Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3947 del 18/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 18/02/2011, (ud. 21/10/2010, dep. 18/02/2011), n.3947

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

la s.r.l. LOMBARDI ECOLOGICA, con sede in

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma al Viale Paridi n. 43 presso l’avv.

D’AYALA VALVA FRANCESCO, che la rappresenta e difende, “unitamente e

congiuntamente” all’avv. Antonio DAMASCELLI, in forza della procura

speciale rilasciata in calce al controricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 63/01/08 depositata il 15 maggio 2008 dalla

Commissione Tributaria Regionale della Puglia (notificata il 2

ottobre 2008);

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 21 ottobre 2010

dal Cons. Dott. Michele D’ALONZO;

sentite le difese delle parti, perorate dall’avv. Lorenzo D’ASCIA

(dell’Avvocatura Generale dello Stato), per l’Agenzia, e dall’avv.

Antonio DAMASCELLI, per la società;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso

e, in subordine, per l’accoglimento dello stesso “p.q. r.”.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato alla s.r.l. LOMBARDI ECOLOGICA, l’AGENZIA delle ENTRATE – premesso aver “la Guardia di Finanza” rilevato, “con p. v. di constatazione redatto il 3 agosto 2004”, che detta società aveva: (1) “contabilizzato ingenti costi di manodopera forniti dalle soc. MIDI SERVICE… Coop a r.l. (operante nel periodo gennaio 1997/febbraio 1998), CIEFFE MANUTENZIONI e SERVIZI… Coop. a r.l.

(operante nel periodo marzo 1998/ottobre 1999) e INTERLABOR… Coop. a r.l., (operante nel periodo successivo al primo novembre 1999)” che “i verbalizzanti hanno ritenuto… non… deducibili” perchè (“in occasione di controlli incrociati effettuati per verificare la regolarità della documentazione utilizzata”) (a) “le cooperative che hanno emesso le fatture, pur figurando nei registri della Prefettura e della C.C.I.A.A. e pur avendo aperto una posizione assicurativa presso l’INPS e l’INAIL, sono risultate irreperibili nelle sedi dichiarate” e (b) “dall’esame della documentazione prodotta… per conto della Coop. Interlabor (unica documentazione fornita dalle società fornitrici della manodopera) è emersa una palese discordanza tra i dati indicati nelle fatture in possesso dell’emittente ed in quelle in possesso dell’utilizzatrice…

Lombardi Ecologia s.r.l.” “segno, questo, che l’impianto contabile della società cooperativa sia stato artatamente creato… e che le fatture riscontrate in contabilità presso la Lombardi Ecologia s.r.l. siano state create a prescindere dai documenti formati presso la cooperativa (p. 13 p.v.c.)”; (2) operato le seguenti “indebite deduzioni”: (a) “conto Lavorazioni Terzi”, “genericità della descrizione della prestazione e, in taluni casi,… mancato rispetto del principio di competenza (pp. 16-18 p.v.c.)”; (b) “conto Pubblicità”: (b1) “spese di pubblicità” non “interamente deducibili nell’esercizio” trattandosi di “spese di rappresentanza, deducibili nella misura prevista dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 74, comma 2 (T.U.I.R.) (“punto a dell’all. 4 al p.v.c.”); (b2) “mancava la documentazione giustificativa” (“(punto b dell’allegato 4)”); (b3) “spese di sponsorizzazione di squadre partecipanti a campionati sportivi che si volgevano a cavallo di più esercizi,… erroneamente imputate ad un solo esercizio, anzichè essere ripartite tra gli esercizi in cui si articolava la manifestazione (cfr. pp. 18-19 p.v.c.)” (“(punto c)”) “la contribuente, avendo espresso l’opzione per la deduzione della spesa in più esercizi, ai sensi dell’art. 74, comma 2, cit. T.U.I.R., ha dedotto 1/3 della spesa, anzichè 1/5 (come avrebbe dovuto)”; “la contribuente aveva erroneamente contabilizzato anche tra le spese di pubblicità una fattura…

concernente un costo di riparazione (fg. 21 p.v.c.)”; (c) “conto Manutenzione e riparazione”: “superata la percentuale di deducibilità del 5% del valore dei beni ammortizzabili, stabilita dall’art. 67, comma 7, T.U.I.R. (cfr. fg. 21-22 e fg. 23-24, sub punto a)”; “inoltre, per una parte di tali costi (L. 233.576.942 nell’anno 1998 e L. 471.789.549 nell’anno 1999) non si è riscontrato il requisito dell’inerenza (cfr. fg. 22 e 23 e fg. 24-25, sub punto b; e fg. 25, sub punto c)”; (d) “Conto Canoni di locazione di immobili da destinare a foresteria… ritenuti non inerenti (fg. 27- 28 p.v.c.)”; (e) “conto Carburante”: “costi … documentati con schede carburanti prive degli elementi prescritti dal D.M. 7 giugno 1977 (fg. 28-29 p.v.c.)”; (f) “conto Assicurazione”: (f1) “i costi di L. 353.328.698 e L. 143. 653.060 erano infatti relativi a contratti di capitalizzazione non deducibili, perchè riferiti a meri investimenti finanziari, ed a contratti di assicurazione stipulati a favore dell’amministratore o dei soci, in sostituzione dell’accantonamento di quote annuali per le indennità di fine rapporto e senza la costituzione di un apposito fondo a ciò destinato, ai sensi dell’art. 70, comma 3, cit. T.U.I.R. (fg.29-31 p.v.c.)”; (f2) “la somma di L. 20.000.000 riguardava… una polizza non documentata (fg. 32 p.v.c.)”; (3) omesso la “contabilizzazione di ricavi di L. 84.390.000 nell’anno 1998, per omessa fatturazione di operazioni di pari importo con i fornitori FILOM srl ed OPUS GAS METANO srl e di L. 103.169.000 per omessa fatturazione di operazioni di pari importo con la… FILOM srl (fg. 32-38 p.v.c.)” -, in forza di dieci motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 63/01/08 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia (depositata il 15 maggio 2008 e notificata il 2 ottobre 2008) che aveva recepito l’appello della contribuente avverso la decisione (223/19/06) della Commissione Tributaria Provinciale di Bari la quale, previa riunione, aveva respinto i ricorsi della società avverso i “due avvisi di accertamento” emessi dall’Ufficio in “consapevole adesione ai rilievi contenuti nel predetto p.v.c.” ai fini dell’IRPEG, dell’IRAP e dell’IVA relative agli anni d’imposta 1998 e 1999.

Nel controricorso la società intimata instava per il rigetto dell’avversa impugnazione; la stessa, di poi, il 14 ottobre 2010 depositava memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. La sentenza impugnata.

Con questa la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello della contribuente affermando, in primo luogo, che (in sintesi) “gli avvisi di accertamento, relativamente all’indeducibilità dei costi per operazioni ritenute fittizie, contrastano con il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39, comma 1, lett. c), e art. 41 bis, e si rivelano nel loro contenuto più vicini all’accertamento induttivo”, e di poi (espressamente “in ogni caso, anche a prescindere dalla qualificazione giuridica e dalla tipologia dell’accertamento in concreto adottata”) che “la fittizietà delle operazioni non risulta affatto provata dall’Ufficio” (per cui “gli avvisi vanno annullati alla luce del complessivo quadro istruttorie fattuale emerso soprattutto in questo grado di giudizio”).

A. “Quanto alla indeducibilità dei costi derivanti dalla fittizietà delle operazioni intervenute con le società cooperative ritenute inesistenti” il giudice di appello afferma che “l’argomento presuntivo di inesistenza risulta smentito dall’ampia e convincente documentazione versata in atti dalla ricorrente” (che “sia gli accertamenti che la sentenza non hanno preso in esame”):

– “l’affermazione dei primi giudici, secondo cui l’esistenza delle cooperative non può essere ricavata soltanto dalla iscrizione alla Prefettura, alla Camera di Commercio ed agli Enti Previdenziali, risulta monca in quanto omette di valutare l’incidenza sul piano probatorio della parte per cosi dire contabile prodotta dalla ricorrente ossia della prova dei pagamenti delle fatture risultanti dalle matrici degli assegni, dagli estratti conto bancari e dai libri mastro”;

– “la sentenza ha dichiarato la genericità del contenuto delle fatture mentre, come ha eccepito la ricorrente, l’Ufficio non ha mai contestato la genericità nè tale contestazione appare formulata dai verificatori”;

– “il pagamento delle fatture non è affatto l’unico elemento su cui si poggia la difesa della ricorrente” perchè “ad esso si accompagnano ulteriori elementi probatori di carattere documentale” (“esistenti agli atti e non contestati dall’Ufficio”), “dimostrativi della esistenza delle società cooperative e della effettività delle operazioni collegate ai contratti di appalto”, quali:

(1) “le deposizioni di n. 24 dipendenti delle tre società cooperative con le quali è intercorso il contratto di appalto raccolte nel corso dell’istruttoria del procedimento penale dal difensore del legale rappresentante prò tempore della società Lombardi Ecologia, ai sensi dell’art. 391 ter c.p.p.”;

(2) “l’atto di citazione… notificato alla Lombardi Ecologia in data 24 gennaio 2007 a cura del commissario liquidatore della società Interlabor”;

(3) “la sentenza del Tribunale di Bari emessa a conclusione del procedimento penale a carico del legale rappresentante della società Interlabor”;

(4) “il processo verbale di interrogatorio e informazione della Guardia di Finanza del 16 maggio 2006”;

(5) “l’istanza di accesso agli atti dell’Agenzia delle Entrate… del 29 novembre 2007 e le sue risultanze”;

(6) “le dichiarazioni di notorietà autenticate di alcuni dipendenti delle richiamate… cooperative”.

