Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3965 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 18/02/2011, (ud. 01/02/2011, dep. 18/02/2011), n.3965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11626-2006 proposto da:

G.I., elettivamente domiciliata in ROMA VIA GIULIO

CESARE CORDARA 36 presso lo studio dell’avvocato MENNELLA MONICA,

rappresentato e difeso dall’avvocato CIANCI STEFANO, giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DEL TERRITORIO, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 68/2005 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 22/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2011 dal Consigliere Dott. PERSICO Mariaida;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli con sentenza n. 318/2003 dichiarava inammissibile, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 21, il ricorso proposto da G.I. avverso il classamento, notificatole dall’Agenzia del Territorio, gli immobili (sub 101 e 102) siti in (OMISSIS).

La contribuente proponeva appello, chiedendo in via pregiudiziale la riunione degli appelli proposti avverso le sentenze n. 318 e 312; e, nel merito l’ammissibilità del ricorso introduttivo e la riforma del classamento. L’ufficio resisteva.

La Commissione Tributaria Regionale rigettava C appello. Contro tale sentenza, di cui in epigrafe, la contribuente propone ricorso per cassazione articolato su quattro motivi; l’agenzia resiste depositando controricorso.

Motivazione:

La contribuente con il primo motivo del ricorso deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, l’omessa applicazione ed erronea interpretazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1, 29, 49 e 61 per non avere il giudice a quo riunito in fase di appello i procedimenti nati dai due distinti ricorsi da lei proposti avvero il medesimo classamento, pur essendovi identità oggettiva e soggettiva; chiede inoltre la riunione in cassazione dei suddetti procedimenti.

La censura, a prescindere dai profili di inammissibilità per carenza di autosufficienza, è infondata. Come infatti rileva la stessa ricorrente, il rifiuto della chiesta riunione può ben dipendere da motivi di opportunità, la stessa è infatti necessitata solo quando permetta di sanare una ipotesi di litisconsorzio necessario. E’ pertanto sfornito di interesse la censura, mossa con tale motivo, di violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57.

A tanto aggiungasi che nel caso di specie la ricorrente ha posto a fondamento della sua richiesta in fase d’appello e di quella avanza nella presente fase – unitamente alla censura sopra riportata -, l’esistenza di una identità soggettiva ed oggettiva tra i due procedimenti dei quali ha chiesto e chiede la riunione, quello in esame ed altro che asserisce essere relativo al medesimo classamento.

E tuttavia, secondo quanto costantemente affermato da questa Corte (già dal Cass. n. 10330 del 2003), il ricorso deve essere autosufficiente ed è inammissibile quando “non consenta l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere e delle ragioni per cui si chieda la cassazione della sentenza di merito, nè permetta la valutazione della fondatezza di tali ragioni ex actis, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee al ricorso e, quindi, ad elementi ed atti attinenti al pregresso giudizio di merito.” Tanto evidentemente manca nella fattispecie in esame.

Con il quarto motivo la ricorrente eccepisce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 75 per avere il giudice dell’appello applicato una norma, il D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 75 abrogata con l’attribuzione delle controversie in materia di classamento alle Commissioni Tributarie.

La censura è infondata nella misura in cui si rileva che l’impugnata sentenza contiene un dispositivo che poggia su vari e differenti “thema decidendum”. La stessa afferma, infatti:…come pure rileva che, come già verificatosi nel ricorso introduttivo, il contribuente non ha minimamente fornito prove documentali in ordine ad una diversità di trattamento tra l’unità immobiliare in questione e quelle rilevabili nella stessa zona censuaria, nè ha offerto elementi probatori in ordine alla fondatezza della sua pretesa ed in particolare in ordine alla effettiva esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che legittimino l’attribuzione della categoria e classe richieste”.

Il decisum, pertanto, non poggia solo sulla mancata produzione di dati comparativi (dei quali è onerata l’amministrazione finanziaria e non il contribuente) ma sulla genericità dei rilievi mossi unita alla mancanza di deduzioni sull’esistenza di dati fattuali o di diritto che avrebbero potuto legittimare la diversa classe richiesta.

E’ proprio tale complessivo assunto che rende non fondata la singola censura svolta dalla ricorrente parcellizzando il decisum. Tale motivo deve pertanto essere rigettato. Il rigetto di tale motivo, con il quale si decide nel merito della controversia, comporta l’assorbimento, per carenza di interesse alla decisione, sia del secondo motivo (con il quale si eccepisce la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 per avere errato il giudice a quo nel ritenere che il mancato deposito in primo grado dell’atto di variazione de classamento legittimasse la declaratoria di inammissibilità da parte del primo giudice e per non avere ritenuto legittimo comunque tale deposito in secondo grado), sia del terzo motivo (con il quale si eccepisce la violazione ed erronea interpretazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e D.M. 19 aprile 2004, n. 701, artt. 1 e 5 e L. n. 241 del 1990, art. 3 per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto inammissibile la censura di illegittimità dell’atto impugnato, pur essendo la stessa una mera difesa e non ampliamento del trema decidendum).

Tenuto conto della non linearità della sentenza di secondo grado, si compensano interamente tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e quarto motivo del ricorso, assorbiti gli altri. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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