Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3951 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 18/02/2011, (ud. 17/11/2010, dep. 18/02/2011), n.3951

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

la s.a.s. Confezioni Cristian di Prisco Antonio & C, con sede

in

(OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma

alla Via Nicolo l’n. 19 presso gli avv.ti Gagliardi Maria e Jervolino

Raffaele insieme con gli avv. PETRELLA Giuseppe e DI MURO Luigi che

la rappresentano e difendono in forza della procura rilasciata in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 82/15/06 depositata il 28 giugno 2006 dalla

Commissione Tributaria Regionale della Campania.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 17 novembre 2010

dal Cons. dr. Michele D’ALONZO;

sentite le difese dell’Agenzia, perorate dall’avv. Diego GIORDANO

(dell’Avvocatura Generale dello Stato);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.

ABBRITTI Pietro, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato alla s.a.s. Confezioni Cristian di Prisco Antonio & C. (nel domicilio eletto) il 26 settembre 2007 (depositato il 10 ottobre 2007), l’AGENZIA delle ENTRATE – premesso che con avviso di accertamento basato (1) sulla segnalazione redatta dalla G.d.F. … a seguito di verifica effettuata nei confronti della GER.P. recte: GER. PRIS. srl (allegata all’avviso …) (nel corso della quale verifica era emerso che la GER. PRIS, aveva ceduto alla … Confezioni Cristian beni in evasione d’imposta …, rilevati da due floppy disks rinvenuti in sede di verifica contenenti le movimentazioni ai magazzino) e (2) sulla documentazione esibita dalla parten l’Ufficio aveva accertato un reddito d’impresa maggiore di quello dichiarato applicando al costo del venduto, determinato tenuto conto dei suddetti acquisti non contabilizzati, la percentuale di ricarico del 38% a fronte di quella dichiarata del 31,65% -, in forza di due motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 82/15/06 della Commissione Tributaria Regionale della Campania (depositata il 28 giugno 2006) che aveva respinto l’appello dell’Ufficio avverso la decisione (559/28/03) della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli la quale aveva accolto il ricorso della contribuente.

Nel controricorso notificato il 30 ottobre 2007 (depositato il 6 novembre 2007) la società intimata instava per il rigetto dell’avversa impugnazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare (considerato che il difensore della ricorrente non ha depositato memorie e non è comparso all’udienza pubblica) va affermata la ritualità della comunicazione allo stesso dell’avviso di cui all’art. 377 c.p.c., comma 2 (dell’udienza è data comunicazione dal cancelliere agli avvocati delle parti almeno venti giorni prima), effettuata presso il domicilio eletto in Roma indicato nel ricorso per cassazione, attesa l’irrilevanza della richiesta (spedita alla cancelleria a mezzo fax), di detto difensore, di invio di quell’avviso ai sensi dell’art. 135 disp. att. c.p.c. (per il quale agli avvocati non residenti in Roma, i quali ne abbiano fatto richiesta all’atto del deposito del ricorso o del controricorso, sono inviati in copia, mediante lettera raccomandata con tassa a carico del destinatario, l’avviso dell’udienza di discussione e il dispositivo della sentenza della corte ).

Tale richiesta, infatti:

(1) non è produttiva di effetti perchè non è stata fatta, come la norma impone, all’atto del deposito del ricorso o del controricorso (cioè al momento del deposito di tali specifici atti processuali):

l’art. 366 c.p.c., comma 2 (se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione), infatti, pone come regola generale che nel giudizio di cassazione le notificazioni debbano essere fatte nel domicilio eletto in Roma, e (2) non è idonea a modificare l’operata elezione di domicilio in Roma perchè non preceduta da tempestiva variazione di quel domicilio, tale da far venire meno gli effetti dell’elezione di domicilio in Roma operata in precedenza e, quindi, da rendere così possibile anche l’applicazione dell’art. 135 detto.

