Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 395 del 11/01/2011

Cassazione civile sez. un., 11/01/2011, (ud. 23/11/2010, dep. 11/01/2011), n.395

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Primo Presidente f.f. –

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente di sezione –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27439/2009 proposto da:

B.G.P. ((OMISSIS)), B.C.,

elettivamente domiciliate in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentate e difese dagli avvocati CALUSSI Sergio,

ILARIA LECCIARDI, per delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER L’EMILIA ROMAGNA, CENTRO SERVIZI

AMMINISTRATIVI DI PARMA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 421/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 02/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/11/2010 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;

udito l’Avvocato Sergio FIORENTINO dell’Avvocatura Generale dello

Stato;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l’A.G.A.; rigetto o

inammissibilità del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con ricorso depositato l’11 marzo 2004, B.G.P. e B.C. si rivolgevano al Tribunale di Parma, in funzione di giudice del lavoro, chiedendo che fosse accertato, per ognuna di loro, il diritto alla c.d. anzianità aggiuntiva, in relazione alle prestazioni svolte all’estero quali assistenti amministrative di ruolo, ai fini dello stipendio e dell’indennità di funzione, sino al 31 dicembre 1995, e ai fini del collocamento e della progressione nelle posizioni stipendiali, a decorrere dal 1 gennaio 1996, e che fossero condannati il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, nonchè l’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia Romagna, alla ricostruzione delle rispettive carriere retributive, con il pagamento degli arretrati e la restituzione di eventuali recuperi di crediti effettuati a loro carico. Nella resistenza delle amministrazioni convenute, il Tribunale adito, con sentenza del 29 giugno 2005, accoglieva la domanda attorea, ma tale decisione veniva riformata dalla Corte d’appello di Bologna, che, con la decisione qui impugnata, accogliendo la relativa eccezione sollevata dalle amministrazioni appellanti dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. In particolare, la Corte di merito rilevava che le dipendenti sin dalla data del 31 dicembre 1995 – in sede di determinazione dell’anzianità per l’applicazione del nuovo c.c.n.l.

– si erano viste attribuire un’anzianità inferiore a quella pretesa, sì che a tale epoca doveva riferirsi la lesione da loro lamentata, essendo invece ininfluenti i successivi provvedimenti, meramente ricognitivi, adottati in data 15 febbraio 2001; la giurisdizione sulla controversia spettava pertanto al giudice amministrativo alla stregua del criterio temporale fissato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7.

2. – Contro questa sentenza ricorrono per cassazione B.G. P. e B.C., deducendo un unico motivo di impugnazione.

Il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – L’unico motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione della disciplina transitoria sul riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo. Si domanda alla Corte “se, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, nel riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, in materia di rapporti di lavoro instaurati con lo Stato o con altre pubbliche amministrazioni, per determinare la giurisdizione con riferimento ad atti negoziali del datore di lavoro asseritamente pregiudizievoli, dedotti a fondamento della pretesa fatta valere in giudizio, si deve avere riguardo al momento dell’emanazione dei medesimi”.

2. – Il motivo è inammissibile, come puntualmente eccepito dalla p.a. resistente, perchè, avverso sentenza pubblicata il 2 gennaio 2009, per la quale trova applicazione la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, l’illustrazione della censura non si conclude con la formulazione di un quesito di diritto rispettoso della prescrizione dettata dall’art. 366 bis c.p.c., primo periodo.

Al riguardo, queste Sezioni unite hanno già affermato che il quesito deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; ciò vale a dire che la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare: in conclusione, l’ammissibilità del motivo è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisca necessariamente il segno della decisione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. un, n. 18759 del 2008; id., n. 3519 del 2008).

Nel caso di specie, la parte ricorrente non ha adempiuto all’onere, dai contenuti sopra precisati, della proposizione di una valida impugnazione, poichè il quesito è formulato in termini generici, senza indicazione della rado decidendi e della violazione specificamente addebitabile alla pronuncia impugnata, e non contiene alcun riferimento alla fattispecie (e, in particolare, alla natura e al contenuto dei provvedimenti lesivi dedotti in giudizio e considerati dalla sentenza impugnata), tanto più necessario in assenza di una riproduzione della statuizione censurata che sia idonea a far emergere la res oggetto del giudizio (cfr. Cass., sez. un., n. 3965 del 2009; e altre conformi); nè, d’altra parte, sarebbe consentito desumere tali elementi dal contenuto del motivo (cfr.

Cass., sez. un., n. 20409 del 2008). Ne deriva, in conclusione, che una formulazione in tal modo del quesito di diritto equivale ad un’omessa formulazione, siccome la norma, se detta una prescrizione di ordine formale, incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie.

3. – Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile. Consegue, per il criterio della soccombenza, la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, dichiara il ricorso inammissibile e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in euro duecento per esborsi e in Euro duemila per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2011

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