel prevedere il requisito del possesso di ulteriori titoli formali, in ragione di quanto stabilito dal D.P.R. n. 316 del 1990, art. 10.

4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1336 c.c.. Violazione del D.P.R. n. 316 del 1990, artt. 8,9,10 e 11. Nullità della sentenza o del procedimento per motivazione omessa o apparente.

Il ricorrente, nel ripercorrere il procedimento, deduce che sarebbe intervenuta accettazione conforme all’offerta, atteso che il Comitato zonale pubblicava le ore per l’attività di ortognatodonzia senza ulteriori indicazioni e che vi sarebbe stata una accettazione conforme. Peraltro, esso ricorrente aveva svolto un aggiornamento teorico pratico in ortognatodonzia, per cui la sentenza di appello avrebbe presentato motivazione apparente, laddove gli riferiva una conoscenza della volontà dell’Amministrazione di subordinare il conferimento dell’incarico allo specifico requisito della specializzazione.

5. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

5.1. Gli stessi sono in parte non fondati e in parte inammissibili.

La Corte d’Appello, correttamente, ha affermato la necessità del titolo di specializzazione, o iscrizione all’ultimo anno, per ricoprire le ore in questione, richiamando la nota della Regione Basilicata 16.3.1990 n. 1015/5-7 (si veda pag. 17 della sentenza della Corte d’Appello di Potenza n. 106 del 2015, e la nota 38 a pag. 22 del ricorso per cassazione), secondo cui per lo svolgimento delle prestazioni messe a concorso era necessaria l’abilitazione specialistica in “ortognatodonzia”, oppure l’iscrizione all’ultimo anno della relativa scuola di specializzazione, ed ha accertato che il lavoratore non era in possesso della specializzazione richiesta dalla Regione.

Quindi, vi era stata una precisa scelta “a monte” operata dall’amministrazione, nell’ambito dell’esercizio dei suoi poteri istituzionali di organizzazione del servizio sanitario, ” come già affermato da questa Corte (si v., Cass. S.U., n. 12107 del 2013, laddove si ricorda, con riguardo ad analoga fattispecie, che la Regione Basilicata aveva ritenuto di istituire, con Delib. Giunta 29 dicembre 1989, n. 6998 un nuovo servizio, quello di “ortodognatodonzia infantile”, del tutto distinto da quello di odontoiatria), di prevedere una distinta branca.

La tesi del ricorrente, secondo cui le disposizioni contenute nell’accordo collettivo di settore, recepito nel D.P.R. n. 316 del 1990, gli attribuirebbero, nell’ambito del rapporto di lavoro parasubordinato già in corso, un vero e proprio diritto soggettivo all’espletamento delle ulteriori prestazioni orarie, poggia su di una prospettazione, secondo cui l’ortodognatonzia costituirebbe non una branca specialistica distinta, ma accessoria o comunque affine a quella di odontoiatria, che non censura adeguatamente l’accertamento della Corte d’Appello sulla mancanza del titolo espressamente richiesto in ragione della nota n. 26656 del 12 ottobre 1990, inviata dal Comitato zonale ex art. 13, dovendo istituire il servizio di ortognatodonzia, e della Delib. 16 marzo 1990, n. 1015/5-7.

Va rilevato, altresì, che è applicabile alla fattispecie l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo modificato dalla L. 7 agosto 2012 n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge. Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, “in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, che nella specie non sono ravvisabili, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”.

Va altresì ricordato, con riguardo al vizio ex art. 360 c.p.c., n. 4, che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, hanno precisato che, in ogni caso, la proposizione del motivo di censura resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte ha l’onere di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso e le condizioni di procedibilità di esso (in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), “sicché l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamato a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato”.

6. Il ricorso principale deve essere rigettato.

7. Per le ragioni già esposte nella trattazione del primo motivo del ricorso principale, va rigettato il ricorso incidentale, articolato in una censura (pag. 2, ssg. del controricorso e ricorso incidentale) con cui la Regione Basilicata, nel richiamare la legge regionale n. 12 del 2008, la giurisprudenza di legittimità e pronunce di merito prospetta il proprio difetto di legittimazione passiva, atteso che la Corte d’Appello l’ha ritenuta correttamente legittimata come Gestione commissariale USL n. 1, e non come Gestione commissariale ASL n. 1 (pagg. 9 e 10 della sentenza di appello).

Ne’ argomenti a sostegno della tesi della ricorrente incidentale possono trarsi dalla sentenza Cass., n. 14243 del 2012, che è richiamata nel motivo, atteso che la stessa attiene ad una diversa fattispecie “domande attinenti al rapporto di lavoro già intercorso (e di cui si chiede il riconoscimento del perpetuarsi stante la dedotta illegittimità del recesso)”, come affermato nella medesima sentenza.

8. Le spese di giudizio sono compensate in ragione delle questioni trattate.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuti.

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuti.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022

 

 

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