Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3971 del 08/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 08/02/2022, (ud. 18/11/2021, dep. 08/02/2022), n.3971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARI Luigi – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4747-2016 proposto da:

FINEGIL EDITORIALE S.P.A. (quale incorporante EDITORIALE LA NUOVA

SARDEGNA S.P.A.), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIUSEPPE

MAZZINI 27, presso lo studio TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata

e difesa dagli avvocati PAOLO ZUCCHINALI, GIACINTO FAVALLI, MARIO

OTTONE CAMMARATA;

– ricorrente –

contro

I.N.P.G.I. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI

ITALIANI “GIOVANNI AMENDOLA”, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI

RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato BRUNO DEL VECCHIO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7936/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/08/2015 R.G.N. 6600/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/11/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza n. 17936 del 2014, la Corte d’Appello di Roma ha confermato l’accertamento compiuto, nei confronti dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiano “Giovanni Amendola” (INPGI), dal Tribunale della stessa sede in ordine alla natura subordinata dei rapporti di lavoro giornalistico, intercorsi tra La Società Nuova Sardegna s.p.a. e quattro corrispondenti, un redattore corrispondente ed un redattore, nel periodo compreso tra il gennaio 2001 ed il novembre 2006;

l’impugnazione, proposta nei confronti dell’INPGI dalla stessa società editoriale, aveva avuto ad oggetto la sentenza di primo grado che, rigettando l’opposizione a decreto ingiuntivo, aveva dichiarato sussistenti i detti rapporti di lavoro subordinati e quindi dovuti i contributi pretesi a seguito di verbale di accertamento ispettivo per i periodi per ciascuno indicati;

avverso tale sentenza FINEGIL Editoriale s.p.a.(oggi denominata GEDI NEWS NETWORK s.p.a), quale società incorporante per atto di fusione Editoriale Nuova Sardegna s.p.a., ricorre per cassazione sulla base di tre motivi e successiva memoria presentata ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.;

INPGI ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), si denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., in quanto la sentenza impugnata aveva ritenuto soddisfatto l’onere probatorio incombente sull’INPGI basandosi sulle sole risultanze del verbale ispettivo e senza che le pretese avessero trovato conferma in sede testimoniale;

ad avviso della ricorrente, dunque, sarebbe violato l’art. 115 c.p.c., che prevede che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificamente contestati; inoltre, sarebbe violato l’art. 116 c.p.c., che prevede che il giudice valuti la prova secondo il suo prudente apprezzamento e che possa desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno ed, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, infine sarebbe stato violato anche l’art. 2697 c.c., poiché, pur affermandosi in astratto che l’onere di provare i fatti costitutivi dell’obbligo assicurativo gravasse sull’INPGI, la sentenza impugnata non avrebbe correttamente valutato il materiale probatorio derivante dalle prove testimoniali acquisite al processo (che la ricorrente ripercorre per ciascuna posizione confrontando il risultato delle dichiarazioni acquisite con le previsioni del contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti relative agli artt. 1,5 e 12), e sarebbe giunta a risultati del tutto impropri, disconoscendo la natura autonoma delle collaborazioni rese;

con il secondo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 111Cost., dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 c.p.c., comma 1, nonché, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver la sentenza fatto cattivo governo delle risultanze istruttorie, valorizzando le dichiarazioni rese in primo grado (riprodotte all’interno del ricorso mediante l’inserimento dei contenuti dei verbali d’udienza del primo grado) e senza neanche riprodurle, e ritenendo, di contro, non attendibile il teste L., che aveva testimoniato in favore della tesi sostenuta dalla società;

con il terzo motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 2094 e 2222 c.c.) e del contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico in relazione alle previsioni che regolano le singole figure di lavoro giornalistico subordinato, con riferimento all’accertamento della natura subordinata, quali corrispondenti (ai sensi del C.C.N.L., art. 12), dell’attività svolta dai signori B., C., S. e Z., quale redattore interno (ai sensi del C.C.N.L., art. 1), quanto a Ca. e, quale redattore – corrispondente (ai sensi del C.C.N.L., art. 5), quanto a Su.;

i tre motivi del ricorso, in quanto connessi, vanno trattati congiuntamente e sono tutti infondati;

in particolare, si lamenta che la Corte territoriale abbia di fatto eluso l’obbligo di motivazione, non procedendo ad una corretta sussunzione dei profili professionali emergenti dal materiale istruttorio all’interno delle figure previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, all’art. 1, con riferimento alla figura del redattore ordinario per quanto riguarda Ca.Al., al C.C.N.L., art. 12, con riferimento alle figure dei corrispondenti, quanto alla posizione di B., C., S. e Z. ed al C.C.N.L., art. 5, con riferimento alla figura del redattore corrispondente, quanto alla posizione di Su.;

la sentenza impugnata, ha affermato che spetta all’INPGI l’onere di provare i presupposti degli obblighi contributivi derivanti dei pretesi rapporti di lavoro giornalistico subordinato intercorsi tra la odierna ricorrente ed i soggetti indicati nel verbale ispettivo, sopra citati ed ha pure ribadito che il rapporto ispettivo dei funzionari dell’ente, pur non facendo piena prova fino a querela di falso, è attendibile fino a prova contraria, quando esprime gli elementi da cui trae origine (in particolare mediante allegazione delle dichiarazioni rese da terzi) restando comunque liberamente valutabile dal giudice in concorso con altri elementi probatori;

la Corte territoriale ha riferito di aver vagliato le modalità di accertamento dei fatti rilevanti poste in essere dal Tribunale, attraverso le quali erano state confermate le conclusioni degli organi ispettivi dell’INPGI;

