Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3963 del 29/02/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 3963 Anno 2016
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DORONZO ADRIANA

SENTENZA
sul ricorso 15325-2014 proposto da:
INTESA SANPAOLO S.P.A. C.F. 00799960158, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 18, presso lo
studio dell’avvocato GENNARO CAPASSO, rappresentata e
difesa dall’avvocato LUCA CIRILLO, giusta delega in
2015

atti;
– ricorrente –

4585

contro

CAMPANELLA FRANCESCO MARIA;
– intimato –

Data pubblicazione: 29/02/2016

nonchè contro

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA

I.N.P.S.

SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso

difeso dagli avvocati SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO,
ANTONELLA PATTERI, LIDIA CARCAVALLO, giusta delega in
calce alla copia notificata del ricorso;
– resistente con mandato –

Nonché da:
CAMPANELLA FRANCESCO MARIA C.F. CMPFNC32TO7L103B,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTESANTO 68,
presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LETIZIA, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANNA
DI RUSSO, giusta delega in atti;
– controrícorrente e ricorrente incidentale contro

INTESA SANPAOLO S.P.A. C.F. 00799960158, I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F.
80078750587;
– intimati –

avverso la sentenza n. 6732/2013 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 12/12/2013 R.G.N.
1391/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e

udienza del 01/12/2015 dal Consigliere Dott. ADRIANA
DORONZO;
udito l’Avvocato LETIZIA MASSIMO;
udito l’Avvocato PREDEN SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

l’accoglimento del ricorso principale, assorbito
l’incidentale.

Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per

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Svolgimento del processo

resa dal Pretore del lavoro della stessa sede, rigettò la domanda proposta da
Francesco Maria Campanella, quale erede di Maria D’Eustachio, diretta ad
ottenere dall’Inps e dal Sanpaolo Imi spa (incorporante la spa Banco di Napoli),
la pensione di reversibilità che la D’Eustachio aveva chiesto quale sorella
convivente e a carico di Alfredo D’Eustachio, pensionato del Banco di Napoli
dal l’agosto 1966 e deceduto il 19 ottobre 1992.
2. Il Tribunale osservò che la convivenza non era stata dimostrata dal certificato di
stato di famiglia risalente al 1964 e quindi non alla data della morte del
pensionato, ed essendo irrilevante l’ autocertificazione della originaria
ricorrente; che lo stato di impossidenza non era ravvisabile in considerazione
del fatto che la richiedente, oltre alla pensione sociale e a quella volontaria
casalinghe, possedeva, £. 423.000.000 in titoli e godeva dell’usufrutto della
abitazione ereditati dal fratello.
3. Avverso detta sentenza il Campanella propose ricorso per cassazione. Questa
Corte, con sentenza del 21 novembre 2008, n. 27792, accolse il motivo del
ricorso principale proposto dal Campanella, cassò la sentenza del tribunale e
rinviò alla Corte d’appello di Napoli per una nuova valutazione della
controversia alla luce dei principi di diritto espressi.
4. Nella sentenza rescindente si legge che, nel cassare la sentenza, i giudici di
legittimità – dopo aver premesso che la pensione di reversibilità spetta ai fratelli
del pensionato, ai sensi del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, arti. 84 e 85 (la
cui vigenza è stata confermata dalla L. 8 agosto 1991, n. 274, art. 18 comma 2),
quando costoro abbiano una età superiore ai sessanta anni, “nonché conviventi e
a carico del pensionato e nullatenenti”; che il requisito della vivenza a carico si
considera integrato quando il dante causa abbia fornito loro, in tutto o in parte
preponderante, i necessari mezzi di sussistenza; che, quanto alla nullatenenza, si
considera in tale condizione chi non risulti possessore di redditi assoggettabili
all’imposta sul reddito delle persone fisiche, per un ammontare superiore,
originariamente, a L. 960 mila, annue, mentre la soglia vigente ratione temporis
era, pacificamente, di L. 17.374.490, ai sensi del D.M. 20 dicembre 1991 precisarono che, nella specie, il Tribunale aveva omesso di considerare a) in
ordine alla convivenza tra i due fratelli D’Eustachio, il certificato di stato di
famiglia del 1992, rilasciato alla morte di Alfredo D’Eustachio; b) in ordine alla
vivenza a carico, l’attestato dell’Inps di attribuzione degli assegni familiari per
gli anni 1962/1964, ed il modello 740/92, relativo ai redditi dell’armo
precedente, con cui il pensionato aveva dichiarato di avere a carico la sorella; c)
in ordine all’esistenza del terzo requisito prescritto, e cioè la nullatenenza, il
Tribunale, nell’affermare che nella dichiarazione dei redditi dell’anno 1993, la
D’Eustachio aveva denunziato redditi per oltre L. 32 milioni, superiori alla
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/1. Con sentenza del 15/4/2005, il Tribunale di Napoli, confermando la statuizione