Per il giudice di appello tale “documentazione”, “unitamente” a quella (“peraltro già abbondante”) “esibita in primo grado”, “rende ragione delle eccezioni e dei motivi di ricorso relativamente a questo aspetto di contestazione delle ripresa dei costi indeducibili” in quanto:

(a) “dalle dichiarazioni rese dai dipendenti sia al difensore penale sia con atto di notorietà provvisto di autentica notarile nelle firme” non contestate dall’Ufficio; che possono “trovare ingresso nel processo tributario, alla luce della giurisprudenza sia della Corte Costituzionale (sent. n. 18/2000) che della Corte di Cassazione (sent. 21 aprile 2008 n. 10261), in quanto per il principio di parità delle armi possono ricevere identica valorizzazione processuale sia le dichiarazioni contenute nei p.v.c. della Guardia di Finanza sia le dichiarazioni rese da terzi in sede extra processuale, non essendoci violazione alla disciplina della prova testimoniale” “emerge che tutti quanti hanno lavorato alle dipendenze delle cooperative diversamente denominate e che le prestazioni sono state funzionali alle attività imprenditoriali della Lombardi Ecologia in derivazione del contratto di appalto”: “i dipendenti delle cooperative (… dichiarazioni rese da… R.G., C.P., V.P., M.M. ed altri) hanno dichiarato di aver lavorato, chi come manovale, chi come autista, chi come custode, nei cantieri della Lombardi Ecologia”;

(b) considerata la “pendenza del processo civile innanzi al Tribunale di Bari a seguito dell’azione promossa dalla Interlabor nei confronti della Lombardi Ecologia avente per oggetto il pagamento di Euro 855.000,00 a titolo di saldo delle prestazioni derivanti dall’appalto”, “non appare verosimile… che una società inesistente possa agire in giudizio senza prospettarsi gli esiti favorevoli del giudizio nel proprio patrimonio”;

(c) “con sentenza passata in giudicato, sia pur riguardante rapporti commerciali intercorsi tra la Interlabor ed altra società committente, il Tribunale di Bari ha assolto, tra gli altri, dall’imputazione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, comma 1, (emissione di fatture per operazioni inesistenti) il…

legale rappresentante della società Interlabor, perchè il fatto non sussiste”: “nonostante il giudicato penale non faccia stato nel processo tributario”, “non si può non riconoscere il valore indiziario della sentenza penale (Cass. 21 settembre 2007…)” essendo “significativo… che il giudice penale, pur dotato di invasivi poteri di indagine, non sia riuscito a rintracciare elementi di colpevolezza”;

(d) “dal processo di interrogatorio della stessa Guardia di Finanza delegata dal P.M. 9 giugno 2006” risulta, “in contraddizione al p.v.c. del 12 agosto 2001 della Guardia di Finanza”, che “le tre società cooperative hanno corrisposto somme agli Istituti previdenziali”, emergendo “dal verbale del 9 giugno… che a) contro la Midi Service pende un processo civile davanti al Tribunale di Bari per la morte di un dipendente della cooperativa; la stessa società Midi Service ha versato all’Inail dal 1996 al 2004 oltre Euro 46.000,00 ed all’Inps oltre Euro 6.000,00; b) la Cieffe, dal 1995 al 2000, ha versato all’Inail poco più di Euro 41.000,00; c) la Interlabor ha versato negli anni dal 1999 al 2001 all’Inps ed all’Inail complessivamente oltre Euro 100.000.000”;

(e) “dall’accesso effettuato dalla ricorrente all’Agenzia delle Entrate, ai sensi della L. n. 241 del 1990” (costituente “l’elemento di fatto di maggiore rilievo”) “è emerso che le… cooperative, in particolare la Cieffe e la Interlabor, risultano agli atti del Fisco avere effettuato pagamenti non solo agli Istituti previdenziali ed assistenziali ma anche all’erario a titolo di ritenute di acconto, per un carico complessivo di oltre 1 milione di Euro” (“sono presenti pagamenti con i codici 1001 e 1040 dimostrativi dell’esistenza di personale dipendente”): “poichè i dati dell’accesso non sono stati contraddetti o smentiti dall’Ufficio nel corso del giudizio, il Collegio ritiene soddisfacente il prospetto analitico esposto dalla ricorrente ed inutile la diretta acquisizione presso gli Uffici dell’Agenzia richiesta dalla ricorrente in via istruttoria”.

“L’enorme carico dei versamenti effettuati dalle cooperative ritenute cartiere dalla Guardia di Finanza”, secondo il giudice a quo, “smentisce in maniera certa ed inequivoca l’assunto della loro inesistenza e della fittizietà delle operazioni, in quanto notoriamente una cartiera è messa su per consentire a terzi illeciti profitti e poi scompare”: “l’avere, invece, le suddette cooperative assolto, anche se non interamente, a versamenti cospicui induce a ritenere sul piano della logica e della comune esperienza che le società siano esistenti e le operazioni realmente effettuate”.

“In sostanza”, secondo la Commissione Tributaria Regionale, “il giudizio di fatto relativamente alla effettività delle prestazioni” è “corroborato dall’intero quadro istruttorie, il quale deve ritenersi prevalente rispetto ai dati labili, platealmente contraddetti tanto dal materiale documentale offerto dalla ricorrente quanto dalle risultanze documentali provenienti dalla stessa Amministrazione Finanziaria (verbale del 9 giugno 2006 della P.T., e dati emergenti dall’esercizio dell’accesso), contenuti negli avvisi di accertamento, cosi che l’allegazione dei fatti da parte dell’Ufficio è risultata smentita”.

B. Sulla “ripresa degli ulteriori costi ritenuti indeducibili” il giudice di appello nota: (1) “costi di assicurazione” (“polizza assicurativa diretta a garantire il pagamento del TFR e trattasi di modalità invalsa nella prassi”): “il fatto che l’accantonamento del TFR sia versato al conto polizze assicurative non fa venir meno la deducibilità del costo in quanto beneficiario del TFR risulta sempre lo stesso soggetto beneficiario del contratto di assicurazione”;

“quel che rileva, pertanto, è la correlazione, quindi l’inerenza, del costo all’attività”; “del resto, la contestazione contenuta nel p.v.c. non è tanto relativa all’inerenza quanto alla competenza del costo poichè il rilievo dei verificatori si è attestato al riconoscimento della deducibilità del costo nei limiti della quota di competenza annuale”; “stante l’inerenza, il costo va riconosciuto”;

(2) “costi lavorazione terzi”: “esiste in atti la prova documentale, costituita dalla lettera del 20 ottobre 1997… con la quale l’Econova si impegna a fornire alla Lombardi Ecologia mezzi ed autisti per i lavori di trasporto”:

(a) “poichè il concetto di inerenza va riferito all’attività e poichè gli automezzi in questione non possono che essere utilizzati esclusivamente per l’attività di trasporto dei rifiuti e non è pensabile altra finalità, deve ritenersi deducibile il costo anche in mancanza della indicazione della targa”;

(b) “relativamente all’annualità 1998, la contestazione della violazione del principio di competenza riferita alla fornitura del periodo settembre-dicembre 1997 è inconferente e la deduzione del costo imputata all’esercizio 1998 risulta ammissibile ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 2, lett. b), vigente all’epoca, in quanto le spese di acquisizione costi e servizi si considerano sostenute alla data di maturazione dei corrispettivi”:

“poichè la fattura è stata emessa a febbraio 1998, il costo era deducibile in questo esercizio”;

(3) “costi di pubblicità”:

(a) tali “spese” (“tanto per il 1998 che per 1999”) vanno riferite (“ritiene di riferire”) “a quelle di pubblicità”, “in particolare…

di sponsorizzazione” (“come qualificate negli avvisi di accertamento”), perchè “derivanti da un contratto caratterizzato dal sinallagma tra lo sponsor ed il soggetto sponsorizzato” in quanto (“Ris. n. 9/204 del 17 giugno 1992 e n. 356/E del 14 novembre 2002”) “in forza del contratto di sponsorizzazione, le spese sono destinate a far conseguire maggiori ricavi allo sponsor e rientrano nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, comma 2”; la stessa, pertanto, “secondo la risoluzione agenziale, sono interamente deducibili poichè assimilate ai costi di pubblicità” perchè “l’esame della documentazione relativa a questa tipologia di costi”, infatti, “ha evidenziato che essi riguardano contributi per l’organizzazione di eventi ed intrattenimenti in occasione di manifestazioni fieristiche e non” (“… la Risoluzione dell’Agenzia n. 316/E del 2 ottobre 2002… ha qualificato come spese di pubblicità interamente deducibili quelle sostenute in occasione di un evento promozionale, indipendentemente dal fatto che gli eventi si siano realizzati non all’interno della fiera ma nello stesso ambito e occasione e… in base alla predetta risoluzione devono essere considerate oggi spese di pubblicità i contributi versati per l’organizzazione di eventi, spettacoli ed intrattenimenti gratuiti, anche se non direttamente collegati con l’attività della società se sostenute nell’ambito di manifestazioni fieristiche o eventi commerciali”), “esse assumono la stessa natura promozionale del contenitore nell’ambito del quale sono inserite in quanto risulta comunque sussistente il requisito dell’inerenza con l’attività esercitata senza necessità di ulteriore analisi”:

