Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3948 del 14/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 14/02/2017, (ud. 06/12/2016, dep.14/02/2017),  n. 3948

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17005-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

N.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 850/39/2015 della Commissione Tributaria

Regionale del Lazio, Sezione Distaccata di Latina del 29/01/2015,

depositata il 13/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTA CRUCITTI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate ricorre, affidandosi a quattro motivi, nei confronti di N.A. (che non resiste) avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Lazio – in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di accertamento emesso D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38per l’anno di imposta 2007 – aveva, in accoglimento dell’appello proposto dalla contribuente, riformato la decisione di primo grado di rigetto del ricorso.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c. è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituali comunicazioni.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 laddove la C.T.R. aveva annullato l’accertamento sul rilievo che l’amministrazione finanziaria non avrebbe fornito prova documentale del maggior reddito.

Con il secondo e con il terzo motivo si deduce l’omesso esame di fatti decisivi quali la mancata produzione di documentazione da parte della contribuente in risposta all’invito rivoltele dall’Ufficio e la totale impossidenza dei soggetti componenti il nucleo familiare.

Con il quarto motivo si deduce, infine, l’error in procedendo commesso dal Giudice di appello nell’avere valorizzato le allegazioni della parte in ordine ai propri rapporti familiari ai fini della ricostruzione del reddito malgrado le stesse non fossero state prospettate con il ricorso introduttivo.

Rigettato da subito tale ultimo motivo, laddove la ricorrente, con difetto di autosufficienza non riporta il contenuto del ricorso introduttivo impedendo ogni valutazione in ordine alla dedotta novità della questione, per il resto, il ricorso è manifestamente fondato.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, disciplina, fra l’altro, com’è noto, il metodo di accertamento sintetico del reddito e, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. n. 413 del 1991, e il D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (comma 5), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle – di solito elevate – sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Resta salva, in ogni caso, ai sensi dell’art. 38 cit., comma 6 la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (con riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori: Cass. n. 5365 del 2014), o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. nn. 20588 del 2005, 9539 del 2013).

Con recente pronuncia poi, questa Corte (Cass. 8995/2014 richiamata dalla successiva Cass.n.25104/2014) ha così chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38: “A norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente e costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entita di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. La norma chiede qualcosa di pii.; della mera prova della disponibilita di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entita di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalita di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacita contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate al fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perche in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati. Ne la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame; quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilita del contribuente”.

La sentenza impugnata, nell’addossare un onere probatorio all’Amministrazione e nella valutazione degli elementi forniti dalla contribuente, omettendo altresì la valutazione di fatti decisivi si è discostata dai superiori principi, onde appare meritevole di censura.

Ne consegue, in accoglimento dei primi tre motivi, rigettato il quarto, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio al giudice di merito affinchè provveda al riesame, adeguandosi ai superiori principi e fornendo congrua motivazione, ed al regolamento delle spese processuali.

PQM

La Corte, in accoglimento dei primi tre motivi di ricorso, rigettato il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017

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