soglia di legge, non aveva spiegato se si trattasse dei redditi propri della
ricorrente o di dichiarazione fatta dalla medesima sui redditi del fratello
deceduto per il periodo anteriore alla morte, né aveva specificato di quali redditi
si trattasse. Aggiunsero infine (in ordine al possesso di oltre L. 423 milioni, in
titoli di stato, ereditati dal fratello) che la condizione di nullatenenza è collegata
dalla legge non già al possesso di capitali, ma esclusivamente al possesso di
redditi e che gli interessi sui titoli di stato non rientravano ratione temporis tra i
redditi imponibili, ex art. 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e
disciplina sull’imposta del reddito delle persone fisiche), perché a quel tempo
vigeva solo il regime c.d. “amministrato” e non già il regime c.d. “dichiarativo”,
ossia con dichiarazione nell’Irpef.
5. Riassunto il giudizio dinanzi alla Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 12
dicembre 2013, la Corte ha accolto l’appello del Campanella ed ha riconosciuto
il suo diritto, quale erede della D’Eustachio, alla pensione di reversibilità a
carico della Sanpaolo Imi s.p.a. a decorrere dal 1/11/1992. La Corte ha
affermato che sussistevano i requisiti per l’attribuzione della pensione di
reversibilità richiesta da Maria D’Eustachio, secondo le indicazioni dei giudici
di legittimità; ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale
sollevata dal Banco di Napoli in relazione all’art. 85,comma 2°, d.p.r. n.
1092/1973, “se letto nel senso statuito dalla Corte, atteso che non sussiste il
contrasto lamentato con gli artt. 3 e 38 della Costituzione”; ha rigettato
l’appello incidentale proposto dal Banco secondo cui graverebbe a suo carico
solo il 15% della pensione, restando 1’85% a carico dell’Inps, in forza della
convenzione stipulata in data 15/2/1999 tra il Banco e l’Inps. Infine, ha
condannato il Sanpaolo Imi s.p.a. al pagamento delle spese dell’intero giudizio.
6. Contro la sentenza, la Intesa Sanpaolo s.p.a. propone ricorso per cassazione
articolato in tre motivi, cui resiste con controricorso il Campanella, il quale
spiega ricorso incidentale, fondato su un unico motivo illustrato da memoria.
L’Inps si difende depositando delega in calce al ricorso principale.
Motivi della decisione
Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi in quanto si tratta di impugnazioni
avverso la stessa sentenza.
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione
dell’art. 132 cod.proc.civ., in riferimento all’art. 384 cod.proc.civ. Lamenta in
sostanza che la Corte d’appello non avrebbe rispettato il decisum della Corte di
cassazione, la quale si era limitata ad evidenziare i difetti e le lacune
motivazionali che inficiavano la sentenza del tribunale napoletano, senza
peraltro compiere alcun accertamento, peraltro precluso al giudice di legittimità.
Il giudice del rinvio era vincolato a verificare proprio gli elementi evidenziati
dalla Corte di legittimità (vivenza a carico, verificazione dei redditi), ma tale
verifica era stata del tutto omessa.
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2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa
interpretazione dell’art. 85 del d.p.r. 1092/1973, nonché l’omesso esame di un
fatto decisivo per il giudizio. Assume che la Corte d’appello, dopo aver
richiesto che la banca depositasse i tabulati da cui rilevare il saggio di
rendimento riconosciuto ai titoli di stato all’epoca dei fatti, ha omesso di
valutarli e di procedere all’accertamento del reddito della ricorrente, necessario
quantomeno per valutare la rilevanza della questione di legittimità
costituzionale. Assume che il limite reddituale indicato nell’art. 85 doveva
intendersi riferito al complesso dei redditi posseduti dal soggetto, anche se non
imponibili, e doveva quindi comprendere BPT e CCT, o quanto meno gli
interessi prodotti da tali titoli, quali componenti reddituali ai sensi dell’art. 3 del
d.p.r. 597 del 1973. Reitera l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art.
85, comma 2°, del d.p.r. 1092/1973, implicitamente ritenuta rilevante dai
giudici di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 38 Cost.,
qualora si fosse accertata la percezione da parte della ricorrente di interessi
prodotti dai titoli di Stato in misura superiore al limite previsto ai fini dello stato
di nullatenenza.
3. Con il terzo motivo censura la sentenza per la violazione e la falsa applicazione
della legge n. 218/1990, nonché degli artt. 1 e 3 del decreto legislativo 357/
1990. Sostiene che, a partire dal 1/1/1991, la posizione del dipendente
D’Eustachio era stata trasferita all’assicurazione generale dell’INPS, a carico
del quale gravava l’obbligo di corrispondere 1’85% della pensione, e che da tale
data l’obbligo del Banco di erogare la pensione si era trasformato da primario in
secondario, avendo assunto carattere integrativo delle prestazioni dovute
dall’assicurazione generale. In forza del quadro normativo di riferimento e
della convenzione stipulata dall’Inps e dagli enti creditizi, tra cui l’Intesa
Sanpaolo s.p.a.), la Banca aveva assunto la posizione di un adiectus solutionis
causa per la parte di pensione a carico dell’Inps, ma ciò non impediva che la
eventuale condanna dovesse pronunciarsi nei confronti dell’istituto
previdenziale.
4. I primi due motivi che si affrontano congiuntamente, sono infondati.
4.1. Il sindacato della Corte di Cassazione sulla sentenza del giudice di rinvio,
gravata di ricorso per infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente
pronunzia di annullamento, si risolve nel controllo dei poteri propri di detto
‘Igiudice per effetto di tale affidamento, e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui
,
-:4tensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per
frt
violazione di norme di diritto, ovvero per vizi della motivazione in ordine a
-A-punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni.
Nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384, primo
collima, cod. proc. civ., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di

