Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3970 del 16/02/2021

Cassazione civile sez. II, 16/02/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 16/02/2021), n.3970

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24203/2019 proposto da:

M.L., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPE

BRIGANTI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in

FERMIGNANO (PU) VIA R. RUGGERI 2/A;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 103/2019 della CORTE d’APPELLO di ANCONA,

pubblicata il 25/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/11/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.L. proponeva appello avverso l’ordinanza del 4.2.2018, con la quale il Tribunale di Ancona rigettava il ricorso proposto avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere cittadino del Bangladesh; che all’età di (OMISSIS) lavorava in un negozio e che un giorno tre malviventi lo avevano rapito, tenuto prigioniero in una stanza e costretto a sposare l’attuale moglie; dopo il matrimonio lo avevano trattenuto per 5 giorni e poi rilasciato; che la famiglia della ragazza credeva che egli fosse il figlio del proprietario del negozio e quando aveva saputo non era così aveva cominciato a maltrattarlo, compresa la moglie, la quale aveva già un’altra relazione; che nel patto matrimoniale il richiedente si era impegnato a versare alla famiglia della sposa una grossa somma di denaro che egli non possedeva; che la famiglia della moglie aveva minacciato di denunciarlo se non avesse pagato; che il datore di lavoro gli aveva prestato del denaro per lasciare il Paese, trovare un lavoro e ripianare i debiti.

Con sentenza n. 103/2019, depositata in data 25.1.2019, la Corte d’Appello di Ancona rigettava l’appello, ritenendo che il Giudice di primo grado avesse correttamente evidenziato che non si riscontravano motivi idonei a giustificare le richieste forme di protezione. Il racconto del ricorrente appariva poco plausibile e generico, specie con riferimento al fumus persecutionis (ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato) o al pericolo di danno grave alla persona in caso di rimpatrio (ai fini della protezione secondaria). La domanda di protezione internazionale non poteva essere accolta in quanto la vicenda rientrava nell’ambito di contrasti tra privati o altrimenti nel normale alveo dell’emigrazione economica, in ogni caso estranea alle ipotesi normativamente tutelabili. Anche la protezione sussidiaria non poteva essere riconosciuta, in considerazione della genericità e delle incongruenze della narrazione. Si sottolineava, inoltre, che la situazione del Bangladesh non fosse assimilabile ad altri Paesi caratterizzati da ben diverse realtà. Infine, anche la domanda di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari non poteva trovare accoglimento. A tale proposito, si evidenziava che non erano state allegate, nè potevano ritenersi provate, in considerazione della mancanza di attendibilità del racconto, specifiche situazioni soggettive, tali da giustificare la concessione della protezione umanitaria, in quanto l’istante non aveva provato di rientrare in categorie soggettive in relazione alle quali fossero ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione M.L. sulla base di quattro motivi. Il Ministero dell’Interno intimato non svolgeva difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, nel testo applicabile alla controversia ratione temporis e dell’art. 132 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6” là dove la Corte distrettuale ha ritenuto non credibili le affermazioni del richiedente senza tuttavia nulla argomentare in merito alle ragioni di tale asserita non attendibilità.

1.2. – Con il secondo motivo, il richiedente deduce la “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, poichè la Corte d’appello avrebbe omesso l’esame della ragione della fuga dal Bangladesh; della situazione socio-economico-politica del Bangladesh in base a fonti internazionali aggiornate; degli elementi di vulnerabilità l’uno in rapporto all’altro.

1.3. – Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento all’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, art. 32 Cost.; L. n. 881 del 1977, art. 11; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27 e 32 e all’art. 16 Direttiva Europea n. 2013/32, nonchè agli artt. 2 e 3, anche in relazione agli artt. 115 e 117 c.p.c.; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5,6,7 e 14 e T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2, nel testo applicabile ratione temporis”; in quanto la Corte distrettuale avrebbe dovuto prendere in esame tutte le dichiarazioni del ricorrente e valutarne la credibilità alla luce dei parametri legali di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, all’esito dell’istruttoria, mentre la Corte rigettava le domande limitandosi ad affermare quanto già riportato nell’esposizione dei fatti di causa.