in particolare, la sentenza ha puntualizzato che la posizione di corrispondente dei signori B., C., S. e Z. non richiedeva, per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, né orario di lavoro, né organico inserimento in redazione e che la deposizione del teste c. aveva confermato l’obbligo dei medesimi corrispondenti di seguire gli eventi nei territori a ciascuno assegnati in adempimento delle direttive impartite dal capo servizio o dal vice capo servizio; quanto alla posizione di Su.Gi., era stato accertato l’inserimento nella redazione di Iglesias attraverso le univoche dichiarazioni dei testi P. e Ce., mentre, quanto alla posizione della Ca., si è ritenuto maggiormente credibile il contenuto del verbale ispettivo a fronte della inattendibilità del teste L. che era stato direttore del giornale dal 1991 sino al 2005;

tale struttura argomentativa della motivazione che dà conto del procedimento logico giuridico adottato esclude che possa trovare conferma la denuncia di insussistenza della motivazione stessa, determinante il vizio di nullità della sentenza per omessa motivazione, che ricorre allorché essa sia priva dell’esposizione dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione (vd. Cass. n. 19956 del 2017; Cass. n. 16581 del 2009);

neppure ricorre il vizio di motivazione, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella stesura introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis, che la parte ricorrente ravvisa nelle ragioni indicate dalla Corte d’appello con ciò, inevitabilmente, richiedendo al giudizio di legittimità di ripercorrere le medesime valutazioni in punto di fatto;

questa Corte di cassazione, a tal proposito, ha affermato che secondo la lettura data dalle Sezioni Unite nelle sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, la riconducibilità del cattivo esercizio del prudente apprezzamento della prova ai sensi dell’art. 116 (cioè di quella non soggetta a regola di valutazione imposta dal legislatore: c.d. prova legale), deve escludersi, atteso che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

inoltre, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione che si esaurisce, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”;

ne segue che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, non rientrando né nel paradigma del n. 5, né in quello del n. 4 (per il tramite della deduzione della violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nei termini ora indicati), non trova di per sé alcun diretto referente normativo nel catalogo dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione;

nella fattispecie, la ricorrente ha criticato in radice l’apprezzamento svolto dalla sentenza impugnata, ma così facendo non ha indicato alcun “fatto”, dedotto e non adeguatamente valutato nella sentenza impugnata, idoneo a giustificare una decisione diversa da quella assunta, limitandosi a denunciare in blocco la valutazione compiuta dal giudice e a proporne una diversa per cui il motivo e’, per tali versi, inammissibile;

la sentenza impugnata ha affermato correttamente che è l’INPGI l’attore, cioè colui che esercita una pretesa. Rettamente, pertanto, la Corte di Appello ha richiesto che fosse l’INPGI a provare il proprio assunto (vale a dire la natura subordinata dei rapporti di lavoro) ed ha ritenuto che tale prova fosse desumibile dai verbali ispettivi e dalle dichiarazioni rese da terzi in quanto fonti di conoscenza che hanno trovato conferma dal complessivo compendio probatorio acquisito;

tale apprezzamento è incensurabile in questa sede, siccome sorretto da adeguata motivazione per le ragioni già sopra esplicitate. Ne’ tale regola subisce eccezioni nel rito del lavoro (Cass. 15 luglio 2009, n. 16499). In particolare, l’accertamento, sulla base delle risultanze probatorie, delle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore e la valutazione delle stesse, ai fini dell’inquadramento spettante secondo la disciplina collettiva, si risolvono in un giudizio di fatto del giudice del merito, che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione adeguata ed esente da vizi logici (ex plurimis: Cass., n. 1127 del 1983; Cass., n. 26233 del 2008; Cass., n. 28284 del 2009; nella stessa ottica, è stato affermato che anche alla valutazione del contenuto dell’attività giornalistica va attribuita natura di accertamento di fatto, come tale insuscettibile di sindacato in sede di legittimità (v. Cass., n. 13814 del 2008). Peraltro, con riferimento alle figure professionali di cui si discute nel presente giudizio, da tempo sono consolidati gli indirizzi secondo cui: costituisce attività giornalistica – presupposta, ma non definita dalla L. 3 febbraio 1963, n. 69, sull’ordinamento della professione di giornalista – la prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, ponendosi il giornalista quale mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, con il compito di acquisire la conoscenza dell’evento, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e confezionare il messaggio con apporto soggettivo e creativo; assume inoltre rilievo, a tal fine, la continuità o periodicità del servizio, del programma o della testata nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l’inserimento continuativo del lavoratore nell’organizzazione dell’impresa (Cass. n. 17723 del 2011);

per la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, il carattere subordinato della prestazione del giornalista presuppone la messa a disposizione delle energie lavorative dello stesso per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione, di cui assume la responsabilità, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell’impresa giornalistica, che si assicura così la copertura di detta area informativa, contando per il perseguimento degli obbiettivi editoriali sulla disponibilità del lavoratore anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, ciò che rende la sua prestazione organizzabile in modo strutturale dalla direzione aziendale (cfr. fra le tante Cass. n. 833 del 2001, Cass. n. 4797 del 2004, Cass. n. 11065 del 2014; Cass. n. 8144 del 2017);

a tale parametro normativo si è attenuta la Corte territoriale nello scrutinio delle risultanze istruttorie, indipendentemente dal fatto che, per argomentare la sussistenza di prova circa la presenza del vincolo di permanente disponibilità, abbia desunto indizi dalle concrete modalità con cui la prestazione si era di fatto svolta.

il ricorso va quindi rigettato e le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2022

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