Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 397 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. III, 11/01/2017, (ud. 15/07/2016, dep.11/01/2017),  n. 397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26141/2014 proposto da:

S.G., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1755/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/07/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato GRAZIA FIERMONTE per delega non scritta;

udito l’Avvocato ETTORE FIGLIOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. I medici indicati in epigrafe con capofila S.G. hanno proposto ricorso per cassazione contro la Presidenza del Consiglio dei ministri avverso la sentenza del 14 marzo 2014, con cui la Corte di Appello di Roma ha provveduto in sede di rinvio disposto da questa Corte con la sentenza n. 21704 del 2012.

p.2. Con tale sentenza era stata cassata la sentenza n. 4547 del 2011, con la quale la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado del tribunale capitolino, aveva accolto per quanto di ragione e nei confronti della sola Presidenza del Consiglio dei Ministri le domande proposte dai ricorrenti nei confronti di essa e dei Ministeri della Salute, dell’Istruzione Università e Ricerca e dell’Economia e delle Finanze, per il pagamento della giusta remunerazione o per il risarcimento del danno, in relazione alla frequentazione di scuole universitarie di specializzazione di medicina, nella situazione di in attuazione da parte dello Stato delle direttive n. 75/362/CEE e 82/76/CEE.

p.3. Al ricorso, fondato su due motivi ha resistito l’intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Con il primo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 1 e art. 394 del c.p.c., della L. n. 370 del 1999, art. 11, art. 12 preleggi e dell’art. 1224 c.c., comma 2, nonchè del principio di diritto comunitario di interpretazione adeguatrice della norma nazionale interna al diritto comunitario ed in particolare al diritto comunitario riveniente dalle sentenza di tipo interpretativo emesse dalla Corte di Giustizia dell’U.E., sentenza 25 febbraio 1999 (causa C-131/97, Carbonari) e sentenza 3 ottobre 2000 (causa C-371, Gozza) in tema di risarcimento per la mancata erogazione dell’adeguata remunerazione della frequenza dei corsi di specializzazione medica prevista dalla direttiva 82/76/CEE”.

Vi si sostiene che la Corte capitolina di rinvio avrebbe erroneamente inteso il disposto della sentenza di rinvio n. 21074 del 2012, di questa Corte, come impositivo della quantificazione nell’importo di cui alla L. n. 370 del 1999, art. 11, della misura del danno sofferto dai ricorrenti per ciascun anno di frequentazione del corso di specializzazione.

Secondo i ricorrenti, al contrario, la sentenza di rinvio non avrebbe indicato alcuna cifra, ma solo imposto al giudice di rinvio di fare riferimento all’art. 11 citato nell’ambito di una liquidazione del danno con giudizio equitativo.

Sulla base di questa premessa, vengono, poi, svolte ampie considerazioni, tese a dimostrare che l’importo in ragione di anno di cui alla L. n. 370 del 1999, art. 11, non sarebbe stato adeguato appunto sotto il profilo equitativo e che anzi nella stessa previsione legislativa (com’è noto, diretta a riconoscere la misura del danno dovuto a taluni medici che avevano conseguito giudicati amministrativi di accertamento del danno per la tardiva attuazione delle nota direttive in materia di corsi di specializzazione) si sarebbe annidato una sorta di errore di quantificazione, avuto riguardo alla circostanza che la misura dell’adeguata remunerazione riconosciuta dal D.Lgs. n. 257 del 1991, di tardivo recepimento delle direttive in materia, risaliva al 1991.

p.2. Il motivo appare manifestamente infondato, in quanto risulta del tutto privo di fondamento l’assunto circa il non avere la sentenza dispositiva di rinvio enunciato un principio di rinvio, in forza del quale il giudice di rinvio doveva liquidare il danno nella misura di cui all’art. 11 citato in ragione di ogni anno di frequenza del corso di specializzazione.