“l’esame della documentazione offerta ha confermato la deducibilità dei costi in quanto aventi la finalità promozionale”);

(b) per “le spese di sponsorizzazione a manifestazioni sportive svoltesi a cavallo di due esercizi” (“riprese a tassazione sostenendo che esse andassero ripartite in relazione alla durata dei campionati”), “il principio di competenza è stato rispettato, attesa l’unicità della manifestazione sportiva e l’impossibilità dell’applicazione di un diverso criterio che consenta di frazionare il costo per periodi diversi dall’anno”;

(4) “costi di manutenzione e riparazione”: “dai libretti di circolazione degli automezzi societari versati in atti (… a titolo esemplificativo i libretti n. (OMISSIS) Iveco Fiat 175, n. (OMISSIS) Iveco Fiat 145), risulta assolta la prescrizione di cui al D.M. 13 luglio 1981 poichè sui libretti v’è la seguente annotazione autoveicolo per trasporto specifico uso di terzi”;

(5) “costi carburante” (“recuperati a tassazione per essere le schede prive dei dati identificativi dell’automezzo, del numero dei km percorsi a fine mese e del numero dei km finali rilevabili dal contachilometri”): “risultano depositate in atti centinaia di schede carburanti recanti l’indicazione su ognuna di esse della società Lombardi Ecologia srl, della targa dell’automezzo e dei numero dei km percorsi”; “la ripetitività delle schede relative allo stesso automezzo, consente di ritenere deducibile il costo del carburante anche per quelle residuali schede che non contengono l’indicazione della percorrenza, in quanto…, una volta identificata l’appartenenza del bene alla società, risulta osservato il requisito dell’inerenza”; “questo concetto, infatti, va fiscalmente correlato non tanto al reddito quanto all’attività e, una volta acclarata la strumentalità degli automezzi all’esercizio dell’attività d’impresa, i costi sono legittimamente deducibili”;

(6) “ripresa degli elementi positivi di reddito”: “la ricorrente ha prodotto l’estratto del libro mastro sul quale sono riscontrati gli importi delle somme erogate a titolo di finanziamento dalla Lombardi Ecologia alla Filom ed all’Opus Gas e da queste ultime restituite” per cui (“al di là delle eventuali irregolarità contabili non provate”) si deve escludere “la natura di ricavi delle predette somme e la loro correlazione all’attività d’impresa” anche perchè “nello stesso avviso di accertamento per il 1998, relativamente al rapporto con Opus Gas Metano, l’Ufficio da atto che la Lombardi ha eseguito una compensazione tra crediti e debiti non, vietata mentre ha soltanto prospettato una violazione formale alla previsione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 45, che in realtà regolamenta altra disciplina”: “si ritiene di escludere in ogni caso che tutte le somme in questione potessero costituire ricavi da esporre in dichiarazione, in quanto acclarata la natura gratuita del trasferimento di danaro”.

p.2. Il ricorso dell’Agenzia.

L’Agenzia impugna tale decisione con dieci motivi.

A. Con il primo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. c), e dell’art. 41 bis, in relazione all’art. 39, comma 1, lett. d), dello stesso D.P.R., ed ai principi generali in tema di accertamento e di contenzioso tributario” e chiede (“quesito di diritto”):

“se… possa ritenersi viziato di nullità un avviso di accertamento emesso con metodo analitico dall’Ufficio impositore per il recupero a tassazione delle imposte evase da una società, per il solo fatto che tale atto abbia indicato, quale presupposto normativo del potere impositivo esercitato, una norma di legge diversa da quella che, di fatto, legittimava comunque l’adozione del provvedimento impugnato”.

B. Con il secondo motivo l’Agenzia – allegati i “ricorsi introduttivi…, in omaggio al principio di autosufficienza (cosi come talvolta interpretato ed applicato)” – denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., comma 1”, per “extrapetizione nella parte in cui” la sentenza impugnata “ha annullato gli avvisi di accertamento anche” in relazione ai “recuperi… per l’indebita deduzione di spese di locazione, per l’ammontare di L. 11.700.000 nell’anno 1998 e di L. 15.600.000 nell’anno 1999” assumendo che tali recuperi “non hanno formato oggetto di impugnazione”; formula, quindi, questo “quesito di diritto”:

“se incorra nel vizio di extrapetizione il giudice tributario che annulli integralmente gli atti impositivi impugnati, anche se alcuni recuperi di imposta in essi contenuti non abbiano costituito oggetto dei motivi di ricorso del contribuente”.

C. Con la terza doglianza l’amministrazione pubblica denunzia “insufficiente motivazione… sull’esistenza delle Cooperative Midi Service, Cieffe ed interlabor e, per l’effetto, delle operazioni con le stesse intercorse” esponendo:

– i “giudici di merito… non hanno colto l’effettiva natura della questione controversa” atteso che “non si trattava di stabilire se le tre cooperative… avessero o meno una loro formale struttura…

ma… di valutare se questa struttura e le connesse operazioni commerciali rispondessero o meno ad effettive esigenze di razionalità economica, o fossero piuttosto finalizzate al perseguimento di illeciti vantaggi fiscali”, ovverosia di “stabilire”, in base ai “consolidati principi affermati” da questa Corte (“Cass., 15 maggio 2008 n. 12237”: “l’elaborazione giurisprudenziale comunitaria e nazionale in tema di abuso di diritto, inteso come ricorso a forme o strumenti giuridici che, seppure legali, consentono di eludere il fisco, mediante operazioni non simulate ma realmente volute ed immuni da invalidità, effettuate, però, essenzialmente allo scopo di trame un vantaggio fiscale, impone di cogliere la vera natura della prestazione e di stabilirne l’assoggettabilità ad imposizione nello Stato in cui è resa, in relazione al suo effettivo contenuto”), “se… sussistesse o meno una premeditata organizzazione diretta a realizzare forme di evasione fiscale di ingenti dimensioni” tenuto conto che:

(a) “non è stata individuata la sede di nessuna delle tre società… fornitrici della manodopera”;

(b) “anche nell’anno 1997 la… MIDI Service srl non aveva sede…

ma… un semplice recapito postale”, “come accertato dalla precedente sentenza n. 22/07/04” (“confermata” da questa Corte “con la sentenza n. 20419/07”), dalla quale emergeva anche (b1) che detta società “non aveva locali adibiti a sede”, (b2) che “il Presidente del Consiglio di Amministrazione… non ha mai partecipato ad assemblee”, (b3) che “l’unico contatto fisico” tra detto Presidente “con i membri della cooperativa è stato quello con il commercialista della stessa, Ma.”, (b4) che secondo il “fax 13 marzo 2004 dell’ENEL… la MISI Service coop. r.l. non è mai esistita fra i clienti ENEL”, (b5) che “irreperibilità” di quella società “si evinceva anche dalla…

nota del 29 maggio 2001” della “Direzione Provinciale del Lavoro”, (b6) che “l’effettiva sede operativa della MIDI, Service è sita…

presso la Lombardi Ecologia”;

(c) “non è stato possibile reperire nessuna documentazione contabile e fiscale riguardante la soc. MIDI Service e CIEFFE (… PVC…)”;

(d) “la documentazione prodotta… dal rag. Ma. per conto della sola soc. INTERLABOR presentava una palese discordanza rispetto alle medesime fatture ritrovate nella contabilità della LOMBARDI ECOLOGIA srl” (“le fatture esibite… recano tutte… l’indirizzo di (OMISSIS)… comprese quelle emesse… quando la sede legale era ubicata in Via (OMISSIS)”; “le fatture rilevate presso la Lombardi Ecologica srl recano, per la maggior parte, l’indirizzo di via (OMISSIS)… anche quelle emesse successivamente al cambio di domicilio fiscale”);

(e) “la gestione delle tre cooperative era affidata allo stesso rag. Margotta… come pure accertato dalla… sentenza n. 22/7/04”;

(f) “la girandola delle cooperative si evince anche dalle dichiarazioni di 24 dipendenti raccolte in sede penale”, nella quali “numerosi dipendenti hanno sostenuto di aver lavorato, in rapida e mutevole successione, per le soc. Ecoservice, Midi Service, Cieffe ed Interla-bor…”;

(g) ” D.M.D.”, “sindaco effettivo” e “responsabile dell’impiego degli operai dell’INTERLABOR presso le discariche”, “come dichiarato da… B.P.” (“impiegato tecnico”), “era onnipresente… dal 1996 al 2001, nonostante il succedersi delle varie cooperative”.

