Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3950 del 18/02/2010

Cassazione civile sez. III, 18/02/2010, (ud. 21/01/2010, dep. 18/02/2010), n.3950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 5837-2009 proposto da:

L.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MEDAGLIE D’ORO 157, presso lo studio dell’avvocato CIPRIANI ROMOLO

GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato RONCORONI TIZIANO,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRACASSINI

4, presso lo studio dell’avvocato NODARI RICCARDO, rappresentata e

difesa dall’avvocato TESTA GIANANTONIO, giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

D.F.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 16 9/2 008 del TRIBUNALE DI COMO SEZIONE

DISTACCATA DI CANTU’, del 20/7/08, depositata il 25/08/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

è presente il P.G. in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE.

La Corte, letti gli atti depositati:

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 27 febbraio 2009 L.S. ha chiesto la cassazione della sentenza, depositata in data 25 agosto 2008 dal Tribunale di Como – Sezione distaccata di Cantù – che, in parziale riforma della sentenza del Giudice di Pace, l’aveva condannata in qualità di custode del motociclo, in solido con il conducente D.F.S., a pagare Euro 2.908,24 in favore di P.S. a titolo di risarcimento danni da sinistro stradale. Gli intimati non hanno espletato attività difensiva.

2- I due motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c.. Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella dei 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. in materia di custodia. Formula un quesito con il quale chiede alla Corte di stabilire se il principio di cui a tale norma che individua la responsabilità del soggetto per il danno cagionato dalle cose detenute in custodia sia applicabile anche in mancanza di un rapporto o di un potere di fatto tra il soggetto e la cosa con cui è stato determinato l’evento.

Un quesito siffatto pecca di astrattezza assoluta, in quanto è del tutto svincolato dai necessari riferimenti al caso concreto. Il Tribunale ha spiegato che dalla sua stessi tesi difensiva risultata che essa, pur non essendo proprietaria del motociclo, ne era la custode come risultava dal verbale di sequestro, affidamento in custodia e fermo amministrativo.

Ne consegue che il quesito da per scontata una situazione difforme da quella accertata dal giudice di merito.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria e/o illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia. Il quesito non specifica analiticamente i vizi denunciati e censura la valutazione acritica delle risultanze processuali e la non compiuta analisi del materiale probatorio e dei riscontri istruttori.

La censura si muove su un piano squisitamente fattuale e, quindi, si rivela inammissibile in sede di legittimità.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Si da atto che, contrariamente a quanto scritto nella relazione, P.S. si è ritualmente costituita con controricorso;

La controricorrente ha presentato memoria concludendo per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso; nessuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

5.-Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 800,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2010

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