Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3955 del 18/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/02/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 18/02/2020), n.3955

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20273-2018 R.G. proposto da:

M.C., rappresentato e difesa, per procura speciale a

margine del ricorso, dall’avv. Vincenzo ATTISANI, ed elettivamente

domiciliato in Roma, alla via di Ripetta, n. 142, presso lo studio

legale dell’avv. Bruno POGGIO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3793/02/2017 della Commissione tributaria

regionale della CALABRIA, depositata il 30/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/11/2019 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

Fatto

RILEVATO

che:

– in controversia relativa ad impugnazione di quattro intimazioni di pagamento delle somme portate da altrettanto cartelle di pagamento per IRPEF ed IVA, oltre sanzioni ed interessi, relative agli anni d’imposta 1994, 1996 e 2007, con la sentenza impugnata la CTR della Calabria rigettava l’appello del contribuente avverso la sfavorevole pronuncia di primo grado rilevando il difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia delle entrate;

– avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’intimata con controricorso;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1 E’ fondato e va accolto il primo motivo di ricorso con il quale il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 102 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 14, per avere la CTR erroneamente dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia delle entrate, invece spettante all’agente della riscossione.

2. Al riguardo deve ricordarsi quanto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 16412 del 25/07/2007, in cui, in fattispecie relativa ad avviso di mora, ha affrontato il “problema – dato che l’avviso di mora è un atto dell’esattore, al quale è anche rimessa l’attività di notificazione della cartella di pagamento – se l’azione del contribuente debba essere svolta (esclusivamente o indifferentemente) nei confronti dell’amministrazione finanziaria o del concessionario o necessariamente nei confronti di entrambi”. Il Supremo consesso di questa Corte ha quindi precisato che “Tenendo presente il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, potrebbe dirsi, in prima approssimazione, che l’individuazione del legittimato passivo dipende dalla scelta in concreto effettuata dal contribuente nell’impugnare l’avviso di mora: ossia dal fatto se egli abbia dedotto l’omessa notifica dell’atto presupposto, o abbia contestato, in via mediata, la stessa pretesa tributaria azionata nei suoi confronti. In questo secondo caso, infatti, non potrebbe esservi dubbio che spetti all’amministrazione, e non al concessionario, la legittimazione passiva, essendo la stessa titolare del diritto di credito oggetto di contestazione nel giudizio, mentre il secondo è, come è stato rilevato da questa Corte, un (mero) destinatario del pagamento (v., sia pur in una diversa fattispecie, ma con enunciazione di principi che possono ritenersi rilevanti nel caso de quo, Cass. n. 11746 del 2004), o, più precisamente, con riferimento allo schema dell’art. 1188 c.c., comma 1, il soggetto (incaricato dal creditore e) autorizzato dalla legge a ricevere il pagamento (v. Cass. n. 21222 del 2006). V’è, peraltro, da rilevare che a norma del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 40, prima, e del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, poi, “il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite”: in buona sostanza, se l’azione del contribuente per la contestazione della pretesa tributaria a mezzo dell’impugnazione dell’avviso di mora è svolta direttamente nei confronti dell’ente creditore, il concessionario è vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di adiectus solutionis causa (v. Cass. n. 21222 del 2006); se la medesima azione è svolta nei confronti del concessionario, questi, se non vuole rispondere dell’esito eventualmente sfavorevole della lite, deve chiamare in causa l’ente titolare del diritto di credito. In ogni caso l’aver il contribuente individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio. La risposta non può essere diversa per il caso in cui il contribuente, a fondamento dell’impugnazione dell’atto consequenziale, abbia dedotto l’omessa notificazione dell’atto presupposto. Invero il “vizio” in questione non può essere ridotto alla (mera) dimensione di “vizio proprio dell’atto”, come se fosse, ad es., analogo ad un vizio riferito alla (pretesa) difformità del contenuto dell’atto rispetto allo schema legislativo: si tratta di qualcosa di più rilevante, come in precedenza si è cercato di illustrare. Si tratta di un “vizio procedurale” che, incidendo sulla sequenza procedimentale stabilita dalla legge a garanzia del contribuente, determina l’illegittimità dell’intero processo di formazione della pretesa tributaria, la cui correttezza è assicurata mediante il rispetto dell’ordinato progredire delle notificazioni degli atti, destinati, con diversa e specifica funzione, a portare quella pretesa nella sfera di conoscenza del contribuente e a rendere possibile per quest’ultimo un efficace esercizio del diritto di difesa. Si tratta, quindi, pur sempre di un vizio che ridonda sulla stessa sussistenza della pretesa tributaria, potendone determinare la eventuale decadenza (…). Sicchè la legittimazione passiva resta in capo all’ente titolare del diritto di credito e non al concessionario il quale, se fatto destinatario dell’impugnazione, dovrà chiamare in giudizio il predetto ente, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non trattandosi nella specie di vizi che riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi: l’enunciato principio di responsabilità esclude, come già detto, che il Giudice debba ordinare ex officio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non sussiste tra ente creditore e concessionario una fattispecie di litisconsorzio necessario, anche in ragione dell’estraneità del contribuente al rapporto (di responsabilità) tra l’esattore e l’ente impositore”.