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cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei
fatti acquisiti al processo.
Nella seconda ipotesi, invece, la sentenza rescindente, indicando i punti
specifici di carenza o di contraddittorietà, non limita il potere del giudice di
rinvio all’esame dei soli punti specificati, da considerarsi come isolati dal
restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che
gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di
indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della
sentenza di annullamento, anche se, nel rinnovare il giudizio, egli è tenuto a
giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o
implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della
coerenza logica del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione
sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici (cfr. Cass.
S.U. 28 ottobre 1997, n. 10598; Cass., 27 luglio 2004, n. 14134, e Cass., 22
aprile 2009, n. 9617).
Nella terza ipotesi, infine, la “potestas iudicandi” del giudice del rinvio, oltre ad
estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la
valutazione “ex novo” dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti,
la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia
consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (da
ultimo, Cass., 7 agosto 2014, n. 17790; Cass., 27 agosto 2007, n. 18087).
4.2. Alla stregua dei principi su richiamati e qui condivisi, deve rilevarsi che,
nel cassare la precedente sentenza per vizi di motivazione e violazione e falsa
applicazione degli artt. 84 e 85 del DPR cit., questa Corte di legittimità ha
sottolineato che i presupposti relativi alla convivenza e alla vivenza a carico
emergevano dai documenti versati in atti. Si legge infatti nella sentenza: “Nella
presente fattispecie, quanto alla convivenza tra i due fratelli D’Eustachio, … il
Tribunale ha però omesso di valutare il certificato di stato di famiglia del 1992,
rilasciato alla morte di D’Eustachio Alfredo… Quanto poi alla vivenza a
carico, non vi è solo l’attestato dell’Inps di attribuzione degli assegni familiari
per gli anni 1962/1964, ma anche il modello 740/92 relativo ai redditi dell’anno
precedente, con cui il pensionato aveva dichiarato di avere a carico la
‘sorella…. Sulla base degli elementi in fatto sopra riportati e dei principi in
»’4i ritto, sembra invero incongrua la negazione da parte del Tribunale della
)
istenza di dette due condizioni (convivenza e vivenza a carico)”.
/. -_1–$e dunque è vero che nel corpo della sentenza la Cassazione ha censurato le
/carenze motivazionali della sentenza impugnata, “sia quanto alla ricognizione
dello stato di vivenza a carico, sia quanto allo stato di nullatenenza, avendo
tenuto conto del capitale ereditato e non del reddito da questo ricavato, sia
quanto alla dichiarazione Irpef della D’Eustachio relativa all’anno 1992 (non
avendo chiarito in primo luogo se questa si riferisse ai redditi propri ovvero a
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quelli del fratello defunto e, in ogni caso, di quali redditi si trattasse) ” , è
altrettanto vero che la medesima Corte ha tracciato il percorso motivazionale
del giudice del rinvio, individuando i documenti decisivi non valutati dal
Tribunale e la loro valenza probatoria ai fini dell’accertamento dei menzionati
requisiti della convivenza e della vivenza a carico.
4.3. Diversamente da quanto sostiene la Intesa Sanpaolo, la Corte d’appello non
ha omesso la motivazione, ma recependo correttamente le indicazioni della
Suprema Corte, ‘ ha proceduto ad un esame della documentazione indicata,
ponendo a base dell’accertata convivenza lo stato di famiglia rilasciato
all’epoca della morte del D’Eustachio, e della vivenza a carico l’attestato Inps
relativo agli assegni familiari e la dichiarazione dei redditi del dipendente da cui
emergeva che la sorella era a suo carico (pag. 3 della sentenza impugnata,
depositata nel fascicolo della stessa odierna ricorrente).
La Corte ha poi proceduto, sempre nel rispetto del decisum della sentenza
rescindente, a valutare la dichiarazione dei redditi presentata dalla D’Eustachio
successivamente alla morte del fratello ed ha ritenuto che essa riguardasse
redditi propri di quest’ultimo, “non emergendo l’espletamento di alcuna attività
lavorativa della D’Eustachio” (pag. 3 cit. ). Si è dunque in presenza di una
motivazione certamente esistente, oltre che in linea con le indicazioni fornite
dalla sentenza rescindente, sicché non sussiste la denunciata violazione dell’art.
132 cod.proc.civ.
4.4. Anche con riguardo ai titoli di Stato, la Corte territoriale ha rispettato il
principio di diritto enunciato nella sentenza di rinvio che ha escluso il computo
