Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3966 del 19/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 3966 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: D’AMICO PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 14873-2010 proposto da:
EQUITALIA CERIT SPA 05141390483, in persona del suo
Procuratore speciale e legale rappresentante protempore, Sig. LEONARDO MARI, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo
studio dell’avvocato PANARITI PAOLO, che la
2013
2480

rappresenta

e

difende

all’avvocato

unitamente

LASTRUCCI MARCELLO giusta delega in atti;
– ricorrente contro

BECHERINI

MASTROLIA

ILARIA

1

BCHLRI74B46G999N,

Data pubblicazione: 19/02/2014

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMILIO DE’
CAVALIERI , 7, presso lo studio dell’avvocato REANDA
CECILIA, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato FUSI STEFANO giusta delega in atti;
– controricorrente

PRATO, depositata il 26/05/2009 R.G.N. 5366/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/12/2013 dal Consigliere Dott. PAOLO
D’AMICO;
udito l’Avvocato CECILIA REANDA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

avverso la sentenza n. 707/2009 del TRIBUNALE di

Svolgimento del processo

La Gest Line s.p.a. (poi Equitalia Polis) intervenne nel
procedimento di esecuzione immobiliare n. 95/05 R.G. E. contro
Ilaria Becherini Mastrolia, per far valere contro la debitrice
un credito di C 235.079,17 derivante da tributi e contributi

La Becherini si oppose all’intervento assumendo che il
debito non era suo ma del padre defunto, alla cui eredità aveva
rinunciato, con la conseguenza che ella non era tenuta al
pagamento.
Iscritta la causa a ruolo, in base al ricorso depositato
il 21 maggio 2007, si costituì la Equitalia Polis per sostenere
l’inefficacia della rinuncia in quanto intervenuta dopo che la
Becherini aveva tacitamente accettato l’eredità.
Il Tribunale di Prato ha accolto l’opposizione ed ha
dichiarato inammissibile l’intervento di Gest Line (ora
Equitalia Polis) nel procedimento di esecuzione immobiliare.
Propone ricorso per cassazione, con due motivi, Equitalia
Cerit s.p.a. (incorporante di Equitalia Gest s.p.a., a sua
volta cessionaria del ramo d’azienda Equitalia Polis e
successiva denominazione Gest Line s.p.a.).
Resiste con controricorso Ilaria Becherini Mastrolia che
presenta memoria.
Motivi della decisione

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omessi, oltre accessori.

Preliminarmente la controricorrente sostiene che avverso
la sentenza del Tribunale di Prato non è proponibile ricorso
per cassazione sia perché alcuni crediti oggetto
dell’intervento della Gest Line sono di natura previdenziale,
con la conseguenza che il procedimento in questione è regolato
bis c.p.c.;

sia perché il ricorso dell’Equitalia Cerit è stato notificato
in data 26 maggio 2010 e quindi dopo il 4 luglio 2009, data
dell’entrata in vigore dell’ultima riforma del processo civile
che cancella dalla norma di riferimento la disposizione
relativa alla non impugnabilità delle sentenze.
La tesi è infondata.
Secondo il costante indirizzo di questa Corte infatti, ai
fini dell’individuazione del regime di impugnabilità di una
sentenza, occorre avere riguardo alla legge processuale in
vigore alla data della sua pubblicazione. Pertanto, le sentenze
che abbiano deciso opposizioni all’esecuzione pubblicate prima
dell’i marzo 2006, restano esclusivamente appellabili; per
quelle, invece, pubblicate successivamente a tale data e fino
al 4 luglio 2009, non è più ammissibile l’appello, in forza
dell’ultimo periodo dell’art. 616 cod. proc. civ., introdotto
dalla legge 24 febbraio 2006, n. 52, con la conseguenza
dell’esclusiva ricorribilità per cassazione ai sensi dell’art.
111, settimo comma, Cost.; le sentenze, infine, in cui il
giudizio di primo grado sia ancora pendente al 4 luglio 2009, e
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non già dall’art. 616 c.p.c., bensì dall’art. 618

che siano state pubblicate successivamente a tale data, tornano
ad essere appellabili, essendo stato soppresso l’ultimo periodo
dell’art. 616 c.p.c., ai sensi dell’art. 49, secondo comma,
della legge 18 giugno 2009, n. 69. (Cass., 17 agosto 2011, n.
17321; Cass., 30 aprile 2011, n. 9591).

