Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3973 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/02/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 16/02/2021), n.3973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20401-2016 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74,

presso lo studio dell’avvocato IACOBELLI EMILIO, rappresentato e

difeso dagli avvocati CASERTANO STEFANO, CASERTANO FRANCESCO giusta

procura a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE RIARDO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamentè

domiciliato in ROMA, VIA PREMUDA 1/A, presso lo studio dell’avvocato

DIDDORO ROBERTO, rappresentato e difeso dall’avvocato DE ANGELIS

FRANCESCO SAVERIO giusta procura in calce;

– controricorrente –

e contro

GOSAF SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 800/2016 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 01/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/10/2020 dal Consigliere Dott. LIBERATO PAOLITTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza n. 800/16, depositata il 1 dicembre 2016, la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello di M.G. avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso in relazione all’ICI dovuta dal contribuente per il periodo di imposta 2008.

Nel condividere le conclusioni cui era pervenuta la Commissione tributaria provinciale di Caserta, il giudice del gravame ha rilevato che:

– “A seguito della decadenza del Piano Regolatore del Consorzio ASI deve aversi riguardo per determinare la natura dei terreni in essi compresi ai fini alla destinazione urbanistica originaria”;

– “Dal certificato di destinazione urbanistica prodotto nel presente grado risulta che il terreno in questione è riportato nel piano regolatore generale del Comune di Riardo come “zona per l’insediamento industriale” e dunque in zona omogenea “D” – Insediamenti produttivi”;

– anche in assenza di un piano ASI rimaneva, pertanto, rilevante, secondo dicta giurisprudenziali, “la vocazione industriale della zona per effetto del piano regolatore generale, la cui efficacia non è condizionata dalla decadenza del piano ASI”, nè diversamente rilevava, a detti fini, la mancata realizzazione di infrastrutture.

2. – M.G. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso il Comune di Riardo.

Gosaf S.p.a. è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, espone la denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. nonchè di nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., assumendo il ricorrente che il giudice del gravame non aveva fatto corretta applicazione del principio di non contestazione, – in quanto tale, preclusivo dell’accertamento in fatto svolto da quel giudice sulla base di un certificato di destinazione urbanistica, – nè aveva pronunciato sulla relativa questione, dedotta quale motivo di appello, tenuto conto delle difese articolate da controparti processuali in ordine alla deduzione da esso esponente svolta, e secondo la quale “una zona industriale… nell’ambito del Comune di Riardo non esiste, limitandosi il piano a prevedere, per i terreni inseriti in dette zone assimilate a zone agricole dalla G.R. Campania, una coincidenza delle stesse con il piano ASI di Caserta, rinviando alla normativa contenuta in detto piano”.

Col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 2, comma 1, deducendo, in sintesi, che, nella fattispecie, non v’era “alcuna certezza probatoria in ordine alla circostanza che gli immobili di proprietà del ricorrente siano urbanisticamente classificabili come “D” …”; e che la gravata sentenza aveva proceduto ad una “inammissibile mera operazione logica di equiparazione tra zona ASI e zona industriale di P.R.G.” senza tener conto, nella determinazione della base imponibile dell’imposta, “della maggiore o minore attualità delle… potenzialità edificatorie” dell’area, avuto riguardo ai dati “fattuali del tutto pretermessi dal Giudice” qual costituiti dalla “inesistenza di opere impiantistiche ed infrastrutturali nonchè di attività amministrativa comunale di localizzazione di iniziative industriali nei terreni”, oltrechè alle precedenti determinazioni assunte dallo stesso Comune di Riardo in ordine all’annullamento (in autotutela) di avvisi di accertamento ICI per difetto del relativo presupposto.

Il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, espone la denuncia di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio con riferimento ai dati fattuali già dedotti col secondo motivo di ricorso.

2. – Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

La censura difetta, innanzitutto, di autosufficienza (v. Cass., 10 dicembre 2019, n. 32192; Cass., 10 agosto 2017, n. 19985; Cass., 9 agosto 2016, n. 16655) in quanto non indica il come (condotta processuale), ed il dove (sede processuale), della non contestazione, con particolare riferimento ai contenuti delle difese che (nel più ampio contesto delle deduzioni, e delle argomentazioni, svolte) si sarebbero risolte nel denunciato difetto di specifica contestazione.

Per di più, va rimarcato, la deduzione cui, in tesi, sarebbe riconducibile l’invocata non contestazione si risolve, – piuttosto che in uno specifico fatto suscettibile di non contestazione, – in un’argomentazione volta alla qualificazione giuridica degli effetti, sull’assetto urbanistico, dei contenuti del piano regolatore generale, in relazione alla (caducata) disciplina dei piani ASI.

3. – Il secondo motivo è destituito di fondamento quanto alla denunciata “mera operazione logica di equiparazione tra zona ASI e zona industriale di P.R.G.”.