degli interessi prodotti dai titoli di stato nella base di calcolo del reddito ai fini
del requisito della nullatenenza, offrendo un’interpretazione dell’art. 3 del
D.P.R. n. 597/1973 e dell’art. 85 del D.P.R. n. 1092/1973 vincolante per il
giudice del merito.
Si legge infatti nella sentenza rescindente: “Non vi è dubbio che i titoli di stato
diano un interesse, interesse che viene qualificato dalla legge come reddito da
capitale. Ed infatti il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, (Approvazione del testo
unico delle imposte sui redditi) all’art. 41, annovera tra i redditi da capitale :
comma 2 a) i buoni fruttiferi e i certificati di deposito con scadenza non
inferiore a diciotto mesi emessi da istituti o aziende di credito.
… Vi è però il fatto che gli interessi sui titoli di stato non rientrano tra i redditi
imponibili, recita infatti il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, (Istituzione e
disciplina sull’imposta del reddito delle persone fisiche) all’art. 3, Base
imponibile, che “Sono in ogni caso esclusi dalla base imponibile i redditi esenti
e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta”. È noto che fin ad una
certa data gli interessi sui titoli di stato erano soggetti esclusivamente a
ritenuta alla fonte, mentre solo con D.Lgs. n. 461 del 1997, art. 84, vi fu la
possibilità di farli rientrare nell’imponibile, dando però la facoltà ai loro
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nella massima): “Alla stregua degli artt. 84 e 85 del d.P.R. n. 1092 del 1973,
regolante le pensioni degli impiegati civili dello Stato, applicabile anche ai
dipendenti del Banco di ‘Napoli, il diritto alla pensione di reversibilità spetta, in’
mancanza di altri aventi causa, ai fratelli del pensionato, purché abbiano
un’età superiore ai sessanta anni e siano, oltreché conviventi e a carico dello
stesso, nullatenenti, integrandosi… il requisito della nullatenenza ove non si
risulti possessori di redditi assoggettabili all’imposta sul reddito delle persone
fisiche, per un ammontare superiore, originariamente, a 960 mila annue, in
seguito, “ratione temporis”, in lire 17.374.490, ai sensi del D.M. 20 dicembre
1991. Conseguentemente, il possesso del capitale in titoli di Stato, rientrando,
questi ultimi, nel reddito imponibile soltanto a far data dall’entrata in vigore
del d.lgs. n. 461 del 1997, è ostativo alla condizione di nullatenenza solo da
tale epoca, prima della quale, la condizione di nullatenenza è collegata, dalla
legge, non già al possesso di capitali, ma esclusivamente al possesso di
redditi”.
Con il motivo di ricorso, e precisamente con il secondo, la ricorrente intende
contestare questa interpretazione dell’art. 85 del D.P.R. cit., in collegato
disposto con l’art. 3 del D.P.R. n. 597/1973, ed opporre la diversa opzione
ermeneutica in forza della quale, ai fini del requisito della nullatenenza, deve
aversi riguardo al reddito complessivo, ancorché esente da tasse, e quindi anche
ai BPT e CCT, quanto meno per gli interessi prodotti. Così facendo, tuttavia,
viola i limiti del giudizio di rinvio, nel quale è precluso al giudice della fase
rescissoria sindacare l’esattezza del principio di diritto enunciato dalla Corte di
cassazione (v. da ultimo, Cass., 29 ottobre 2014, n. 23015).
4.5. Quanto al problema della compatibilità costituzionale della nonna così
come interpretata – a prescindere dall’ammissibilità della questione, sulla quale
si registra un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte (v. Cass., 21
dicembre 2007, n. 27082, secondo cui è possibile riproporre in sede di rinvio la
questione di legittimità costituzionale, ancorché si riferisca alla medesima
norma su cui si basa il principio di diritto formulato dalla Corte di Cassazione,
atteso che l’effetto vincolante di detto principio non opera con riguardo alla sua
validità costituzionale, la cui attestazione non compete al giudice ordinario,
mentre per Cass., 9 aprile 2004, n. 6986, ciò deve escludersi in ragione della
definitività del principio di diritto enunciato, cui adde Cass., 27 settembre 2002,
n. 14022) -, devono qui ribadirsi le osservazioni già svolte da questa Corte nella
sentenza rescindente, che ne ha escluso la rilevanza in difetto di prove circa
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possessori di chiedere ancora la ritenuta alla fonte (art. 6) quando i titoli
fossero in deposito in banca. … Nell’anno 1992 i titoli di stato quindi non
rientravano nell’imponibile Irpef perché a quel tempo vigeva solo il regime c.d.
“amministrato” e non già il regime c. d. “dichiarativo”, ossia con dichiarazione
nell’Irpef.. La Corte ha dunque enunciato il seguente principio di diritto (così