In conclusione, per l’Agenzia “l’irreperibilità delle sedi delle cooperative, l’in operatività degli organi statutari, la girandola delle sostituzioni, l’unitarietà della gestione, la coincidenza delle sedi operative con quella dell’… intimata, costituiscono elementi idonei a dimostrare gli artifici posti in essere per decrementare il reddito con costi ed oneri che non hanno costituito oggetto di tassazione per il soggetto percipiente”.

D. Con il quarto motivo l’Agenzia sostiene che “la sentenza della C.T.R. si rivela erronea nella parte in cui ritiene illimitatamente deducibili, perchè inerenti, i costi delle assicurazioni stipulate dalla contribuente a favore dei propri soci e dipendenti, in sostituzione del trattamento di fine rapporto” e denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 70 e 75” affermando:

– “tale costo deve ritenersi deducibile nei soli limiti delle quote di accantonamento delle quote di trattamento di fine rapporto che la contribuente avrebbe dovuto effettuare ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 70”;

– “al di là di tale limite, il costo delle polizze non può ritenersi inerente all’attività di impresa, perchè non equivale all’adempimento di un onere imposto per legge, ma tende ad assicurare un beneficio ulteriore ai diretti beneficiari”.

La ricorrente aggiunge che “l’onere della prova del limite di deducibilità… incombe sul contribuente che invoca il diritto alla deduzione” (“in questo senso si è già espressa questa Corte con la sentenza n. 20419/07…, secondo cui le ragioni addotte dalla società… non possono giustificare la deduzione dei premi assicurativi nella loro interezza”) per cui “correttamente tali premi assicurativi venivano recuperati a tassazione per l’intero, mancando la prova della misura dell’accertamento deducibile”.

In conclusione l’Agenzia chiede (“quesito di diritto”).

“se… i costi delle polizze assicurative stipulati da una società a favore dei dipendenti in sostituzione dell’accantonamento delle quote per il trattamento di fine rapporto, siano deducibili nei soli limiti delle quote che la stessa società avrebbe dovuto accantonare se non avesse fatto ricorso al metodo alternativo della stipula di un contratto assicurativo, e se incomba sul contribuente l’onere di dimostrare la misura della deducibilità, in corrispondenza con l’ammontare della quota che si sarebbe dovuta accantonare in funzione della liquidazione del trattamento di fine rapporto”.

E. Con la quinta censura l’amministrazione ricorrente denunzia “insufficiente motivazione” in ordine ai “costi per assicurazioni” assumendo che “la sentenza della C.T.R.” (a) “non verifica se tali costi fossero effettivamente documentati, sebbene l’Ufficio avesse contestato la totale mancanza di documentazione giustificativa in relazione ad una somma di L. 20.000.000 portata in deduzione nell’anno 1999” e (b) “travisa le effettive ragioni della pretesa impositiva allorchè afferma, contrariamente al vero, che l’Ufficio avesse operato il rilievo per ragioni inerenti alla competenza, piuttosto che alla inerenza del costo”.

F. Con la sesta doglianza l’Agenzia – esposto esser “pacifico che trattavasi di prestazione di servizi (… di automezzi ed autisti per lavori di trasporto) effettuata nel periodo settembre – dicembre 1997” – contesta l’annullamento della “ripresa a tassazione dei costo di L. 20.000.000, ritenuto non di competenza dell’esercizio, per il pagamento della fattura n. (OMISSIS) del 9 febbraio 1998 emessa dalla soc. ECONOVA s.r.l. per prestazioni di servizio effettuate nel periodo settembre-dicembre 1997” e denunzia, in ordine all’affermazione del giudice a quo per la quale “la contestazione della violazione del principio di competenza…è inconferente e la deduzione del costo imputata all’esercizio 1998 risulta ammissibile ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 2, lett. b), vigente all’epoca, in quanto le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute alla data di maturazione dei corrispettivi” (per cui “poichè la fattura, è stata emessa a febbraio 1998, il costo era deducibile in questo esercizio”), “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 15, comma 2, n. 2” adducendo che “la pronuncia è contraria al letterale disposto dell’art. 15, comma 2, lett. b), cit. T.U.I.R., secondo il quale il corrispettivo delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate” per cui “il costo era di competenza del precedente esercizio”.

A conclusione l’Agenzia chiede (“quesito di diritto”).

“se i costi relativi a prestazioni di servizio siano di competenza dell’esercizio in cui le prestazioni sono state ultimate, anzichè…

di quello in cui viene emessa la fattura di pagamento”.

6. Con il settimo motivo la ricorrente denunzia che la Commissione Tributaria Regionale ha “omesso ogni motivazione in merito alle altre ragioni che imponevano la rideterminazione della quota effettivamente deducibile”, specificamente in ordine alla “mancanza della documentazione giustificativa di alcuni costi di pubblicità”, alla “deducibilità in misura di 1/5, anzichè di 1/3″, all'”indebita deduzione del costo di L. 380.000.000 : 3 = L. 126.666.666, riguardante una fattura riguardante costi di manutenzione e contabilizzata una seconda volta nel conto manutenzione, come fattura da ricevere”.

H. Con l’ottavo motivo l’Agenzia denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.”, sul “sul punto relativo alla deduzione delle spese di pubblicità nell’anno 1999” (“L. 495.929.443”) assumendo che “l’appello della contribuente conteneva un sia pur parziale riconoscimento della fondatezza di tale rilievo” in quanto “nell’avverso atto di appello” (“parte finale del 3, sub lett. C”) “si legge… con riferimento all’annualità 1999, l’avvenuta deduzione nelle diverse percentuali di 1/3 per il primo anno e nei due successivi per il residuo ammontare deve portare, in sede di rideterminazione della misura della deduzione del costo, ad un risultato che tenga conto quanto meno della percentuale effettivamente spettante. Ovvero:

a) saldo contabile L. 1.938.777.013;

b) (-) costi erroneamente annotati L. 380.000.000;

Totale costi di competenza deducibili L. 1.558.777.013;

Quota imputabile al C. E. (1/5 art. 74 cit. T.U.I.R.) L. 311.755.403 Di conseguenza:

Quota imputata al C. E. dalla società L. 646.259.004;

(-) quota deducibile L. 311.755.403;

Differenza da recuperare L. 344.503.601”.

L’Agenzia, quindi, formula questo “quesito di diritto”:

“se incorra nel vizio di extrapetizione il giudice tributario che annulli integralmente un recupero di imposta dell’Ufficio impositore, sebbene il contribuente abbia riconosciuto la parziale fondatezza di tale recupero”.

I. Con il nono motivo la ricorrente – esposto aver l’Ufficio prospettato, “per quanto attiene alla deduzione dei costi di manutenzione e riparazione”, un “duplice ordine di questioni” avendo (a) contestato “l’applicabilità della percentuale di deducibilità del 25% del valore dei beni ammortizzabili (in luogo di quella del 5% prevista in via generale dall’art. 61, comma 7, cit. T.U.I.R.), per inosservanza delle disposizioni contenute nel D.M. 13 luglio 1981, art. 2” e (b) osservato che “una parte dei costi di manutenzione (pari a L. 233.576.912 nell’anno 1998 ed a L. 471.789.549 nell’anno 1999) non era deducibile per mancanza del requisito dell’inerenza” perchè “tali costi si riferiscono in parte a manutenzioni e riparazioni effettuate su beni non inseriti nel registro beni ammortizzabili, in parte a beni non specificamente individuati, in parte a beni di proprietà di terzi, tenuti in comodato gratuito, in parte a prestazioni individuate in modo generico (cfr. allegati 5 ed 8 al p.v.c.)” – denunzia “omessa motivazione” assumendo che la Commissione Tributaria Regionale ha “annullato l’intero rilievo facendo riferimento al solo tema della inosservanza delle disposizioni del D.M. 13 luglio 1981, art. 2” (“nel presupposto che le annotazioni contenute nel libretto di circolazione degli automezzi assoggettati a manutenzione fornissero garanzie analoghe a quelle richieste dalla citata disposizione regolamentare”) senza “nessun cenno… agli ulteriori ed autonomi motivi, specificati alla precedente lettera b)” (“che… giustificavano il recupero a tassazione dei costi in questione”) anche se “nel proprio appello la contribuente non aveva contestato le ulteriori, autonome ragioni, indicate alla precedente lettera b), che giustificavano il parziale recupero a tassazione dei costi di manutenzione e riparazione”.