2. La Commissione Tributaria Regionale premette: – l’ufficio, in base ad un P.V. di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza … a seguito di una verifica fiscale fatta nei confronti della società GER. PRIS. srl (dalla quale sarebbe emerso che quest’ultima avrebbe effettuato vendite in evasione d’imposta), rettificò, nei confronti della … CONFEZIONI CRISTIAN sas il reddito relativo all’anno d’imposta 1991 …;

– lo stesso Ufficio, inoltre, ritenne di applicare al costo del venduto la percentuale di margine lordo medio del 38% invece di quella del 31,65% applicata dalla società e considerata particolarmente bassa;

– la parte chiese l’annullamento dell’avviso impugnato sostenendo che i rapporti instaurati con la GER. PRISC. Sri si erano realizzati correttamente tanto è che l’Ufficio nulla eccepì sulla regolarità della contabilità ordinaria e sulla conservazione delle scritture contabili della società; eccepì, inoltre, la carenza di motivazione dell’avviso avendo l’Ufficio limitato l’azione accertante al semplice richiamo del P.V. della G. di F. che aveva a sua volta desunto una presunta contabilità in nero solo ed esclusivamente sui dati contenuti in due floppy disk rinvenuti nel corso della verifica fiscale operata nei confronti della GER. PRIS. srl;

– i primi giudici accolsero il ricorso annullando l’atto impositivo, in quanto ritennero che lo stesso fosse carente di motivazione, l’elemento probatorio a fondamento dell’atto impositivo non sostenuto e sufficientemente provato dall’Ufficio, e l’avviso non fondato su presunzioni gravi precise e concordanti.

Tanto esposto la stessa Commissione ha respinto l’appello dell’Ufficio osservando:

– concordando con l’iter logico-giuridico dei primi giudici si rileva che persiste l’assenza di elementi probatori di riscontro rispetto alle tesi sostenute dall’Ufficio: la rettifica tiene conto solo ed esclusivamente delle semplici ipotesi dei militari della G. di F. …

che effettuarono la verifica sulla base di indizi e hanno creato ipotesi non sorrette da prove concrete;

– infine, ma non ultimo, l’onere probatorio dei fatti su cui si fonda la pretesa tributaria è a carico dell’Ufficio Finanziario, il quale deve prima di tutto fornire a se stesso la prova dei presupposti di fatto su cui radicare e giustificare l’emanazione del provvedimento, senza limitarsi a recepire acriticamente i rilievi della polizia tributaria, riportandoli pedissequamente nella motivazione dell’avviso d’accertamento (cfr. Cassazione … n. 2990/79).

3. L’Agenzia censura tale decisione con due motivi.

A. Con il primo la ricorrente – affermato esser pacifico che l’onere della prova ricada sulla P.A. con riferimento ad ulteriori ricavi – denunzia violazione degli artt. 2697, 2700 e 2702 c.c. assumendo che la P.A. lo aveva assolto producendo il processo verbale della Guardia di Finanza, che, oltre ad essere atto pubblico (artt. 2699 e 2700 c.c.) per le operazioni verbalizzate, ha anche efficacia probatoria per i suoi allegati che sono documenti (2702 c.c.).

La medesima ricorrente, di poi, sostiene che in base ai principi affermati da questa Corte (Cass. 20054/2006 e Cass. 6 luglio 2006 n. 282) il giudice era … tenuto ad esaminare il verbale della G. di F. perchè esso è … la fonte di prova della pretesa mentre la C.T.R. ha ritenuto irrilevante in sè e non ha esaminato il PVC con palese illogicità e violazione di legge (sulla natura del PVC) ed insufficienza (per difetto di lettura del processo verbale) in punto di prova (decisivo e controverso) cosi decidendo erroneamente con riferimento alle altre prove asseritamene non fornite da essa Agenzia … oltre al non considerato verbale. A conclusione della doglianza la ricorrente formula il quesito secondo il quale il giudice tributario ha il dovere di esaminare le prove offerte dalle parli tra cui il processo verbale della Guardia di Finanza, pena il diniego di giustizia ed in ogni caso violazione dell’art. 115 del c.p.c. non potendo in particolare non esaminare il medesimo perchè ritenuto privo in astratto di ogni valenza probatoria, con la relativa efficacia probatoria stabilita dagli artt. 2700 e 2702 c.c..