opposizione all’esecuzione, conclusa con sentenza pubblicata
nel periodo compreso tra il 1 0 marzo 2006 e il 4 luglio 2009, e
la causa di opposizione agli atti esecutivi sono decise con
sentenze non appellabili anche se relative alle materie
trattate nei Capi I e II del Titolo IV del Libro II del codice
di rito e, quindi, anche se il relativo procedimento è stato
disciplinato dalle norme previste per le controversie
individuali di lavoro (Cass., 18 agosto 2011, n. 17349).
Nel caso in esame la sentenza è stata pubblicata in data
26 maggio 2009 e quindi correttamente l’Equitalia ha proposto
ricorso per cassazione.
Con il primo motivo del ricorso principale parte
ricorrente denuncia «Violazione dell’art. 476 c.c.

ex

art. 360

n. 3 c.p.c.»
Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:
«Dica l’Ecc.ma Corte se incorra nella violazione e falsa
applicazione dell’art. 47 c.c., la sentenza del Tribunale di
Prato in questa sede impugnata, che – senza prendere in alcuna
considerazione la detta disposizione abbia ritenuto non
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Ha altresì precisato questa Corte che la causa di

sussistente l’accettazione tacita dell’eredità da parte della
resistente.»
Sostiene Equitalia Cerit che l’impugnata sentenza è errata
per aver escluso che, sulla base degli atti prodotti in
giudizio, la Becherini Mastrolia abbia tacitamente accettato

Espone in particolare la ricorrente che, a seguito del
decesso di Antonio Becherini Mastrolia, l’allora Gest Line era
intervenuta nella procedura esecutiva pendente di fronte al
Tribunale di Prato, vantando un suo credito e che l’attuale
resistente contestò tale intervento soltanto dopo tre
udienze, dichiarando di aver rinunciato all’eredità del padre.
Il non aver contestato prima il credito di Gest Line
costituisce, secondo la ricorrente, uno di quei “comportamenti
e fatti concludenti” di cui all’art. 476 c.c. che configurano
una accettazione tacita dell’eredità.
Con il secondo motivo si denuncia «Omessa motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art.
360 n. 5 c.p.c.»
Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:
«Dica l’Ecc.ma Corte se incorra nella omessa motivazione della
sentenza, ex art. 360 n. 5 c.p.c. la sentenza del Tribunale di
Prato, in questa sede impugnata, che – senza prendere in alcuna
considerazione le prove documentali in atti ed il comportamento

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l’eredità.

processuale ed extraprocessuale della convenuta – abbia omesso
di motivare sul punto.»
Lamenta Equitalia che l’impugnata sentenza ha del tutto
omesso di valutare il comportamento processuale di Ilaria
Becherini Mastrolia e sostiene che tale comportamento è invece

dell’eredità da parte della stessa Becherini.
Dalla documentazione prodotta in giudizio, secondo la
ricorrente, risulta infatti che all’attuale resistente, in
qualità di erede, erano state notificate cartelle esattoriali
relative a crediti ereditari; che era stato emesso un decreto
ingiuntivo per il pagamento di quota dei suddetti crediti; che
la stessa Becherini non aveva proposto opposizione; che solo
dopo la scadenza del relativo termine ella aveva rinunciato
all’eredità proponendo opposizione a precetto.
Entrambi i motivi sono inammissibili.
Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve
infatti compendiare:
a)

la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto

sottoposti al giudice di merito;
b)

la sintetica indicazione della regola di diritto

applicata da quel giudice;
c)

la diversa regola di diritto che, ad avviso del

ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.