l’eventuale superamento da parte della D’Eustachio del limite reddituale
massimo consentito per integrare lo steso di nullatenenza per effetto degli
interessi maturati sui titoli di stato posseduti.
L’assunto della parte ricorrente, secondo cui il giudice del rinvio non avrebbe
esaminato la documentazione prodotta in quella sede ed attestante i rendimenti
dei titoli, non è sorretto da autosufficienza, non avendo la parte trascritto il
contenuto dei tabulati e depositato gli stessi unitamente al ricorso per
cassazione, così non assolvendo il duplice onere imposto, a pena di
inammissibilità del ricorso, dall’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., e, a pena di
improcedibilità, dall’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. di indicare
esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo
di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto,
trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al
giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover
procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (v. da ultimo, Cass., 12
dicembre 2014, n. 26174; Cass., 7 febbraio 2011, n. 2966).
5. Questi stessi limiti di autosufficienza si rinvengono nel terzo motivo, atteso che
la parte non ha trascritto né prodotto unitamente al ricorso per cassazione la
convenzione del 15/2/1999 stipulata dall’Inps e dal Banco di Napoli, in forza
della quale si assume sussistente l’obbligo dell’Istituto di provvedere al
pagamento dell’85% della pensione. Il motivo è comunque infondato, alla luce
di quanto dispone l’art. 6 del d.lgs. n. 357/1990, che, sotto la rubrica
“Convenzioni con l’INPS per l’erogazione diretta e complessiva della pensione
da parte del datore di lavoro”, prevede che: 1. Il pagamento unitario del
trattamento pensionistico complessivo, risultante dalla somma della quota a
carico della gestione speciale e di quella determinata ai sensi dell’art. 4, è
effettuato per conto dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dagli enti
creditizi di cui all’art. 1 ovvero dalle società da essi risultanti ai sensi dell’art. 1
della legge 30 luglio 1990, n. 218, previa stipulazione di apposita convenzione,
che deve prevedere il pagamento delle pensioni alla stessa scadenza di quelle
erogate dagli originari fondi o enti nonché sistemi di conguaglio fra le somme
per prestazioni erogate per conto dell’Istituto nazionale della previdenza
sociale e i contributi allo stesso dovuti. 2. Il soggetto erogatore ai sensi del
comma precedente è sostituto d’imposta a norma dell’art. 23 del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600″. Dalla chiara
,formulazione della norma si evince che il pagamento unitario del trattamento
Ìpensionistico complessivo è effettuato per conto dell’INPS dagli stessi enti
creditizi, previa stipulazione di apposita convenzione soggetta a particolari
/ condizioni (art. 6, comma 1). Tale disposizione comporta una semplificazione
del rapporto previdenziale, intercorrente tra lavoratore, datore ed ente di
previdenza, in quanto sono accentrate in un unico soggetto (l’istituto datore)
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dienza del 1 dicembre 2015
esidente Stile