L. Con il decimo (ultimo) motivo l’Agenzia sostiene che “la sentenza della C.T.R. è erronea anche nella parte in cui ritiene che, al fine di giustificare la deduzione dei costi di acquisto del carburante per autotrazione, è sufficiente l’identificazione del veicolo utilizzato per il trasporto, indipendentemente dalla corretta annotazione dei chilometri percorsi e del numero dei chilometri rilevabili dal contachilometri nella scheda carburanti” e denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 15, e…

D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, in relazione alla L. 21 febbraio 1977, n. 31, art. 2; al D.M. 7 giugno 1977; alla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 137, lett. d), ed al D.P.R. 10 novembre 1997, n. 444” esponendo:

– “la mancata annotazione, nelle schede carburanti, di uno degli elementi essenziali previsti dal D.P.R. 10 novembre 1997, n. 444, che ha innovato la normativa concernente il contenuto e le modalità di compilazione delle schede carburanti”;

– “in particolare, la mancata annotazione, a fine mese, dei chilometri percorsi e del numero dei chilometri finali rilevabili dal contachilometri rende il costo privo del requisito della determinabilità e dell’inerenza”. – “la disposizione contenuta nel D.P.R. n. 444 del 1997, che ha previsto tale adempimento in aggiunta a quelli già esistenti, è ispirata a motivi di cautela fiscale ed è diretta a facilitare l’accertamento del consumo del veicolo in rapporto ai chilometri percorsi, nonchè ad evitare artificiose ricostruzioni postume del contenuto della scheda (circ. min. del 12 agosto 1998, n. 205/E)”; – “in tal senso è orientata anche la giurisprudenza di questa…

Corte, secondo cui “in tema di IRPEG, la possibilità di detrarre dall’imposta dovuta quella assolta per l’acquisto dei carburanti destinati ad alimentare i mezzi impiegati per l’esercizio dell’impresa è subordinata olfatto che le cosiddette schede carburanti, che l’addetto alla distribuzione è tenuto a rilasciare, siano complete in ogni loro parte e debitamente sottoscritte, senza che l’adempimento, a tal fine disposto, ammetta equipollente alcuno e indipendentemente dall’avvenuta contabilizzazione dell’operazione nelle scritture dell’impresa (Cass., 5 novembre 2008, n. 26539…

Cass., 19 ottobre 2007, n. 21941)”.

La doglianza si conclude con questo “quesito di diritto”:

“se sia deducibile il costo sostenuto per l’acquisto di carburanti e se sia detraibile l’I.V.A. relativa nel caso di incompleta redazione della scheda carburanti disciplinata dal D.P.R. n. 444 del 1997 (in particolare, in caso di mancata indicazione della percorrenza e del numero dei chilometri indicato dall’apposito contachilometri del veicolo utilizzato per il trasporto)”.

p.3. Le ragioni della decisione.

Il primo ed il secondo motivo del ricorso dell’Agenzia sono inammissibili; il quarto, il sesto ed il decimo, invece, vanno accolti; tutti gli altri si rivelano infondati.

A. In via preliminare va ricordato:

(1) il ricorso per cassazione – in ragione del principio, desumibile dall’art. 366 c.p.c., detto di autosufficienza – deve contenere in sè (Cass.: trib., 26 giugno 2009 n. 15138; 3^, 24 maggio 2006 n. 12362; 2^, 4 aprile 2006 n. 7825; 3^, 20 gennaio 2006 n. 1113; id., I, 21 ottobre 2005 n. 20454), a espressa “pena di inammissibilità”, tutti gli elementi necessari a rappresentare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere a questa Corte la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio o di accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o ad atti attinenti al pregresso giudizio di merito;

(2) il vizio di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) consiste (Cass.: 3^, 17 luglio 2009 n. 16739; 3^, 13 maggio 2009 n. 11097; 3^, 5 giugno 2007 n. 13066;

trib., 10 febbraio 2006 n. 2935; trib., 20 gennaio 2006 n. 1127;

trib., 9 novembre 2005 n. 21767; trib., 1^, 11 agosto 2004 n. 15499) nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa Corte dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65) mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa;

(3) detto vizio, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità (Cass., 2^, 12 febbraio 2004 n. 2707; id., 2^, 26 gennaio 2004 n. 1317), dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione;

(4) il vizio di omessa o di insufficiente motivazione (denunciabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) sussiste soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione adottata (Cass., lav., 12 agosto 2004 n. 15693; id., lav., 9 agosto 2004 n. 15355);

(5) questi vizi motivazionali non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte perchè spetta solo a detto giudice (1) individuare le fonti del proprio convincimento, (2) valutare le prove, (3) controllarne l’attendibilità e la concludenza, (4) scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, (5) dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi (non ricorrenti nella specie) tassativamente previsti dalla legge in cui è assegnato alla prova un valore legale;

(6) il ricorrente che nel giudizio di legittimità deduca l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie ha l’onere (Cass.: un., 5 giugno 2008 n. 14824; 3^, 29 marzo 2007 n. 7767; 3^, 28 giugno 2006 n. 14973), sempre in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (art. 366 c.p.c.), di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non valutate o mal valutate, nonchè di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse atteso che il mancato esame di una (o più) risultanze processuali può dar luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione unicamente se quelle risultanze processuali non valutate o mal valutate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre sulle quali il convincimento si è formato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cass.: 3^, 22 febbraio 2010 n. 4205; 2^, 17 febbraio 2004 n. 3004).

B. Al ricorso in esame, perchè proposto avverso sentenza depositata dopo il 2 marzo 2006 e prima del 4 luglio 2009 giorno di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, che, con il suo comma 1, lett. d), ha espressamente “abrogato” l’art. 366 bis c.p.c., si applica sia la complessiva disposizione dettata dalla norma poi abrogata che il disposto dell’art. 369 c.p.c..

B.1. A mente del comma 2, n. 4, di quest’ultimo articolo (sostituito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7), invero, “insieme col ricorso debbono essere depositati,… a pena d’improcedibilità:…

4) gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” : per la norma, quindi, gli atti processuali ritenuti necessari devono essere specificamente e nominativamente depositati (insieme con il ricorso per cassazione e nello stesso termine) anche (Cass., trib., 12 gennaio 2010 n. 303) in caso di denuncia di “error in procedendo” in quanto la norma non distingue tra i vari tipi di censura proposta; conseguentemente (Cass., un., 14 ottobre 2009 n. 21747, per la quale è necessario ” a tal fine un atto specifico di deposito… non potendo bastare la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito”) non soddisfa detti requisiti la mera, generica ed omnicomprensiva indicazione, nel ricorso per cassazione, di produzione degli atti dei gradi di merito.

B.2. L’art. 366 bis c.p.c., a sua volta, dispone (va):

(1) che “nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo” del detto ricorso “si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto” mentre (2) “nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contrad- dittoria, ovvero te ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”.

B.2.1. Per la prima parte della norma (“casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4”), “affinchè il quesito di diritto” dalla stessa previsto “… abbia i requisiti idonei ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, è necessario che siano enunciati gli errori di diritto in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, richiamando le relative argomentazioni, e sia prospettata la diversa regula iuris da applicare alla fattispecie, di cui si chiede l’enunciazione a questa Corte” (Cass., un., 2 dicembre 2008 n. 28547, che richiama “Cass. S.U. 14.2.2008, n. 3519”): un “motivo” di ricorso per cassazione, quindi, è “inammissibile” ogni volta che l’afferente “quesito di diritto… si esaurisce in una enunciazione di carattere generale ed astratto che, in quanto priva di qualunque indicazione sul tipo di controversia e sulla riconducibilità alla fattispecie, non consente di dare alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente”;

“il quesito”, pertanto (Cass., un., 11 marzo 2008 n. 6420), non può “essere desunto o integrato dal motivo” essendo (Cass., un., 5 febbraio 2008 n. 2658) “la norma…finalizzata a porre questo giudice della legittimità in condizione di comprendere, in base alla sola sua lettura, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e di rispondere al quesito medesimo enunciando una regula iuris”.

Parimenti “inammissibile (vedi Cass. ord. n. 19769/2008)” per la disposizione in esame è (Cass., un., 24 marzo 2009 n. 7032) “il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere a questa S.C. puramente e semplicemente di accertare…se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge”.

In definitiva (Cass., un., 24 dicembre 2009 n. 27 368) “ciascun motivo di ricorso” deve “consentire l’individuazione del principio di diritto censurato posto dal giudice a quo alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del principio, diverso da quello, la cui auspicata applicazione ad opera di questa Corte… possa condurre ad una decisione di segno inverso” : “ove tale articolazione logico- giuridica mancasse, infatti, il quesito si risolverebbe in un’astratta petizione di principio, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio ad opera della Corte, in funzione nomofilattica”.

B.2.2. Per la seconda parte del medesimo art. 366 bis c.p.c., poi ed infine (Cass., un., 30 luglio 2008 n. 20603 e 1 ottobre 2007 n. 20603), ogni “censura” fondata su di un “caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5” deve contenere “un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. sez. un. 1^ ottobre 2007, n. 20603)”.