Trattasi di orientamento giurisprudenziale ribadito dalle Sezioni semplici di questa Corte (cfr. Cass. n. 2803 del 2010) che hanno precisato che “Nel processo tributario regolato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il concessionario del servizio di riscossione è parte, ai sensi del medesimo D.Lgs., art. 10, quando oggetto della controversia è l’impugnazione di atti viziati da errori ad esso direttamente imputabili e, cioè, solo nel caso di vizi propri della cartella di pagamento e dell’avviso di mora; in tale ipotesi l’atto va impugnato chiamando in causa esclusivamente il concessionario, al quale è direttamente ascrivibile il vizio dell’atto e, non essendo configurabile un litisconsorzio necessario con l’ente impositore, è inammissibile il ricorso proposto esclusivamente nei confronti dell’amministrazione, non potendosi disporre successivamente l’integrazione del contraddittorio nei confronti del concessionario medesimo” (Cass. n. 5832 del 2011), mentre, qualora con l’impugnazione di un atto emesso dal concessionario per la riscossione si facciano valere motivi che non attengono a vizi di quell’atto, “il ricorso deve essere notificato all’ente impositore (nella specie l’Agenzia delle Entrate) quale titolare del credito oggetto di contestazione nel giudizio, essendo il concessionario un mero destinatario del pagamento, o più precisamente, mutuando lo schema civilistico dell’art. 1188 c.c., il soggetto incaricato dal creditore ed autorizzato a ricevere il pagamento” (Cass. n. 8613 del 2011; in termini anche Cass. n. 97 del 2015 e n. 18105 del 2017).

Orbene, nel caso in esame la CTR non si è attenuta ai suddetti arresti giurisprudenziali avendo omesso di considerare proprio la circostanza, peraltro da essa stessa affermata, che il contribuente aveva eccepito la decadenza dell’ente impositore e la prescrizione del diritto, ovvero questioni in relazione alle quali l’Agenzia delle entrate è dotata di legittimazione sostanziale (v., in motivazione, Cass. n. 8257 del 2019).

Gli altri due motivi, con cui il ricorrente ha censurato, per violazione dell’art. 115 c.p.c., (secondo motivo) e dell’art. 2953 c.c., (terzo motivo), l’affermazione dei giudici di appello sull’esistenza di un giudicato sul “diritto sottostante” alle intimazioni impugnate, sono inammissibili alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità dell’appello (ancorchè espressa con formula diversa, come nel caso di specie, in cui la CTR ha emesso pronuncia di rigetto del ricorso nonostante il rilevato difetto di legittimazione passiva della resistente amministrazione finanziaria) con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007, Rv. 595555 – 01; conf. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 17004 del 20/08/2015, Rv. 636624 – 01, nonchè Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 30393 del 19/12/2017, Rv. 646988 – 01).

Conclusivamente, quindi, va accolto il primo motivo di ricorso e dichiarati inammissibili gli altri e la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame nel merito, alla competente CTR, in diversa composizione, che provvederà anche a regolamentare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibili gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2020

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