E’ sufficiente, per convincersene, la lettura della motivazione dispositiva del rinvio, con la quale Cass. n. 21074 del 2012 – dopo avere disatteso (con l’evocazione delle sentenze gemelle nn. 10813, 10814, 10815 e 10816 del 2011, nonchè di giurisprudenza successiva) il primo motivo di ricorso della Presidenza del Consiglio di ministri, in ordine alla prescrizione del diritto fatto valere dai medici, rilevando anche (con l’evocazione di Cass. nn. 1917 del 2012 e 1850 del 2012) l’ininfluenza della sopravvenienza della L. n. 183 del 2011, art. 4, comma 43 – ha, invece, accolto il secondo motivo, che concerneva l’essere stato liquidato il dovuto ai medici nella misura di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, così motivando: “(….) 5. E’ però fondato, complessivamente considerato, il secondo motivo di ricorso: con richiamo alle ampie argomentazioni già sviluppate in Cass. 11 novembre 2011, n. 23558 o in Cass. 13 marzo 2012, n. 3972, può qui bastare riaffermare il principio, ivi raggiunto ed al quale ritiene il Collegio necessario assicurare continuità, per il quale si tratta di un peculiare diritto (para-risarcitorio, con successiva quantificazione equitativa, la quale – da un lato – abbia quale parametro le indicazioni contenute nella L. 19 ottobre 1999, n. 370 (con la quale lo Stato italiano ha ritenuto di procedere ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo nei confronti di tutte le categorie astratte in relazione alle quali, dopo il 31 dicembre 1982, si erano potute verificare le condizioni fattuali idonee a dare luogo all’acquisizione dei diritti previsti dalle direttive comunitarie, e che non risultavano considerate dal D.Lgs. del 1991) e – dall’altro – comporti esclusivamente gli interessi – e quindi non anche la rivalutazione, salva la prova del maggior danno ai sensi del capoverso dell’art. 1224 c.c. – e dalla data della messa in mora, in considerazione del fatto che, con la monetizzazione avutasi con la L. n. 370 del 1999, l’obbligazione risarcitoria acquistò il carattere di un’obbligazione di valuta. Le contrarie argomentazioni dei controricorrenti, ampiamente sviluppate in memoria, si infrangono invero sui capisaldi della ricostruzione sopra richiamata, come operata da questa Corte, in ordine alla legittimità di esclusivi riferimenti all’autoliquidazione, anch’essa necessariamente equitativa ed in quanto compatibile con le finalità del nuovo intervento legislativo (di parziale adempimento delle fino a quel momento violate direttive CEE), del risarcimento del danno). 6. La gravata sentenza, nella parte in cui liquida il risarcimento in favore di ciascuno dei medici originali attori in misura e con accessori (e decorrenze) diverse, va quindi cassata in relazione a questa sola censura accolta, con rinvio alla stessa corte di appello di Roma, in diversa composizione, affinchè ridetermini il quantum alla stregua dei principi di cui al punto 5 ed alle sentenze ivi richiamate, pure provvedendo, in considerazione dell’esito complessivo della lite, sulle spese del giudizio di legittimità”.

p.2.1. E’ sufficiente considerare – al di là della chiarezza dell’enunciazione del principio di diritto in punto di quantificazione del danno ed al di là della evidenza dell’obbligatorietà di essa, siccome fatto manifesto anche dalla prescrizione relativa al decorso degli interessi, circostanze che già di per sè sarebbero dirimenti – che la riportata motivazione ebbe anche a disattendere le argomentazioni, con cui in memoria i ricorrenti avevano contestato l’orientamento circa la quantificazione del danno alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale evocato, che, affermato dalla sentenza di rinvio come già presente in Cass. n. 23558 del 2011 e in Cass. n. 3972 del 2012, era stato in effetti espresso, in termini proprio di obbligatorietà del riferimento alla misura indicata nell’art. 11, da Cass. n. 1917 del 2012, con l’affermazione del seguente principio di diritto: “In tema di risarcimento dei danni per la mancata tempestiva trasposizione delle direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE in favore dei medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, deve ritenersi che il legislatore – dettando la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, con la quale ha proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo delle citate direttive – abbia palesato una precisa quantificazione dell’obbligo risarcitorio da parte dello Stato, valevole anche nei confronti di coloro i quali non erano ricompresi nel citato art. 11. A seguito di tale esatta determinazione monetaria, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione avente natura di debito di valuta, rispetto alla quale – secondo le regole generali di cui agli artt. 1219 e 1224 c.c. – gli interessi legali possono essere riconosciuti solo dall’eventuale messa in mora o, in difetto, dalla notificazione della domanda giudiziale”.