B. Con il secondo (ultimo) motivo l’Agenzia – richiamato l’orientamento di questa Corte per il quale l’avviso di accertamento, motivato con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla GdF, non è illegittimo per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura … (Cass. 20054/2006) – denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54, 55 e 56 formulando questo quesito:

l’avviso di accertamento fondato sul verbale della Guardia di Finanza è sufficiente per fondare la rettifica della dichiarazione prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54, 55 e 56.

3. La società oppone, in particolare, che la contestata violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54, 55 e 56 è avulsa dalla fattispecie non trattando, nel caso, di rettifiche in materia di IVA ma di reddito di impresa (con applicazione delle norme … previste dal D.P.R. n. 600 del 1973).

4. Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c.; comunque è infondato.

A. In via preliminare va ricordato che il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) consiste (Cass.: 3^, 17 luglio 2009 n. 16739; 3^, 13 maggio 2009 n. 11097; 3^, 5 giugno 2007 n. 13066; trib., 10 febbraio 2006 n. 2935;

trib., 20 gennaio 2006 n. 1127; trib., 9 novembre 2005 n. 21767;

trib., 1^, 11 agosto 2004 n. 15499) nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa Corte dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65) mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione:

il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa.

Detto vizio, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità (Cass., 2^, 12 febbraio 2004 n. 2707; id., 2^, 26 gennaio 2004 n. 1317), dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione.

Il vizio di omessa o di insufficiente motivazione (denunciabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), poi, sussiste soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione adottata (Cass., lav., 12 agosto 2004 n. 15693; id., lav., 9 agosto 2004 n. 15355).

Questi vizi motivazionali non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte perchè spetta solo a detto giudice (1) individuare le fonti del proprio convincimento, (2) valutare le prove, (3) controllarne l’attendibilità e la concludenza, (4) scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, (5) dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi (non ricorrenti nella specie) tassativamente previsti dalla legge in cui è assegnato alla prova un valore legale.

Il ricorrente che nel giudizio di legittimità deduca l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie ha l’onere (Cass.: un., 5 giugno 2008 n. 14824; 3^, 29 marzo 2007 n. 7767; 3^, 28 giugno 2006 n. 14973), sempre in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (art. 366 c.p.c.), di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non valutate o mal valutate, nonchè di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse atteso che il mancato esame di una (o più) risultanze processuali può dar luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione unicamente se quelle risultanze processuali non valutate o mal valutate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre sulle quali il convincimento si è formato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cass.: 3^, 22 febbraio 2010 n. 4205; 2^, 17 febbraio 2004 n. 3004).

B. Ancora preliminarmente va, poi, evidenziato che la sentenza impugnata è stata depositata il 28 giugno 2006, quindi dopo il 2 marzo 2006 (data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 che la ha introdotta) e prima del 4 luglio 2009 giorno di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 che, con la lett. d), suo comma 1, la ha espressamente abrogata: al ricorso per cassazione avverso la medesima, pertanto, si applica la complessiva disposizione dettata dall’art. 366 bis c.p.c. nonchè l’art. 369 c.p.c. (in particolare la previsione del n. 4, comma 2, nel testo, tuttora in vigore, sostituito dal medesimo D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 7).

