Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3973 del 08/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 08/02/2022, (ud. 24/11/2021, dep. 08/02/2022), n.3973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9335-2016 proposto da:

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI VIBO VALENTIA, in persona del

Direttore Generale pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO GREGORIO MONTAGNESE;

– ricorrente –

contro

R.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DARDANELLI 23,

presso lo studio dell’avvocato MATTEO ADDUCI (Studio avv. ANTONIO

MELINA), rappresentato e difeso dall’avvocato GIACOMO FRANCESCO

SACCOMANNO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1467/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 11/01/2016 R.G.N. 2095/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2021 dal Consigliere Dott.ssa TRICOMI IRENE.

 

Fatto

RITENUTO

1. La Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 1467 del 2015, ha accolto in parte l’appello proposto da R.O. nei confronti di Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) di Vibo Valentia, avverso la sentenza emessa tra le prati dal Tribunale Vibo Valentia, e ha determinato in Euro 228.452,06 il credito del R. rispetto all’ASP di Vibo Valentia a titolo di risarcimento del danno per illegittima revoca della convenzione, esistente tra l’ASP di Vibo Valentia e lo studio radiologico R., emessa il 18 maggio 2000 n. 4019/DT.

2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’ASP di Vibo Valentia, prospettando quattro motivi di ricorso.

3. Resiste con controricorso R.O..

4. Il controricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 291,330,415,421 e 435, c.p.c., dell’art. 6CEDU, degli artt. 24 e 111 Cost., in riferimento all’art. 360, c.p.c., n. 3 e 4, nonché violazione e/o falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2, art. 6 CEDU, artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La censura, nel richiamare le suddette disposizioni, verte sulla improcedibilità dell’appello, come era stata eccepita in appello con la memoria di costituzione, in relazione al doppio termine di notifica concesso dalla Corte d’Appello.

11 termine per la rinotifica del ricorso, che era stata effettuata alla ASP, anziché ai procuratori costituiti in primo grado, era stato concesso dopo la scadenza del termine utile ad impugnare.

1.2. Il motivo non è fondato.

1.3. Secondo i principi già affermati da questa Corte (Cass., n. 20840 del 2021, 12785 del 2016), la notifica dell’atto di appello effettuata presso la ASP è nulla e non inesistente, dunque sanabile con effetto “ex tunc” attraverso la costituzione dell’intimato o la sua rinnovazione, spontanea o su ordine del giudice, di talché non si determina decadenza dall’impugnazione. Ed infatti, la notificazione di atto processuale effettuata a soggetto e in luogo non corretti non è inesistente, in quanto potenzialmente idonea ad assolvere alla funzione conoscitiva che le è propria, potendo al più ritenersi nulla e, come tale, possibile oggetto di rinnovazione (Cass., n. 6743 del 2019).

2. Con il secondo motivo del ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La doglianza verte sul rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello in quanto lo stesso, nel ricalcare l’impostazione difensiva primo grado, mancava di specificità.

2.1. Il motivo è inammissibile. Nella censura non è trascritta la sentenza di primo grado e i motivi di appello, al fine di far apprezzare a questa Corte la rilevanza del profilo di censura con cui ci si duole della mancanza di specificità di quest’ultimo.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, ove vengano in rilievo atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ai sensi dell’art. 360, c.p.c., n. 5, o anche di un error in procedendo, è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito

o prodotto in sede di giudizio di legittimità, senza che possa attribuirsi rilievo al fatto che nell’indice si indicano come allegati i fascicoli di parte di primo e secondo grado (Cass., S.U., n. 22726 del 2011, Cass., S.U., n. 8077 del 2012).

I requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perché solo l’esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure.

Gli oneri sopra richiamati sono altresì funzionali a permettere il pronto reperimento degli atti e dei documenti il cui esame risulti indispensabile ai fini della decisione sicché, se da un lato può essere sufficiente per escludere la sanzione della improcedibilità il deposito del fascicolo del giudizio di merito, ove si tratti di documenti prodotti dal ricorrente, oppure il richiamo al contenuto delle produzioni avversarie, dall’altro non si può mai prescindere dalla specificazione della sede in cui il documento

o l’atto sia rinvenibile e dalla sintetica trascrizione nel ricorso del contenuto essenziale del documento asseritamente trascurato od erroneamente interpretato dal giudice del merito (Cass., S.U, n. 5698 del 2012; Cass. S.U., n. 25038 del 2013, Cass., S.U., n. 34469 del 2019).

3. Con il terzo motivo del ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione degli artt. 269,7 c.c., degli artt. 115,116,c.p.c., e art. 416 c.p.c.. Violazione del giudicato sostanziale ex art. 2909 c.c.. Violazione degli artt. 2043,1223 e 2697 c.c., nonché nullità della motivazione ex art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La ricorrente, nel richiamare le disposizioni di cui denuncia la violazione e il giudizio di ottemperanza intercorso tra le parti dinanzi al Consiglio di Stato, si duole dell’applicazione del principio di non contestazione sia per 1″ an che per il quantum, in ragione della delibera emessa dall’ASP a seguito del giudizio di ottemperanza stesso, con cui si riconosceva la pretesa economica conseguente alla illegittimità della revoca.

Assume la ricorrente che la Corte d’Appello, per una corretta valutazione, avrebbe dovuto prendere in considerazione la delibera dell’ASP di pagamento congiuntamente alle memorie di contestazione dell’ASP di primo e di secondo grado, ai fini di una organica, coerente e logica interpretazione del documento de quo, e solo dopo ne avrebbe potuto trarre le conseguenze.

3.1. Il motivo è inammissibile, in ragione dei principi già enunciati nella trattazione del secondo motivo.

Ed infatti, la ASP, pur incentrando la censura sul contento della delibera ASP e delle proprie difese in primo e in secondo grado, nonché della pronuncia del giudice amministrativo, si limita a riprodurre stralcio della propria memoria di costituzione in appello e il solo ordine di pagamento del Consiglio di Stato in sede di ottemperanza, senza riportare i propri più argomenti difensivi formulati in primo grado, la correlata sentenza di primo grado, e la motivazione della pronuncia del giudice amministrativo, che non è peraltro allegata, di talché non può svolgersi il giudizio di rilevanza della censura.

Come si è sopra affermato, ove vengano in rilievo atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o anche di un error in procedendo, è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità.

4. Con il quarto motivo si deduca la violazione di giudicato della sentenza del Consiglio di Stato n. 1256 del 2005 e n. 3276 del 2009. Denuncia inoltre la violazione degli artt. 2043,1223,2697, c.c., anche in relazione all’art. 115, c.p.c.. Nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c.. Costituisce oggetto di censura la statuizione del risarcimento del danno.

La doglianza verte sulla prospettata mancanza degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2043, c.c. anche in relazione al riparto dell’onere della prova, avendo la sentenza di appello fatto erronea applicazione del principio di non contestazione, rinvenuto erroneamente nella delibera ASP nella parte in cui ottempera alla sentenza del Consiglio di Stato, dando luogo a motivazione apparente.

4.1. Il motivo è inammissibile per le ragioni già esposte nella trattazione del secondo e del terzo motivo, atteso che anche il presente motivo si fonda su documenti, le pronunce del Consiglio di Stato, non riprodotte nel motivo e non allegate al ricorso,

5. 11 ricorso deve essere rigettato.

6. Le spese seguono la soccombenza dell’ASP di Vibo Valentia e sono liquidate in dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022

 

 

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