Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3948 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 18/02/2011, (ud. 21/10/2010, dep. 18/02/2011), n.3948

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Fallimento “Impresa Russillo Tecnologia e costruzioni” S.r.l., in

persona del curatore Elettivamente domiciliato in Roma, Via Cosseria

n. 2, presso il Dott. Alfredo Placidi; rappresentato e difeso

dall’Avv. PETRONE LUIGI, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, nei cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12,

è domiciliata;

– controricorrente –

e contro

SOCIETA’ ESATTORIE MERIDIONALI SEM Spa., in persona

dell’amministratore pro tempore Elettivamente domiciliata in Roma,

Via Giovanni Antonelli, n. 50, nello studio dell’Avv. Massimo Pozzi,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti, avverso la

sentenza della commissione tributaria regionale della Basilicata, n.

10/03/05, depositata in data 19 aprile 2005;

sentita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 21

ottobre 2010 dal consigliere Dott. Pietro Campanile;

Udito per la controricorrente SEM Spa l’Avv. Massimo Pozzi;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Ennio Attilio Sepe, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

1. – Il curatore del fallimento della S.r.l. “Impresa Russillo Tecnologia e costruzioni” proponeva ricorso avverso la cartella con cui, tramite la concessionaria per la riscossione Società Esattorìe Meridionali SEM S.p.a., veniva intimato il pagamento della somma di L. 1.537.931.000, in relazione ad IVA non versata per l’anno 1994.

Veniva dedotta carenza di motivazione ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7; si eccepiva, altresì, violazione della stessa L. n. 212, art. 6, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 5 bis, nonchè irregolarità della notificazione della cartella.

1.1 – Si costituivano la concessionaria SEM e l’Agenzia delle Entrate, contestando la fondatezza del ricorso, che veniva respinto dalla Commissione tributaria provinciale adita.

1.2 – La Commissione tributaria regionale della Basilicata, con la sentenza indicata in epigrafe, respingeva l’appello proposto dalla curatela, nonchè l’impugnazione incidentale della S.p.a. Sem, relativa alle spese processuali.

1.4 – Per la cassazione di tale decisione la curatela fallimentare propone ricorso, sorretto da tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate e la SEM S.p.a. resistono con controricorso.

Diritto

2. – Con il primo motivo il fallimento ricorrente denuncia la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, deducendo che l’obbligo di motivazione della cartella “avrebbe potuto ritenersi assolto soltanto attraverso il riferimento alla dichiarazione fiscale del contribuente o ad eventuali accertamenti successivi posti alla base dell’imposizione,.. ovvero, alternativamente, attraverso l’allegazione dell’avviso di pagamento, sempre che esso contenga tutti i succitati elementi; avviso che nel caso di specie, pur essendo stato richiamato nella cartella, giammai è stato notificato alla fallita società”.

Il motivo non è fondato.

Con riferimento all’obbligo di motivazione degli atti tributari, previsto tanto per l’avviso di accertamento, quanto per la cartella di pagamento (D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 12 e 25) questa Corte ha già avuto modo di precisare che la verìfica dell’osservanza dell’obbligo dell’Ufficio finanziario di indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche del proprio atto va riscontrata non in astratto, ma alla luce delle finalità che tale obbligo è chiamato ad assolvere, ravvisabili, da un lato, nel mettere a conoscenza il contribuente dell’an e del quantum della pretesa fiscale, anche per consentirgli eventualmente di difendersi in modo adeguato, e, dall’altro, di delimitare le ragioni dell’Ufficio nella successiva ed eventuale fase contenziosa (Cass., n. 26485 del 2008; Cass. n. 27653 del 2005; Cass. n. 13094 del 2002).

Più specificatamente, si è affermato che la generale portata precettiva dell’obbligo di motivazione, tenuto conto anche del principio di “buon andamento” dei pubblici uffici, tutelato dall’art. 97 Cost., va “differenziata a seconda del contenuto prescritto dalle afferenti norme per ciascun atto impositivo: tanto obbliga a distinguere, in particolare, tra l’atto (più semplificato) di mera liquidazione dell’imposta corrispondente a quanto dichiarato dal contribuente e quello di vero e proprio accertamento di un’imposta non dichiarata o maggiore di quella dichiarata, quindi e comunque svincolata dalla dichiarazione per omissione od infedeltà della stessa” (Cass., n. 13335 del 2009).