B.1. L’art. 366 bis c.p.c., come noto, dispone(va) (1) che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo del detto ricorso si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto mentre (2) nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per te quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

B.1.1. Per la prima parte della norma (casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4), affinchè il quesito di diritto dalla stessa previsto … abbia i requisiti idonei ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, è necessario che siano enunciati gli errori di diritto in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, richiamando le relative argomentazioni, e sia prospettata la diversa regula iuris da applicare alla fattispecie, di cui si chiede l’enunciazione a questa Corte (Cass., un., 2 dicembre 2008 n. 28547, che richiama Cass. S.U. 14.2.2008, n. 3519): un motivo di ricorso per cassazione, quindi, è inammissibile ogni volta che l’afferente quesito di diritto … si esaurisce in una enunciazione di carattere generale ed astratto che, in quanto priva di qualunque indicazione sul tipo di controversia e sulla riconducibilità alla fattispecie, non consente di dare alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente; il quesito, pertanto (Cass., un., 11 marzo 2008 n. 6420), non può essere desunto o integrato dal motivo essendo (Cass., un., 5 febbraio 2008 n. 2658) la norma…

finalizzata a porre questo giudice della legittimità in condizione di comprendere, in base alla sola sua lettura, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e di rispondere al quesito medesimo enunciando una regula iuris.

Parimenti inammissibile (vedi Cass. ord. n. 19769/2008) per la disposizione in esame è (Cass., un., 24 marzo 2009 n. 7032) il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere a questa S.C. puramente e semplicemente di accertare … se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge.

In definitiva (Cass., un., 24 dicembre 2009 n. 27 368) ciascun motivo di ricorso deve consentire l’individuazione del principio di diritto censurato posto dal giudice a quo alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del principio, diverso da quello, la cui auspicata applicazione ad opera di questa Corte … possa condurre ad una decisione di segno inverso: ove tale articolazione logico-giuridica mancasse, infatti, il quesito si risolverebbe in un’astratta petizione di principio, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio ad opera della Corte, in funzione nomofilattica.

B.1.2. Per la seconda parte del medesimo art. 366 bis c.p.c., poi ed infine (Cass., un., 30 luglio 2008 n. 20603 e 1 ottobre 2007 n. 20603), ogni censura fondata su di un caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 deve contenere wn momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. sez. un. 1 ottobre 2007, n. 20603).

B.2. A mente dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, poi, insieme col ricorso debbono essere depositati, … a pena di improcedibilità …4) gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda: per tale norma, quindi, gli atti processuali ritenuti necessari devono essere specificamente e nominativamente depositati (insieme con il ricorso per cassazione e nello stesso termine), anche (Cass., trib., 12 gennaio 2010 n. 303) in caso di denuncia di error in procedendo in quanto la norma non distingue tra i vari tipi di censura proposta; conseguentemente (Cass., un., 14 ottobre 2009 n. 21747, per la quale è necessario a tal fine un atto specifico di deposito… non potendo bastare la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito) non soddisfa detti requisiti la mera, generica ed omnicomprensiva indicazione, nel ricorso per cassazione, di produzione degli atti dei gradi di merito.

C. L’applicazione al caso dei principi richiamati al punto B.1.

evidenzia l’inconferenza del principio di diritto che l’Agenzia vuole sia affermato.

Il giudice di appello, infatti, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, non ha mai affermato (neppure per implicito) di non (essere obbligato ad) esaminare le prove offerte dalle parli e, tampoco, il processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza: l’affermazione (implicitamente contestata con la doglianza) di quel giudice secondo la quale persiste l’assenza di elementi di riscontro rispetto alle tesi sostenute dall’Ufficio, come naturale, discende unicamente da afferente accertamento di fatto che, logicamente, suppone proprio l’esame delle prove offerte al suo vaglio, quindi anche quelle (semmai) contenute nel processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza.

L’eventuale erroneità del giudizio finale sul materiale probatorio al suo scrutinio, quindi, non deriva affatto da una errata interpretazione di disposizioni di legge – in particolare, di quelle, indicate dall’Agenzia, dettate dall’art. 2697 c.c. (onere della prova), 2700 (efficacia dell’atto pubblico) e art. 2702 c.c. (efficacia della scrittura privata)-, censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (violazione o falsa applicazione di norme di diritto), ma, semmai, unicamente dalla valutazione del complessivo, concreto materiale fattuale (anche semplicemente allegato) posto a disposizione del giudice del merito, denunziabile innanzi a questa Corte solo in forza dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo perii giudizio).

