Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3971 del 19/02/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 3971 Anno 2018
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: RIVERSO ROBERTO

ORDINANZA

sul ricorso 18027-2012 proposto da:
BENDIA LILIANA, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAllA BARBERINI 12 presso studio legale RIDOLFIe

O

bresso lo studio dell’avvocato PATRIZIA BURDI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
2017
4428

CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE
144, presso lo studio degli avvocati LUCIANA ROMEO e
LUCIA PUGLISI, che lo rappresentano e difendono,

YL(

Data pubblicazione: 19/02/2018

giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 23/2012 della CORTE D’APPELLO

di PERUGIA, depositata il 02/05/2012 R.G.N. 200/2011.

R.G. 18027/2012

RITENUTO IN FATTO
che la Corte d’appello di Perugia con sentenza n. 23/2012 ha respinto l’appello
proposto da Bendia Liliana avverso la sentenza che in primo grado, sulla base di CTU

ottenere il riconoscimento della natura professionale della patologia denunciata
all’istituto (adenocarcinoma dell’endometrio), con costituzione di una rendita
permanente commisurata al grado di inabilità permanente del 30%;
che a fondamento della decisione la Corte sosteneva che le critiche mosse nell’atto
d’appello alla CTU e quindi alla sentenza che l’aveva recepita, non inficiavano le
conclusioni cui erano pervenute, sulla base di corrette considerazioni medico legali,
negando l’esistenza del nesso causale tra l’esposizione alle radiazioni ionizzanti subite
dalla Bendia come medico radiologo, presso varie strutture ospedaliere delle Marche e
dell’Umbria, e l’insorgenza della malattia neoplastica (adenocarcinoma
dell’endometrio) diagnosticata nel settembre 1999; che in particolare, secondo la
Corte, non poteva essere considerata rilevante la critica fondata sull’incidente da
radiazioni, risalente al 1985-1986, che aveva prodotto un’esposizione ad una
“quantità indefinibile” di radiazioni ionizzanti (a causa del mal funzionamento di un
apparecchio radio portatile utilizzato per l’esecuzione di radiografie ad addome aperto
su pazienti sottoposti a intervento chirurgico, inconveniente eliminato solo dopo alcuni
mesi dai tecnici addetti al controllo periodico dell’apparecchio); poiché questo fatto cui anche il CTU in primo grado accennava nel paragrafo della relazione dedicata al
criterio anamnestico lavorativo – non poteva essere valutato in quanto fatto nuovo,
inammissibilmente allegato per la prima volta in appello, oltre che ovviamente sfornito
di prova;
che contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Bendia Liliana con un
motivo di censura cui resiste l’Inali con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
che col motivo di ricorso la ricorrente deduce la contraddittorietà della motivazione in
ordine a fatti decisivi per il giudizio, ivi compresa l’omessa valutazione della istanza
istruttoria riproposta in grado di appello (ai sensi dell’articolo 360 comma 1, n. 5
1

medico legale, aveva rigettato la sua domanda svolta nei confronti dell’Inail intesa ad

R.G. 18027/2012

c.p.c.), e ciò in quanto la Corte d’appello aveva sostenuto che l’incidente da radiazioni,
su cui la Bendia Liliana aveva fondato le proprie critiche alla CTU svolta in primo grado
e conseguentemente alla sentenza di primo grado, costituisse un fatto nuovo dedotto
soltanto in appello;
che il motivo è fondato posto che, come risulta dal ricorso per cassazione, il fatto in
oggetto risulta dedotto nell’atto introduttivo del giudizio in primo grado al punto 13
“nel periodo in cui ha prestato servizio

presso l’ospedale di Monte falco – dal 1986 al 1999 – la ricorrente si è trovata esposta
ad un rischio di assorbimento di radiazioni ionizzanti non quantificabile e comunque
particolarmente elevati a causa di un guasto alla testata dell’apparecchio radio geno
portatile, rilevato solo dopo mesi di malfunzionamento dello stesso ovviamente
ignorato dal personale medico (doc. 17) “;
che lo stesso fatto era altresì attestato da una dichiarazione rilasciata da un tecnico di
radiologia riportato nel documento n. 17, ove si parla della mancanza di misure di
protezione; ed inoltre esso era stato dedotto a contenuto dell’istanza di prova
testimoniale articolata in primo grado e riproposta in appello;
che a riprova dell’esistenza, rilevanza e gravità dello stesso fatto, la ricorrente nel
corso del giudizio di primo grado aveva pure prodotto la sentenza n. 525/2010 pronunciata successivamente all’introduzione della causa da altro giudice della sezione
lavoro del tribunale di Perugia – nei confronti del dott. Verdura, pure indicato come
teste, il quale aveva a sua volta azionato la domanda di riconoscimento della malattia
professionale con riferimento all’attività ospedaliera svolta e alla dose non
quantificabile di radiazioni assorbita in conseguenza del medesimo incidente da
radiazioni, in discorso;
che la Corte d’appello ha pertanto omesso di valutare ai fini della decisione della causa
un fatto decisivo relativo appunto all’esposizione subita dalla lavoratrice in
conseguenza dell’incidente di cui si discute; e ciò ha comportato l’esistenza di un vizio
della motivazione atteso che per fatti decisivi vanno intesi anche quelli secondari
dedotti a contenuto di istanze probatorie (Cass.7983/2014);
che il vizio è particolarmente evidente poiché nell’affermare la sua inammissibilità per
novità della circostanza, la Corte rilevava che essa fosse stata dedotta a confutazione
della ctu e che anche il ctu in primo grado vi accennasse genericamente nel paragrafo

2

della premessa, ove tra l’altro si dice che

R.G. 18027/2012

della relazione dedicata al criterio anamnestico lavorativo (giudicandolo fatto remoto e
vago);
che si tratta di circostanza su cui non è stato consentito il dispiegarsi del diritto alla
prova, pur integrando fatto decisivo ai fini del nesso di causa anche con riferimento ai
criteri assunti nella ctu e nella sentenza a contenuto della relativa nozione; che invero
proprio il criterio anamnestico lavorativo – ritenuto “uno dei più importanti” tra quelli

fonda sulla rilevanza della dose, della durata dell’esposizione e delle misure di
sicurezza adottate, dei risultati dei films dosimetrici e di “dettagliate relazioni di ogni
eventuale incidente da radiazioni osservati durante la presenza del soggetto
nell’ambiente professionale”;
che tra le premesse della ctu e della sentenza, a proposito dell’incidenza della
radiazioni sulla salute dell’uomo ai fini degli effetti deterministici, si richiama pure il
concetto di valore dose assorbita e si evidenzia che la gravità delle manifestazioni
cliniche è proporzionale alla dose assorbita; e si precisa inoltre che esse compaiono
dopo un periodo di latenza che è inversamente proporzionale alla dose assorbita;
che sulla scorta delle precedenti considerazioni il ricorso deve essere quindi accolto e
la sentenza cassata con rinvio della causa al giudice designato in dispositivo, per un
nuovo esame in conformità alle premesse e per la statuizione sulle spese anche di
questa fase del giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese
alla Corte di Appello di Perugia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 14.11.2017

utilizzati dal ctu e dalla sentenza per giudicare l’esistenza del nesso di causa – si

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