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rilevante al fine di accertare l’avvenuta accettazione

Di conseguenza, è inammissibile il ricorso contenente un
quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente
e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la
violazione di una determinata disposizione di legge o a
enunciare il principio di diritto in tesi applicabile (Cass. 17

Quindi, a norma dell’art. 366-bis c.p.c., la formulazione
dei quesiti in relazione a ciascun motivo del ricorso deve
consentire in primo luogo la individuazione della regula iuris
adottata dal provvedimento impugnato e, poi, la indicazione del
diverso principio di diritto che il ricorrente assume come
corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del
primo.
La mancanza, anche di una sola delle due predette
indicazioni, rende inammissibile il motivo di ricorso.
Infatti, in difetto di tale articolazione logico
giuridica, il quesito si risolve in una astratta petizione di
principio o in una mera riproposizione di questioni di fatto
con esclusiva attinenza alla specifica vicenda processuale o,
ancora, in una mera richiesta di accoglimento del ricorso, come
tale inidonea a evidenziare il nesso logico giuridico tra
singola fattispecie e principio di diritto astratto oppure,
infine, nel mero interpello della Corte di legittimità in
ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nella
esposizione del motivo (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1528, specie
8

luglio 2008, n. 19769).

in motivazione, nonché Cass., Sez. un., 24 dicembre 2009, n.
27368).
Contemporaneamente,

questa Corte regolatrice

alla

stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis
c.p.c. – è fermissima nel ritenere che, a seguito della novella

cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un
vizio della motivazione], l’illustrazione di ciascun motivo
deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara
indicazione del fatto controverso in relazione al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le
ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione
la renda inidonea a giustificare la decisione: ciò importa, in
particolare, che la relativa censura deve contenere un momento
di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze
in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità (Cass., Sez. un., 1 0 ottobre 2007, n. 20603).
Al riguardo, è ancora insufficiente che tale fatto sia
esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla
lettura di quest’ultimo, dovendo piuttosto essere incluso in
una parte del motivo stesso a ciò specificamente e
riassuntivamente destinata.
Conclusivamente, allorché nel ricorso per cassazione si
lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in
9

del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c. [allorché,

merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente
tale fatto, ovvero le ragioni per le quali la motivazione è
insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere
adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di
ricorso ma formulando, al termine di esso, una indicazione,

rispetto all’illustrazione del motivo e consenta al giudice di
valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass. 7
aprile 2008, n. 8897).
Facendo applicazione, dei riferiti principi al caso di
specie è evidente che il ricorrente, nel quesito in esame, non
indichi quali siano gli elementi di prova non valutati
nell’impugnata sentenza.
Il terzo motivo verte «Sulla violazione delle norme sul
processo civile ex art. 360 n. 3 c.p.c. della mancata pronuncia
in ordine alle istanze istruttorie ordine di esibizione ex art.
210 c.p.c. e acquisizione fascicolo della procedura esecutiva.»
Lamenta la ricorrente che il giudice ha del tutto omesso
di motivare circa la mancata ammissione delle prove da essa
richieste.
L’ordine di esibizione delle denunce dei redditi degli
anni 2005 e 2006 avrebbe infatti, a suo avviso, permesso di
verificare se la Becherini avesse effettivamente inserito anche
i redditi degli immobili ereditati dal padre, con ciò
confermando l’avvenuta accettazione dell’eredità.
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riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris

Il motivo è privo di autosufficienza.
Infatti, il ricorrente che, in sede di legittimità,
denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione
di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o
di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare

contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato
dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al
fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della
decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse,
che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per
cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base
delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è
consentito sopperire con indagini integrative (Cass., 30 luglio
2010, n. 17915).
In conclusione,

il ricorso deve essere dichiarato

inammissibile con condanna di parte ricorrente alle spese del
giudizio di cassazione che si liquidano com in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna
parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che
liquida in C 7.200,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre
accessori di legge.
Roma, 17 dicembre 2013

specificamente le circostanze oggetto della prova o il

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