A conferma dell’inconferenza detta va rilevato, comunque ed infine, che il quesito formulato (nel quale si evoca solo una pretesa o possibile violazione dell’art. 115 c.p.c.) non contiene nessun riferimento alle indicate norme del codice civile che si assumono violate nè propone alcuna esegesi delle stesse che possa indurre ad una valutazione positiva della censura.

C. Il secondo (ed ultimo motivo) motivo, poi, è inammissibile perchè denunzia la violazione di norme attinenti all’Imposta sul Valore Aggiunto mentre nel caso di tratta di ILOR (quindi di una imposta sul reddito).

La doglianza, peraltro e comunque (ovverosia pur a volerla riferita all’Imposta Locale sui Redditi contemplata nell’avviso di accertamento oggetto della controversia), è altresì inammissibile per inosservanza del disposto dell’art. 366 bis c.p.c. in quanto la tesi racchiusa nello stesso (l’avviso di accertamento fondato sul verbale della Guardia di Finanza è sufficiente per fondare la rettifica della dichiarazione prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54, 55 e 56) non prospetta affatto un principio di diritto chiaro e, in qualche modo, utile ai fini della decisione, non essendo comprensibile il senso dell’espressione sufficiente per fondare la rettifica della dichiarazione: le norme citate (e, comunque, neppure le corrispondenti in tema di imposte sul reddito), infatti, non consentono in alcun modo la lettura, supposta dall’Agenzia, cioè di affermare (in diritto) che il contenuto (anche per la parte non coperta dalla efficacia propria dell’atto pubblico ex art. 2700 cod. civ.) di un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza assurga a rango di prova della pretesa fiscale in qualche modo vincolante o, comunque, foriera di una inversione dell’onere probatorio.

La questione, poi, è, nel caso, irrilevante se la frase fondare la rettifica si intende (come per logica) unicamente quale affermazione della idoneità del solo processo verbale della Guardia di Finanza a motivare la concreta azione accertatrice dell’Ufficio, ovverosia quale contestazione della tesi (spesso propugnata dai contribuenti e talvolta condivisa dai giudici tributari) del ec. acritico recepimento delle conclusioni di detto processo verbale – secondo la quale l’Ufficio sarebbe obbligato a svolgere ulteriori attività di indagine in proprio, oltre quelle già svolte dalla Guardia di Finanza – atteso che la doglianza investe le affermazioni finali del giudice di appello secondo le quali l’onere probatorio dei fatti su cui si fonda la pretesa tributaria è a carico dell’Ufficio e questi non può limitarsi a recepire acriticamente i rilievi della polizia tributaria che, però, nella complessiva economia, anche logica, della decisione adottata, non assumono nessun valore significativo perchè dalle stesse il giudice di appello non ha fatto discendere nessuna aderente conseguenza sul piano propriamente decisionale: la Commissione Tributaria Regionale, infatti, ha annullato l’atto impositivo soltanto per l’affermato riscontro di assenza di elementi probatori e non già o per l’asserito acritico recepimento detto oppure per erronea individuazione della regola di diritto contenuta nell’art. 2697 cod. civ., costituendo pacifico principio (cfr., Cass., trib., 20 luglio 2007 n. 16115, tra le recenti) quello per il quale l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare l’esistenza di un reddito imponibile (oltre che la qualità di debitore del contribuente).

5. Per la sua totale soccombenza l’Agenzia, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rifondere alla società le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate (nella misura indicata in dispositivo) in base alle vigenti tariffe professionali forensi, tenuto contro del valore della controversia e della effettiva attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia a rifondere alla società le spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro. 1.400,00 (millequattrocento/00), per onorario, oltre spese generali ed accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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