C. Nel caso il quesito di diritto formulato a conclusione del primo motivo di ricorso (“se… possa ritenersi viziato di nullità un avviso di accertamento emesso con metodo analitico dall’Ufficio impositore per il recupero a tassazione delle imposte evase da una società, per il solo fatto che tale atto abbia indicato, quale presupposto normativo del potere impositivo esercitato, una norma di legge diversa da quella che, di fatto, legittimava comunque l’adozione del provvedimento impugnato”), invero, investe una complessa motivazione della sentenza impugnata che, però, quand’anche di accoglimento di (in dichiarata adesione ad) uno specifico motivo di ricorso della contribuente – ovverosia dei “preliminari motivi” di “nullità degli accertamenti” perchè “in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. c), e art. 41 bis”, per “arenza dei presupposti previsti dalle due norme perchè l’Ufficio possa procedere col metodo analitico o con l’accertamento parziale” -, non assume alcun rilievo ai fini della decisione adottata dal giudice di appello perchè nessun punto della stessa trova il suo fondamento giuridico e/o fattuale su quel preliminare esame e, soprattutto, sulla (innanzi riportata) conclusione finale secondo la quale “gli avvisi di accertamento, relativamente all’indeducibilità dei costi per operazioni ritenute fittizie, contrastano con il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39, comma 1, lett. c), e art. 41 bis, e si rivelano nel loro contenuto più vicini all’accertamento induttivo”: la Commissione Tributaria Regionale, infatti, come evidenziato, ha adottato la sua decisione circa la “fittizietà delle operazioni” contestate “anche” (“in ogni caso”) “a prescindere dalla qualificazione giuridica e dalla tipologia dell’accertamento in concreto adottata”, quindi indipendentemente da dette “qualificazione… e tipologia”.

Discende da tanto l’inesistenza (a parte quello, allo stato del tutto sterile, meramente teorico) di qualsivoglia concreto ed effettivo interesse (art. 100 c.p.c.) della ricorrente a (contrastare e) contestare un’affermazione sostanzialmente irrilevante, essendo l’eventuale fondamento della doglianza comunque del tutto inidonea a determinare, di per sè sola, una decisione diversa, in qualche modo favorevole, alla ricorrente stessa.

D. Anche il secondo motivo “se incorra nel vizio di extrapetizione il giudice tributario che annulli integralmente gli atti impositivi impugnati, anche se alcuni recuperi di imposta in essi contenuti non abbiano costituito oggetto dei motivi di ricorso del contribuente”) – in ordine al quale va precisato che il disposto dell’art. 366 c.p.c., non può affatto ritenersi osservato con la mera integrale allegazione del conferente atto processuale (nel caso, dei “ricorsi introduttivi”) in quanto, tenuto conto del potere dispositivo delle parti e della posizione di terzietà del giudice (art. 111 Cost.), il senso della norma è di imporre alle parti (e solo ad esse), mai di consentire a questa Corte (in sostituzione e/o in aiuto della stessa), di individuare i punti specifici di fatto (quand’anche contenuti nell’atto riprodotto e documentati dallo stesso) che intende sottoporre al giudice di legittimità per confortare la sua impugnazione – si rivela infondato in forza del (condiviso) principio secondo cui la individuazione della “portata precettiva della sentenza” (anche del giudice tributario: Cass., trib.: 16 ottobre 2006 n. 22148, da cui gli excerpta, e 25 gennaio 2008 n. 1604, ex plurimis), ovverosia del concreto “comando giudiziale” contenuto nella stessa, va operata “tenendo conto non solo delle statuizioni formali contenute nel dispositivo, ma anche delle enunciazioni della motivazione dirette in modo univoco all’attribuzione di un diritto ad una delle parti” (cfr., per il processo civile ordinario, tra le recenti, Cass., 3^, 12 febbraio 2010 n. 3362 che richiama “Cass.: 3^, 29 settembre 2007 n. 20594 e un., 27 gennaio 2004 n. 1416”).

Nella specie siffatta doverosa lettura evidenzia che gli specifici “recuperi di imposta” costituiti dell'”indebita deduzione di spese di locazione, per l’ammontare di L. 11.700.000 per l’anno 1998 e di L. 15.600.000 per l’anno 1999″ (oggetto della doglianza) non risultano mai menzionati (nè individuati) come oggetto del giudizio sottoposto all’esame del (e/o reso) dal giudice del merito per cui è necessitato inferire che l’annullamento degli atti impugnati pronunciato da quel giudice riguarda unicamente i recuperi specificamente considerati in motivazione e non anche quelli de quibus perchè questi non sono stati mai considerati oggetto del thema decidendi.

Il vizio denunziato, pertanto, risulta inesistente per mancanza di oggetto.

E. L'”insufficiente motivazione” (quindi un vizio riconducibile alla fattispecie regolata dall’art. 360 c.p.c., n. 5) “sull’esistenza delle Cooperative Midi Service, Cieffe ed Interlabor e, per l’effetto, delle operazioni con le stesse intercorse” – denunziata con il terzo motivo di ricorso dall’amministrazione sull’asserzione che i “giudici di merito… non hanno colto l’effettiva natura della questione controversa” (specificando che “non si trattava di stabilire se le tre cooperative… avessero o meno una loro formale struttura… ma… di valutare se questa struttura e le connesse operazioni commerciali rispondessero o meno ad effettive esigenze di razionalità economica, o fossero piuttosto finalizzate al perseguimento di illeciti vantaggi fiscali”) -, giusta i principi regolanti i vizi motivazionali (“omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ) richiamati innanzi (punto A), si rivela insussistente.

E.1. Con le sentenze 23 dicembre 2008 nn. 30055, 30056 e 30057 – i cui principi sono stati ribaditi in seguito anche da questa sezione nella decisione 9 dicembre 2009 n. 25726 -, ben vero, le sezioni unite di questa Corte dichiaratamente aderendo “all’indirizzo di recente affermatosi nella giurisprudenza della sezione tributaria (…, da ultimo, Cass. 10257/08, 25374/08)” hanno confermato l'”esistenza”, nel vigente ordinamento fiscale, di un “generale principio antielusivo” la cui “fonte”, “in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano”, condivisibilmente osservando che “i principi di capacità contributiva… e di progressività dell’imposizione” di cui all’art. 53 Cost. n costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla più piena attuazione di quei principi” per cui “non può non” (quindi deve) “ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”: “nè”, si è aggiunto, “siffatto principio può in alcun modo ritenersi contrastante con la riserva di legge in materia tributaria di cui all’art. 23 Cost., in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali”.

Nelle medesime decisioni, inoltre, si è precisato che “il tema relativo all’esistenza, validità e opponibilità all’amministrazione del negozio” da cui deriva, nella sostanza, la pretesa fiscale “è acquisito al processo per effetto dell’allegazione da parte del contribuente” e che da tanto discende la “sicura rilevabilità d’ufficio delle eventuali cause di invalidità o di inopponibilità all’amministrazione del contratto stesso” “sempre che, ovviamente, ciò non sia precluso, nella fase di impugnazione, dal giudicato interno eventualmente già formatosi sul punto o (nel giudizio di legittimità) dalla necessità di indagini di fatto”.

E.2. Siffatti principi, però, si rivelano inapplicabili alla concreta fattispecie, fondatamente perchè la ricorrente non ha neppure allegato (essendosi limitata a supporre un obbligo del giudice di verificare, comunque ed in astratto, se le stesse “rispondessero o meno ad effettive esigenze di razionalità economica, o fossero piuttosto finalizzate al perseguimento di illeciti vantaggi fiscali”) quale sia, in effetti, il “risparmio fiscale” tratto dalla contribuente dalle contestate “operazioni commerciali” poste in essere con le cooperative: segnatamente quale fosse l’irrazionalità “economica” di quelle operazioni che il giudice del merito avrebbe dovuto rilevare e valutare.

Va, peraltro, messo in evidenza che il (condiviso) principio affermato da questa sezione nella sentenza 15 maggio 2008 n. 12237 in tema di “abuso di diritto” (espressamente invocato dalla ricorrente) si riferisce ad (e, quindi, suppone necessariamente che si sia in presenza di) “operazioni non simulate ma realmente volute ed immuni da invalidità”, quand’anche “effettuate… essenzialmente allo scopo di trame un vantaggio fiscale”: di conseguenza è del tutto inammissibile (per ovvia incompatibilità logica) invocare il mancato riscontro di eventuale “abuso di diritto” ed esporre ragioni di doglianza (“irreperibilità delle sedi delle cooperative”;

“inoperatività degli organi statutari”; “girandola delle sostituzioni”; “unitarietà della gestione” e “coincidenza delle sedi operative con quella dell’… intimata”) che, all’evidenza, si risolvono unicamente nella contestazione del convincimento espresso dal giudice del merito circa la effettività, materiale e giuridica, delle “operazioni commerciali” intercorse tra le cooperative e la contribuente.

E.3. L’analisi complessiva del motivo di doglianza, peraltro e comunque, non pone in luce nè l’esistenza di fatti non considerati o malamente valutati dal giudice del merito nè evidenzia vizi logici nel ragionamento ricostruttivo dello stesso giudice, ma espone soltanto la diversa (però interessata) opinione della ricorrente circa la valenza probatoria di quegli elementi:

la Commissione Tributaria Regionale, infatti, come riportato, ha specificamente analizzato tutti i concreti elementi di fatto sottoposti al suo esame e correttamente posto a fondamento del suo giudizio, in particolare, il fatto dell’avvenuto pagamento (parziale ma ritenuto cospicuo), da parte delle cooperative, di contributi previdenziali agli enti preposti, oltre che (per alcune) anche delle imposte afferenti le operazioni commerciali compiute.