3.1 – Considera, difatti, la Corte che, come ben rilevato dal giudice del gravame, la perdita di efficacia del piano regolatore di area industriale (legge Regione Campania, 13 agosto 1998, n. 16, art. 10), – in quanto preordinato all’individuazione, e alla delimitazione, delle zone da destinare a sviluppo industriale, con vincoli di carattere conformativo e preordinati all’esproprio (per il rilievo che “Nei piani a.s.i. non è dubbia la riconoscibilità di vincoli preordinati all’espropriazione (quindi soggetti ai principi in tema di indennizzo e durata), dato che per definizione lo sviluppo industriale commesso ai consorzi non può che avvenire previa espropriazione generalizzata.” v. Corte Cost., 20 luglio 2007, n. 314), – non implicava affatto la perdita (anche) della qualità edificatoria dell’area che, secondo il piano regolatore generale, risultava (già) destinata ad insediamenti industriali.

La Corte ha già rilevato (ma si veda, anche, la L.R. Campania, n. 16 del 1998, art. 10, comma 8, e art. 11) che i piani dei consorzi industriali “producono gli stessi effetti giuridici del piano territoriale di coordinamento, L. n. 1150 del 1942, ex art. 5” (v., ora, la L.R. Campania, 22 dicembre 2004, n. 16, art. 18, comma 5), ed i relativi vincoli “non discendono direttamente dal piano del consorzio … ma dalla concreta attuazione data al piano medesimo dall’ente, mediante l’adozione delle consequenziali modifiche del piano regolatore generale, le quali soltanto sono idonee a fornire la qualificazione urbanistica della zona” (v. Cass., 19 aprile 2017, n. 9915; Cass., 11 marzo 2011, n. 5861; Cass., 30 marzo 2009, n. 7616; Cass., 6 dicembre 2002, n. 17330; Cass., 23 marzo 2001, n. 4200; v., altresì, Tar Catania, sez. II, 1 luglio 2009, n. 1211; Tar Catania, sez. I, 27 marzo 2007, n. 521).

3.2 – La perdita di efficacia del piano ASI, – quale conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni normative regionali (L. n. 16 del 1998, cit., art. 10, comma 9; L.R. Campania, 11 agosto 2001, n. 10, art. 77, comma 2) che avevano disposto la proroga (indiscriminata) di tutti i piani ASI della Regione Campania, in violazione dei principi di temporaneità, e di indennizzabilità, dei vincoli (urbanistici) espropriativi (Corte Cost. n. 314 del 2007), – non poteva pertanto determinare, ex se, la restituzione dei terreni oggetto di tassazione ad una (supposta) natura agricola laddove, secondo prescrizioni del piano regolatore comunale, quei terreni risultavano diversamente destinati ad uso industriale (così Cass., 12 dicembre 2019, n. 32551; v. altresì, in tema di ICI, Cass., 25 luglio 2018, n. 19695; Cass., 19 luglio 2017, n. 17818; Cass., 18 maggio 2012, n. 7886; Cass., 28 maggio 2010, n. 13135).

3.3 – Come, poi, statuito dalla Corte, con consolidato e risalente orientamento interpretativo, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11-quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, – disposizioni, queste, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), – l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi; laddove, – risultando ad ogni modo inapplicabile il diverso criterio fondato sul valore catastale dell’immobile (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2), – deve, peraltro, tenersi conto, nella determinazione di detto valore venale, della maggiore o minore attualità delle potenzialità edificatorie dell’area, nonchè della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione (così Cass. Sez. U., 28 settembre 2006, n. 25506 cui adde, ex plurimis, Cass., 10 marzo 2020, n. 6702; Cass., 7 agosto 2019, n. 21080; Cass., 3 aprile 2019, n. 9202; Cass., 2 marzo 2018, n. 4952; Cass., 5 marzo 2014, n. 5161; Cass., 16 novembre 2012, n. 20137; Cass., 11 aprile 2008, n. 9510).

4. – Col motivo in trattazione, peraltro, – così com’è anche a riguardo del terzo motivo di ricorso, – il ricorrente articola profili di censura che, concernendo la determinazione della base imponibile dell’imposta, – correlata, in quanto tale, al valore venale dell’area (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5), – debbono ritenersi inammissibili nella misura in cui, – in difetto, oltretutto, di ogni specificazione in ordine al loro carattere decisivo, avuto riguardo ai criteri di valutazione che, qual in concreto utilizzati dall’Ente impositore, rimangono del tutto inespressi in ricorso, – risultano connotati da novità; difatti vengono, così, in considerazione questioni in fatto che, per un verso, non risultano trattate dalla gravata sentenza (v. Cass., 24 gennaio 2019, n. 2038; Cass., 9 agosto 2018, n. 20694; Cass., 13 giugno 2018, n. 15430; Cass., 18 ottobre 2013, n. 23675; Cass., 28 luglio 2008, n. 20518; Cass., 21 febbraio 2006, n. 3664; Cass., 12 luglio 2005, n. 14590) e che, per il restante, attengono, come si è appena detto, ad un specifico profilo della tassazione (la determinazione della base imponibile dell’ICI, costituita dal valore venale dell’area in comune commercio) la cui devoluzione al giudice di merito non emerge (nemmeno) dalla stessa esposizione dei fatti di causa.

5. – Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater).

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 1.400,00, oltre rimborso spese generali di difesa ed oneri accessori, come per legge;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principalg, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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