Principio, ampiamente argomentato da Cass. n. 1917 del 2012, cui poi si è conformata la giurisprudenza successiva, e che sostanzialmente la sentenza di rinvio – che ebbe a citare anteriormente Cass. n. 1917 del 2012 a proposito dell’esegesi dell’art. 4, comma 43, citato – evocò nella successiva sua motivazione prescrittiva del contenuto del rinvio.

Ne deriva che l’odierno motivo di ricorso si risolve in una inammissibile ed ingiustificata pretesa di leggere la sentenza di rinvio come se non avesse “parlato chiaro”, cioè imposto di applicare il ricordato principio, che è quello che la Corte romana di rinvio ha fatto.

p.3. Con il secondo motivo si denuncia che erroneamente la sentenza ora impugnata avrebbe violato il principio di soccombenza, là dove, pur essendo stata in definitiva riconosciuta fondata parzialmente la domanda, ha ritenuto di compensare le spese dei due gradi di appello e del primo giudizio di cassazione ed inoltre, in modo contraddittorio, avrebbe affermato che il tribunale in primo grado aveva compensato le spese, mentre ne aveva gravato i ricorrenti.

p.3.1. Il motivo appare manifestamente infondato.

Invero, nella motivazione si dice espressamente “che le oscillazioni giurisprudenziali in materia intervenute in epoca coeva all’introduzione del presente giudizio – tanto i termini di quantificazione della domanda, quanto di conseguente prescrizione, di individuazione dei destinatari del diritto all’indennità e di quantificazione dell’indennità – costituiscono ragioni di equità tali da consigliare la integrale compensazione delle spese legali anche del giudizio di Cassazione e del presente grado di giudizio”.

Nel dispositivo la sentenza impugnata dispone, poi, espressamente in questo senso: “dichiara integralmente compensate tra le parti le spese legali del primo giudizio di appello, del giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione e del presente grado di giudizio”.

Ora, è vero che nella sentenza impugnata, precisamente nella pagina 2, terzo capoverso del “considerato”, nel riferire il contenuto della sentenza di primo grado, si afferma che le spese del giudizio di primo grado erano state compensate.

Senonchè, una volta considerato che la statuizione sulle spese, resa dal giudice di primo grado, indipendentemente dal suo contenuto, venne caducata dalla riforma della sentenza nel merito operata dalla sentenza emessa nel giudizio di appello, poi cassata con rinvio da questa Corte, si deve considerare che, al di là dell’errore di individuazione del contenuto della sentenza di primo grado quoad spese, la sentenza qui impugnata, nel giustificare la compensazione delle spese “anche” per il giudizio di appello, per quello di cassazione e per quello di rinvio, ha mostrato di reputare, sebbene con motivazione implicita, che anche quelle di primo grado fossero da compensare per ragioni analoghe. Sicchè, non solo non si può dire che non abbia statuito sulle spese di primo grado, ma, a monte, dall’erronea individuazione del contenuto della sentenza di primo grado è rimasta immune.

Il Collegio osserva, poi, che la motivazione adottata per giustificare le spese, tenuto conto che si colloca sotto la disciplina dell’art. 92 c.p.c., comma 2, anteriore alla modifica operata dalla riforma del 2006, appare pienamente congrua, tenuto conto che la vicenda dei medici specializzandi è stata foriera di oscillazioni di giurisprudenza interna, notorie e ripetute fino al consolidarsi della qualificazione della pretesa alla stregua di Cass. sez. un. n. 9147 del 2009 e, quindi, quoad decorso della prescrizione decennale dalle sentenze gemelle del 2011, e considerato che l’individuazione del dies a quo è stata da esse fatta in modo tendenzialmente ed ampiamente salvifico della possibilità di agire dei medici.

Il motivo è, pertanto infondato.

p.4. Il ricorso è, pertanto, rigettato.

Le spese del presente giudizio di cassazione seguono la soccombenza, atteso che, soprattutto quanto al primo motivo, la proposizione di un secondo giudizio di cassazione, è risultata manifestamente ingiustificata.

Le spese si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione al resistente delle spese de giudizio di cassazione, liquidate in euro settemilaottocento, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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