E.4. In fine, deve sottolinearsi l’irrilevanza del giudicato (specificamente quanto alla dichiarazione di rigetto, ivi contenuto, della “censura” della contribuente, ricorrente in quel processo, di “omesso esame della copiosa documentazione” in ordine alla “effettività delle operazioni contestate”) conseguente alla decisione n. 20419 resa inter partes da questa Corte il 28 settembre 2007 in quanto tale statuizione concerne una annualità d’imposta diversa da quella oggetto di questo giudice e non è, pertanto, idonea a produrre effetti ostativi di un accertamento fattuale diverso perchè relativo ad una annualità differente: “nessun contrasto di giudicati”, infatti (Cass., trib., 3 agosto 2007 n. 17137, da cui gli excerpta; cfr., anche Cass., trib., 30 maggio 2003 n. 8709) “è ipotizzatile fra decisioni concernenti diverse annualità d’imposta, posto che l’imposta sui redditi è dovuta per anni solari, a ciascuno dei quali corrisponde, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 7, (T.U.I.R.), un’obbligazione tributaria autonoma (Cass. nn. 19152/2003, 14714/2001)”, F. La quarta doglianza (“costi delle assicurazioni stipulate dalla contribuente a favore dei propri soci e dipendenti, in sostituzione del trattamento di fine rapporto”) – per nulla inammissibile perchè, diversamente da quanto sostenuto dalla contribuente, non “ripropone una questione di fatto” – è fondata.

L’assunto del giudice a quo per il quale “stante l’inerenza, il costo va riconosciuto”, infatti, viola il disposto dell’art. 70, comma 1 (numerazione originaria: ora 105) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, secondo cui (testo applicabile alla specie ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate con il D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, art. 1) “gli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente sono deducibili nei limiti delle quote maturate nell’esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto di lavoro dei singoli dipendenti”.

Per la norma, infatti, non è sufficiente il riscontro della mera inerenza del costo ma è necessario che questo (quand’anche sub specie di “polizza assicurativa diretta a garantire il pagamento del TFR”).

(1) afferisca ad “accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente” (quindi riguardi “indennità di fine rapporto e… di previdenza” solo del “personale dipendente”, e non pure altri “costi” concernenti tale personale o persone non aventi lo status di “dipendente”) e (2) non superi i n limiti delle quote maturate nell’esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto di lavoro dei singoli dipendenti”.

Sul punto, quindi, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa va rimessa al giudice del merito affinchè lo stessi accerti che i costi degli specifici “fondi” in contestazione (1) afferiscano effettivamente alle “indennità di fine rapporto e… di previdenza del personale” avente lo status di “dipendente” e (2) non superino i “limiti” (“quote maturate nell’esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto di lavoro dei singoli dipendenti”) fissati dalla norma.

G. Il quinto motivo (“insufficiente motivazione” in ordine ai “costi per assicurazioni”), come eccepito dalla controricorrente, è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c.:

la doglianza dell’amministrazione ricorrente, infatti, manca materialmente della “sintesi”, richiesta da detta norma, quale ritenuta dalla giurisprudenza di questa Corte richiamata innanzi al punto B.2.2, ovverosia (Cass., trib., 18 dicembre 2009 n. 26665, che richiama “Cass. 16002/07; S.D. 20603/07; 4961/08; 8897/08; 4556/09”, tra le recenti) della “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza della motivazione rende la sentenza inidonea a giustificare la decisione”.

Nel caso la formulazione di quella “sintesi” appare indispensabile anche per identificare l’oggetto materiale al quale è rivolta la censura, soprattutto al fine di verificare l’eventuale diversità dell'”oggetto” della stessa rispetto a quello del quarto motivo di ricorso esaminato al punto che precede.

H. Anche il sesto motivo di ricorso “ripresa a tassazione del costo di L. 20. 000.000”, “ritenuto non di competenza dell’esercizio” in quanto “il pagamento della fattura n. (OMISSIS) del 9 febbraio 1998” riguarda “prestazioni di servizio” (“… di automezzi ed autisti per lavori di trasporto”) “effettuate nel periodo settembre-dicembre 1997” – si rivela giuridicamente fondato non essendo, peraltro, per nulla vero (non rinvenendosi nessuna traccia di afferente operazione logica nella sentenza impugnata), che, come affermato dalla contribuente, “la sentenza gravata abbia ampiamente qualificato il rapporto contrattuale ed … accertato le modalità di svolgimento del servizio e di acquisizione dei costi”.

Per l’art. 75, comma 2, lett. b) (ora artt. 64 e 109), del cit.

T.U.I.R., infatti, “ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza”, “i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate…”.

In ordine a tale preciso disposto normativo vanno richiamati e ribaditi i principi affermati da questa sezione, per i quali:

– “in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito, dettate in via generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, sono tassative ed inderogabili, non essendo consentito al contribuente di ascrivere a proprio piacimento un componente positivo o negativo di reddito ad un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come “esercizio di competenza”, nè essendone ammessa l’imputazione in misura superiore a quella prevista per ciascun esercizio” (sentenza 18 dicembre 2009 n. 26665, in cui si ricordano anche “Cass. n. 17195/06; 16198/01; 14775/00″, la quale precisa che il recupero a tassazione dei ricavi nell’esercizio di competenza non può… trovare ostacolo nella circostanza che essi siano stati dichiarati in un diverso esercizio, non potendosi lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito, con innegabili riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile”);

– al fine di “stabilire l’esercizio di competenza, occorre fare riferimento alla “maturazione” del corrispettivo” : questo, pertanto (sentenza 23 luglio 2007 n. 16253), deve intendersi percepito “alla data in cui risulta ultimata la parte di prestazione” alla quale esso si riferisce e, quindi, va “temporalmente” imputato “all’esercizio in corso a quella stessa data, indipendentemente” sia “dalla data della fatturazione” che (anche) “da quella dell’effettivo pagamento” cfr., anche, Cass., trib., 25 gennaio 2008 n. 1633: questa ha ribadito che “le regole sulla imputazione temporale dei componenti del reddito, le quali sono governate dal principio di “competenza economica”, secondo il quale gli elementi reddituali, attivi e passivi sono iscritti in bilancio al momento della ultimazione della prestazione, inerendo temporalmente il costo ali ‘ esercizio in corso al momento della completa fruizione della prestazione, indipendentemente anche dal momento di fatturazione (Cass. 8577/2006; 24474/2006)”.

Il punto gravato della decisione di appello, pertanto, deve essere cassato perchè la Commissione Tributaria Regionale ha evidentemente disapplicato tali principi avendo fatto coincidere l’esercizio di competenza con quello di emissione della fattura, senza considerare, invece, il “momento” finale della “completa fruizione della prestazione”, da intendersi resa (giusta la causale indicata nella fattura “n. (OMISSIS) del 9 febbraio 1998”, in contestazione) nell’ultimo trimestre dell’anno (1997) precedente a quello (1998) di fatturazione.

I. Il settimo motivo (la Commissione Tributaria Regionale ha “omesso ogni motivazione in merito alle altre ragioni che imponevano la rideterminazione della quota effettivamente deducibile”, specificamente in ordine alla “mancanza della documentazione giustificativa di alcuni costi di pubblicità”, alla “deducibilità in misura di 1/5, anzichè di 1/3″, all'”indebita deduzione del costo di L. 380,000.000 : 3 = L. 126.666.666, riguardante una fattura riguardante costi di manutenzione e contabilizzata una seconda volta nel conto manutenzione, come fattura da ricevere”) è inammissibile.

Al punto A. di questo, invero, sono stati indicati i principi che regolano il vizio denunziabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

L’applicazione al caso degli stessi rivela la non sussumibilità in essi del vizio (“omesso ogni motivazione”) denunziato dalla ricorrente atteso che la oggettiva mancando di qualsiasi pronuncia sulla specifica ripresa a tassazione costituisce, propriamente, una omissione di decisione su quella ripresa, quindi una violazione dell’art. 112 c.p.c., causa della nullità (ex art. 132 c.p.c.) della sentenza impugnata sul punto.

Il difetto (omessa pronuncia) effettivamente riscontrabile nella sentenza della Commissione Tributaria Regionale, però, diversamente da quanto operato dalla ricorrente, come reiteratamente statuito da questa Corte (Cass., 3^: 4 marzo 2010 n. 5203 e 1 febbraio 2010 n. 2234 nella quale si ricordano, “tra le tantissime”, “Cass. 27 gennaio 2006, n. 1755; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1701; Cass. 11 novembre 2005, n. 22897”), può (e deve) essere denunziato soltanto a norma del n. 4 dell’art. 360 essendo inammissibile (cfr., altresì, Cass., 2^, 17 dicembre 2009 n. 26598) la doglianza fondata (come nel caso) sul disposto del n. 5 (cioè “come vizio della motivazione”) od anche su quella del n. 3 (“violazione di norme di diritto”) della stessa norma procedurale.