Alla luce di tali principi, che il Collegio condivide, deve allora rilevarsi che l’atto impugnato attiene principalmente alla riscossione di somme relative ad IVA dichiarata, ma non versata.

Da tali dati emerge quindi che, nel caso in esame, l’emissione della cartella è avvenuta sulla base degli elementi forniti dalla stessa dichiarazione della contribuente, provenienza che poneva evidentemente l’Ufficio nella condizione di formulare la propria richiesta in forza del semplice richiamo alla dichiarazione, senza necessità di indicare i fatti costitutivi dell’ob-bligazione fiscale (cfr. Cass. n. 26671 del 2009).

Deve pertanto ritenersi che la decisione impugnata, nella quale si da atto della congruità del riferimento, nella cartella impugnata, “al controllo della dichiarazione dell’IVA per anno 1994”, all’esito del quale risultano dovute le somme l’analiticamente specificate nella cartella stessa, abbia correttamente applicato, fornendo al riguardo adeguata motivazione, il suindicato principio.

2.1 – Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge sotto il profilo della mancata applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60. comma 5 bis.

Il motivo è infondato, per le ragioni che seguono, in relazione ad entrambi i profili di censura.

2.2 – Quanto al primo aspetto, vale bene richiamare il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui l’amministrazione finanziaria non è tenuta ad invitare il contribuente a fornire chiarimenti o a produrre documenti nelle ipotesi, come quella in esame, di mera riscossione di somme risultanti dalla dichiarazione del contribuente stesso e non versate. Ai sensi della 1. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, tale invito, infatti, è previsto solo “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”. Tale ipotesi, all’evidenza, non ricorre quando i dati forniti dal contribuente non vengano posti in discussione, bensì utilizzati ai fini della riscossione delle imposte dovute.

2.3 – Quanto alla dedotta violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6, questa Corte ha già affermato il principio, che il Collegio condivide ed al quale intende, anzi, dare continuità, secondo cui in tema di Iva, ed nelle ipotesi di sanzioni liquidate ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 54 bis e 60, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 17, prevede l’irrogazione immediata (mediante iscrizione a ruolo e senza previa contestazione) delle sanzioni nella misura del 30% dell’importo non versato; con tale normativa è stato implicitamente abrogato l’art. 60 citato, comma 6, nella parte in cui prevedeva l’invio del preventivo invito al versamento la cui unica funzione è quella di dare al contribuente la possibilità di attenuare le conseguenze sanzionatorie della omissione di versamento, posto che la sanzione è stata fissata in misura comunque inferiore a quella cui poteva accedersi in adesione all’invito (Cass., 5 settembre 2008, n. 22437; Cass., 5 maggio 2010, n. 10806).

2.3 Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 169 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, con riferimento, da un lato, alla non corrispondenza al vero della circostanza, affermata nella decisione impugnata, dell’omessa contestazione in merito alla dedotta irregolarità della cartella, e, dall’altro, all’erronea applicazione del principio della sanatoria dei vizi della notifica degli atti processuali a seguito del raggiungimento dello scopo prefissato nei confronti della cartella di pagamento, avente natura squisitamente sostanziale.

Il motivo presenta un ineludibile aspetto di inammissibilità, non risultando proposta alcuna censura avverso la principale ratio decidendi della decisione della commissione regionale inerente alla regolarità della notificazione della cartella (“venne notificata in via (OMISSIS), mediante consegna a C.G., in qualità di amministratore unico della società”), laddove il riferimento alla sanatoria della notificazione costituisce un mero obiter dictum, peraltro fondato su un indirizzo giurisprudenziale (Cass., Sez. Un., 5 ottobre 2004, n. 19854), orami del tutto consolidato (cfr. Cass. 2 luglio 2009, n. 15554), successivo rispetto a quello invocato dalla curatela (e riproposto in questa sede).

2.4. Al rigetto del ricorso, per le ragioni indicate, consegue la condanna del fallimento al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo, nei confronti di entrambe le parti controricorrenti.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nei confronti delle parti controricorrenti, liquidate, quanto all’Agenzia delle Entrate, in Euro 4.500,00 oltre spese prenotate a debito, Euro 200/00 per esborsi e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 21 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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