Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 397 del 13/01/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/01/2020, (ud. 17/10/2019, dep. 13/01/2020), n.397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20550/018 proposto da:

IL FARO S.A.S. di D.D.F., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO MANTELLA;

– ricorrente –

contro

A.S., M.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE DELLE BELLE ARTI 7, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA

FERRANTI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIACOMO MARIA PERRI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 458/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 02/01/2018, R.G.N. 197/2017.

Fatto

RILEVATO

1. Che la Corte di appello di Ancona, in riforma delle sentenze di primo grado impugnate con ricorsi poi riuniti, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a A.S. e il licenziamento intimato a M.A. e condannato la datrice di lavoro “Il Faro s.a.s. di D.D.F.” alla riammissione in servizio entro tre giorni dei detti lavoratori o, in mancanza, al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, di un’indennità commisurata, quanto al primo lavoratore, a mesi quattro dell’ultima retribuzione globale di fatto, e, quanto al secondo, a mesi sei dell’ultima retribuzione globale di fatto nonchè al pagamento in favore di ciascuno della somma di 1.000,00 a titolo di retribuzione per la mensilità di settembre 2010;

1.1. che il giudice di appello, per quel che qui rileva, ha fondato la declaratoria di illegittimità di entrambi i licenziamenti – motivati, in sintesi, con l’avere i lavoratori in questione, fra loro fratelli, falsamente simulato un’aggressione da parte di un terzo presente in azienda, in danno di uno di loro – sul rilievo della mancata dimostrazione della condotta addebitata, da parte della società datrice di lavoro;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società “Il Faro s.a.s. di D.D.F.” sulla base di tre motivi; gli intimati hanno resistito con tempestivo controricorso; che i ricorrenti hanno depositato memoria in data 10 ottobre 2019 e quindi oltre il termine di dieci giorni prima dell’adunanza in Camera di consiglio prescritto dall’art. 380- bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo parte ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti; assume la omessa considerazione della documentazione prodotta relativa ad atti del procedimento penale aperto nei confronti di Mu.El. indicato come aggressore di uno dei due fratelli (provvedimento di archiviazione nei confronti del Mu.) e della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di A.S. e M.A. (per i reati di lesioni e concorso in calunnia e simulazione di reato), nonchè della comunicazione della notizia di reato a firma del Comandante della Stazione dei c.c. di Mogliano dalla quale si evinceva che il capanno – officina in cui si sarebbero svolti i fatti così come riferiti dai due lavoratori risultava di dimensioni così ridotte da non consentire di immaginare che al suo interno si fosse svolta una lite. Sostiene che da tale documentazione emergeva una diversa ricostruzione dei fatti di causa;

2. che con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto più attendibile la versione data dalla persona offesa M.A. e per avere, in sintesi fondato l’accertamento alla base del decisum sulle sole dichiarazioni dei due lavoratori licenziati, fra loro fratelli, senza effettuare alcun vaglio di attendibilità delle relative deposizioni e senza considerare le ulteriori fonti probatorie rappresentate dalle dichiarazioni testimoniali del Mu. e del L.;

3. che con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 2119 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 1; censura la sentenza impugnata per omessa valutazione dei fatti oggetto di controversia la quale, ove doverosamente condotta, avrebbe comportato l’accertamento della simulazione dell’aggressione, condotta questa che pur non riguardando direttamente la sfera del contratto di lavoro per la sua intrinseca gravità e per le ripercussioni nell’ambiente di lavoro, giustificava la lesione del vincolo fiduciario;

4. Che il primo motivo di ricorso è inammissibile per la dirimente considerazione che il contenuto dei documenti dei quali si assume la omessa considerazione da parte del giudice di appello, non viene trascritto o esposto per riassunto, come prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, al fine della valida censura della decisione sotto il profilo del dedotto vizio motivazionale. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. n. 29093 del 2018, Cass. n. 19048 del 2016, Cass. n. 16900 del 2015, Cass. n. 26174 del 2014, Cass. n. 6679 del 2006);

5. che il secondo motivo che denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, è inammissibile in quanto, come chiarito dal giudice di legittimità, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 27000 del 2016), ipotesi queste ultime estranee al contenuto della censura formulata che tende a sollecitare direttamente un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio – evocato peraltro, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, senza trascrizione delle risultanze processuali asseritamente omesse – apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. n. 24679 del 2013, Cass. n. 2197 del 2011, Cass. n. 20455 del 2006, Cass. n. 7846 del 2006, Cass. n. 2357 del 2004);

6. che il terzo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile in quanto la deduzione di violazione dell’art. 2119 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 1, è ancorata alla prospettazione di una ricostruzione fattuale non corrispondente a quella alla base della sentenza impugnata la quale ha ritenuto che il datore di lavoro, sul quale ricadeva il relativo onere, non avesse dato dimostrazione della condotta addebitata ai dipendenti, ulteriormente evidenziando che la versione della persona offesa aveva trovato riscontro obiettivo logico nel fatto che il Mu. lavorava da tempo nell’azienda agricola secondo quanto riferito dal testimone “disinteressato” L.S.;

7. che alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite;

8. che sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00, per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2020

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