< latore Doronzo G. N. 15325/2014 tesa Sanpaolo s.p.a c/Campanella ) tanto la contribuzione (per la parte competente al datore) che la erogazione della prestazione previdenziale (Cfr. Cass., ord. 9 febbraio 2009, n. 3114; Cass., ord. 15 ottobre c2010, n. 21364). Ne discende che l'ente creditizio è l'unico soggetto obbligato al pagamento nei confronti del dipendente, salvo l'eventuale esercizio del diritto di rivalsa per la quota a carico dell'ente previdenziale, anche nelle forme previste del conguaglio. 6. Con il ricorso incidentale il Campanella lamenta la violazione la falsa applicazione dell'art. 429, comma 3 0 , cod.proc.civ. e 5 I. n. 205/2000, nella parte in cui la sentenza ha omesso di condannare la Intesa Sanpaolo al pagamento, sulle somme dovute a titolo di pensione, degli interessi e della rivalutazione monetaria. Il motivo è fondato. Risulta invero che con il ricorso introduttivo del giudizio la parte ha chiesto la condanna della Intesa Sanpaolo al pagamento della pensione di reversibilità "oltre interessi e rivalutazione". Deve invero ritenersi inapplicabile la L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, sul divieto di cumulo d'interessi e rivalutazione monetaria riguardando questo le prestazioni dovute da enti gestori di previdenza obbligatoria, mentre nella specie il trattamento è dovuto, sia pure pro quota, dallo stesso datore di lavoro (in tal senso, Cass., 28 ottobre 2008, 25889; Cass., 27 aprile 1994, n. 3995; Cass., 14 ottobre 2015, n. 20717; v. pure Cass., 12 luglio 2004, n. 12868), dovendo nel contempo pure ritenersi la inapplicabilità alla presente fattispecie, "ratione temporis", della disposizione dell'art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994 n. 724, siccome intervenuta successivamente alla maturazione del diritto. 7. In definitiva, va accolto il ricorso incidentale e la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d'appello di Napoli, in diversa composizione, perché provveda a riconoscere al ricorrente la rivalutazione monetaria sulle somme dovute a titolo di pensione di reversibilità per il periodo compreso fra la data in cui si sono verificate le condizioni di responsabilità del debitore e quella dell'effettivo pagamento, nonché degli interessi legali sull'importo rivalutato e per il periodo prima precisato. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio. Deve invece essere rigettato il ricorso principale. Poiché esso è stato notificato in data successiva al 31 gennaio 2013, sussistono i resupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore lJimporto a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso */principale, a norma dell'art. 13, comma 1, del d.p.r. 115/2002. In tema di impugnazioni, il presupposto di insorgenza dell'obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o 8 Udienza del I dicembre 2015 ) esidente Stile latore Doronzo G. N. 15325/2014 esa Sanpaolo s.p.a c/Campanella ;AS della definizione in rito, negativa per l'impugnante, del gravame (Cass., ord.13 maggio 2014 n. 10306). P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso incidentale e rigetta quello principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Napoli, in diversa composizione. Ai sensi dell'art. 13, comma 1, quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13. Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2015 Il Presidente dienza del I dicembre 2015 'dente Stile Re ore Doronzo R. N. 15325/2014 sa Sanpaolo s.p.a c/Campanella

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