Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3966 del 14/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 14/02/2017, (ud. 11/11/2016, dep.14/02/2017),  n. 3966

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3713-2016 proposto da:

A.M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MARIA ELENA CONCAROTTI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTRO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1219/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 29/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA SCALDAFERRI.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. E’ stata depositata in Cancelleria la seguente relazione: “Il consigliere relatore, letti gli atti depositati, rilevato che, con sentenza n. 1215 depositata in data 29 giugno 2015, la Corte di appello di Bologna, in accoglimento dell’appello proposto dal Ministero dell’Interno, ha riformato la sentenza del locale Tribunale che aveva riconosciuto all’odierno ricorrente, cittadino pakistano, la protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;

che, avverso detta sentenza, A.M.N. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi;

che resiste con controricorso il Ministero dell’Interno;

considerato che il primo motivo denuncia la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 là dove la corte distrettuale, affermando che dalle stesse dichiarazioni del ricorrente (il quale ha riferito che, pur non appartenendo ad alcun partito politico o gruppo sindacale, sarebbe stato minacciato dai talebani per aver fatto intervenire la polizia nel proprio negozio, al cui esito uno dei due militanti era stato ucciso) emergerebbe comunque l’efficienza del sistema di polizia sì da scongiurare il da lui paventato timore di esposizione al pericolo per la propria incolumità personale, avrebbe omesso di considerare la situazione di conflitto armato presente nel Paese; che il secondo motivo lamenta la violazione di altre norme di diritto (artt. 5, comma 6 e art. 19, comma 1 T.U. immigrazione, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1), nonchè “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”;

ritenuto che il primo motivo pare confondere il vizio di falsa applicazione di norme di diritto con il vizio di motivazione: il ricorrente invero non deduce nè che la fattispecie concreta giudicata sia stata assunta sotto una norma che non le si addice, nè che la corte distrettuale abbia tratto dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione (cfr. ex multis Cass. n. 18782/05), bensì assume genericamente l’erronea ricognizione da parte del giudice del merito della fattispecie concreta, senza peraltro specificamente indicare le risultanze di causa che non sarebbero state considerate dal giudice di merito (art. 366 c.p.c., n. 6);

che parimenti inammissibile appare il secondo motivo, con il quale il ricorrente – da un lato – lamenta l’omesso riconoscimento di altre forme di tutela, quale ad esempio il permesso di soggiorno per motivi umanitari, senza indicare specificamente se e come egli abbia fatto richiesta in tal senso nel giudizio di merito; dall’altro afferma del tutto genericamente una sostanziale incomprensibilità del percorso logico seguito nella motivazione, che non appare sussistere;

ritiene pertanto che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio a norma dell’art. 380-bis c.p.c. per ivi, qualora il collegio condivida i rilievi che precedono, essere dichiarato inammissibile”.

2. La relazione e stata regolarmente comunicata alle parti, che non hanno esposto argomentazioni in replica. Il Collegio, letti gli atti, condivide le considerazioni espresse nella relazione, sì che la declaratoria di inammissibilità si impone.

Le peculiarità della fattispecie giustificano la compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile, e compensa fra le parti le spese di questo giudizio.

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017

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