1.4. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento agli artt. 6 e 13 CEDU, art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e all’art. 46 della Direttiva Europea n. 2013/32”, per mancato rispetto del principio d’effettività del ricorso, stante la denunciata violazione del dovere di cooperazione istruttoria.

2 – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica, i motivi primo e secondo vanno esaminati e decisi congiuntamente. Essi sono fondati.

2.1. – Con orientamento ormai consolidato ed anche di recente ribadito da questa Corte (cfr., ad esempio, Cass. n. 3819 del 2020), il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dall’art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito. In altri termini, la “motivazione apparente” ricorre allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – come parte del documento in cui consiste la sentenza (o altro provvedimento giudiziale) – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice. In questo senso possono citarsi numerose pronunce che convergono nella indicata nozione, talora variamente accentuandone i diversi elementi (cfr., ex plurimis, Cass. n. 4891 del 2000; Cass. n. 1756 e n. 24985 del 2006; Cass. n. 11880 del 2007; Cass. n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009; Cass. n. 4488 del 2014; Cass., SU, n. 8053 e n. 19881 del 2014).

2.2. – In particolare, in tema di valutazione delle prove e soprattutto di quelle documentali, il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (cfr. Cass. n. 14762 del 2019; cfr., anche sulla tipologia del vizio, Cass. n. 22598 del 2018).

Orbene, la Corte di merito sembra così, nello specifico, ritenere non credibili le affermazioni del ricorrente, senza pur tuttavia nulla argomentare in merito di tale asserita non attendibilità, in rapporto anche alla critica della decisione della Commissione territoriale e del Tribunale operata dal ricorrente stesso in sede di appello e ai documenti allegati in atti. Al fine di verificare la credibilità della vicenda narrata dal ricorrente, sarebbe allora occorso sottoporre la stessa ad un attento vaglio critico alla luce dei criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e nel rispetto degli ulteriori principi riportati dalla citata giurisprudenza. Ciò anche al fine di chiarire ulteriormente che la giurisprudenza di legittimità ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), rilevato che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 5, comma 3, lett. c).

2.3. – Sotto l’altro profilo, va posto in rilievo come il giudice di appello non abbia compiutamente esaminato nè la attuale situazione socio-economica-politica del Paese di provenienza onde determinare la sussistenza di uno dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; nè la domanda di protezione internazionale, che non poteva essere oggetto di accoglimento, in quanto la vicenda rientrava nell’ambito di contrasti tra privati o altrimenti nel normale alveo dell’emigrazione economica, in ogni caso estranea alle ipotesi normativamente tutelabili (nella specie trattavasi di un contenzioso civile riguardante un matrimonio combinato, destinato subito a fallire, con conseguente espatrio del ricorrente). Neppure, infine, la protezione sussidiaria poteva essere riconosciuta, in considerazione della genericità e delle incongruenze della narrazione. Si sottolineava, inoltre, che la situazione del Bangladesh non fosse assimilabile ad altri Paesi caratterizzati da ben diverse realtà.

2.4. – Circa tale aspetto, va solo rimarcato che, come chiarito da Cass. n. 29056 del 2019, l’eventuale omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (country of origin information) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poichè, in tal caso, l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando (ma tale ipotesi non è stata minimamente dedotta nell’odierna fattispecie) costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio. In altri termini, e più specificamente, colui che intenda denunciare in sede di legittimità la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice di merito non deve limitarsi a dedurre l’astratta violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ma ha l’onere di allegare l’esistenza e di indicare gli estremi delle COI che, secondo la sua prospettazione, ove fossero state esaminate dal giudice di merito avrebbero dovuto ragionevolmente condurre ad un diverso esito del giudizio (Cass. n. 23983 del 2020).

3. – Vanno accolti il primo ed il secondo motivo del ricorsoo; con assorbimento del terzo e del quarto. Va cassata la sentenza impugnata e rinviato il processo alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, che, attenendosi al principio enunciato, procederà ad un nuovo esame del merito e liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, con assorbimento del terzo e del quarto. Cassa la sentenza impugnata, e rinvia il giudizio alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, che, attenendosi al principio enunciato, procederà ad un nuovo esame del merito e liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

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