L. L’ottavo motivo – formulato nei termini testuali riportati al punto H del precedente e concluso con il quesito: “se incorra nel vizio di extrapetizione il giudice tributario che annulli integralmente un recupero di imposta dell’Ufficio impositore, sebbene il contribuente abbia riconosciuto la parziale fondatezza di tale recupero” – è inammissibile (per violazione degli artt. 366 e 366 bis c.p.c.) non evincendosi, nè dalla complessiva deduzione (costituita dall’affermazione, attribuita alla società, secondo la quale “con riferimento all’annualità 1999, l’avvenuta deduzione nelle diverse percentuali di 1/3 per il primo anno e nei due successivi per il residuo ammontare deve portare, in sede di rideterminazione della misura della deduzione del costo, ad un risultato che tenga conto quanto meno della percentuale effettivamente spettante”) nè, comunque, dal formulato quesito, in cosa consista la “parziale fondatezza” del “recupero” (avente ad oggetto la “deduzione delle spese pubblicità nell’anno 1999”, ammontanti a “L. 495.929.443”) che la contribuente avrebbe “riconosciuto” e, di conseguenza, l’oggetto concreto (genericamente indicato come “percentuale” non spettante) sul quale il giudice di appello avrebbe omesso ogni pronuncia e così violato l’art. 112 c.p.c..

M. Il nono motivo – “omessa motivazione” in ordine alla “deduzione dei costi di manutenzione e riparazione”, in particolare sull’osservazione per la quale “una parte dei costi di manutenzione (pari a L. 233.576.912 nell’anno 1998 ed a L. 471.789.549 nell’anno 1999) non era deducibile per mancanza del requisito dell’inerenza” perchè “tali costi si riferiscono in parte a manutenzioni e riparazioni effettuate su beni non inseriti nel registro beni ammortizzabili, in parte a beni non specificamente individuati, in parte a beni di proprietà di terzi, tenuti in comodato gratuito, in parte a prestazioni individuate in modo generico (cfr. allegati 5 ed 8 al p.v.c.)” – è anch’ esso inammissibile:

(a) per le medesime ragioni giuridiche svolte (supra, sub I) circa le modalità di denunzia del vizio di nullità della sentenza (ex art. 132 c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c.), essendo stata anche qui denunziata l’asserita omessa pronuncia come vizio di cui al n. 5 (anzi che del n. 4) dell’art. 360 c.p.c.;

(b) comunque, anche per violazione dell’art. 366 c.p.c. – valendo, sul rispetto del contenuto precettivo di tale norma anche quanto alla censura in esame, l’osservazione formulata nell’incipit dello scrutinio del secondo motivo (supra, sub D), non consentendo la posizione di terzietà di questo giudice (art. 111 Cost. cit.) di ricercare, nel corpo delle testuali parti (pagine da 3 a 7) dei due avvisi di accertamento impugnati inserite nel ricorso per cassazione gli eventuali elementi di fatto conferenti – in quanto la prospettazione del motivo (con il rinvio agli “allegati 5 ed 8 al PVC”) non consente di individuare le ragioni dell'”autonomia” (“ulteriori ed autonomi motivi”) – bisognevole, pertanto, di esame e decisione ad hoc – del “recupero a tassazione” dei “costi di manutenzione e riparazione” rispetto al motivo (il cui giudizio sfavorevole non è stato impugnato), esaminato e disatteso dal giudice di appello, concernente “l’applicabilità della percentuale di deducibilità del 25% del valore dei beni ammortizzabili (in luogo di quella del 5% prevista in via generale dall’art. 67, comma 7, cit.

T.U.I.R.), per inosservanza delle disposizioni contenute nel D.M. 13 luglio 1981, art. 2” onde inferire con certezza che le osservazione della Commissione Tributaria Regionale (“autoveicolo per trasporto specifico uso di terzi”) non siano riferibili, anche per implicito, pure agli “ulteriori ed autonomi motivi”considerati nella doglianza.

N. Il decimo (ultimo) motivo – con cui la ricorrente chiede (“quesito di diritto”) “se sia deducibile il costo sostenuto per l’acquisto di carburanti e se sia detraibile l’I.V.A. relativa nel caso di incompleta redazione della scheda carburanti disciplinata dal D.P.R. n. 444 del 1997 (in particolare, in caso di mancata indicazione della percorrenza e del numero dei chilometri indicato dall’apposito contachilometri del veicolo utilizzato per il trasporto) – va accolto essendo erronea, in diritto, l’affermazione della Commissione Tributaria Regionale per la quale nel caso i “costi carburante” sarebbero deducibili, benchè documentati da “schede prive dei dati identificativi dell’automezzo, del numero dei km percorsi a fine mese e del numero dei km finali rilevabili dal contachilometri” (perchè, si assume, “la ripetitività delle schede relative allo stesso automezzo, consente di ritenere deducibile il costo del carburante anche per quelle residuali schede che non contengono l’indicazione della percorrenza, in quanto…, una volta identificata l’appartenenza del bene alla società, risulta osservato il requisito dell’inerenza”).

La L. 21 febbraio 1977, n. 31, art. 2, come noto, ha (testualmente) disposto:

– “con decreti del Ministro per le finanze saranno stabilite norme dirette a disciplinare la documentazione relativa agli acquisti di carburanti per autotrazione, effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti all’imposta sul valore aggiunto”;

– “tale documentazione sostitutiva della fattura di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 22, potrà essere stabilita nella forma di scheda, registro, bollettario od altro e dovrà contenere tutti gli elementi atti a identificare la operazione”;

– “con gli stessi decreti saranno stabilite le modalità per la compilazione, la tenuta e la conservazione della suddetta documentazione”;

– “per le violazioni degli obblighi relativi alla compilazione, tenuta e conservazione della documentazione stessa, si applicano le sanzioni previste dal citato D.P.R. per le violazioni dei corrispondenti obblighi concernenti la fatturazione”.

In base a tale complesso normativo, il D.P.R. 10 novembre 1997, n. 444, ha dettato il “regolamento recante norme per la semplificazione delle annotazioni da apporre sulla documentazione relativa agli acquisti di carburanti per autotrazione” disponendo (per quanto interessa):

– “gli acquisti di carburante per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti all’imposta sul valore aggiunto risultano da apposite annotazioni eseguite, nei termini e con te modalità stabiliti nei successivi articoli, in una apposita scheda conforme al modello allegato” (art. 1, comma 1);

– “le annotazioni di cui al comma 1 sono sostitutive della fattura di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 22, comma 3” (art. 1, comma 2);

– “per ciascun veicolo a motore utilizzato nell’esercizio dell’attività d’impresa, dell’arte e della professione, è istituita una scheda mensile o trimestrale contenente, oltre agli estremi di individuazione del veicolo, la ditta, la denominazione o ragione sociale, ovvero il cognome e il nome, il domicilio fiscale ed il numero di partita IVA del soggetto d: imposta che acquista il carburante, nonchè, per i soggetti domiciliati all’estero, l’ubicazione della stabile organizzazione in Italia…” (art. 2, comma 1); per il secondo comma dello stesso art. 2, poi, “i dati di cui al comma 1, possono essere indicati anche a mezzo di apposito timbro”;

– “l’addetto alla distribuzione di carburante indica nella scheda di cui all’art. 2 all’atto di ogni rifornimento, con firma di convalida, la data e l’ammontare del corrispettivo al lordo dell’imposta sul valore aggiunto, nonchè, anche a mezzo di apposito timbro, la denominazione o la ragione sociale dell’esercente l’impianto di distribuzione, ovvero il cognome e il nome se persona fisica, e l’ubicazione dell’impianto stesso” (art. 3);

– “per la conservazione delle schede previste dal presente regolamento, si applicano le disposizioni contenute nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 39” (art. 5, “obbligo di conservazione”).

Sull’esposto complesso normativo, questa sezione ha già (1) evidenziato (sentenza 9 novembre 2005 n. 21769) l'”univoca volontà del legislatore” nel senso della indispensabilità dell'”indicazione”, in ciascuna scheda carburante, “anche del numero di targa”, con la conseguente impossibilità, per “contribuente che non abbia osservato le prescrizioni suddette”, “di godere delle agevolazioni previste dalla legge in relazione all’acquisto del carburante, venendo a mancare ogni garanzia circa l’identità del veicolo effettivamente rifornito, e l’effettiva riferibilità del relativo costo all’attività dell’impresa”: con la rilevante specificazione che “l’adempimento a tal fine disposto” non ammette (“senza che… ammetta”) “equipollente alcuno, ed indipendentemente dalla contabilizzazione dell’operazione delle scritture dell’impresa” (cfr., altresì, Cass. trib., 5 novembre 2008 n. 26539 la quale ha ribadito che “la possibilità di detrarre dall’imposta dovuta quella assolta per l’acquisto di carburanti destinati ad alimentare i mezzi impiegati per l’esercizio dell’impresa è subordinata al fatto che le cosiddette “schede carburanti”, che l’addetto alla distribuzione è tenuto a rilasciare, siano complete in ogni loro parte e debitamente sottoscritte, senza che l’adempimento a tal fine disposto ammetta equipollente alcuno e indipendentemente dall’avvenuta contabilizzazione dell’operazione nelle scritture dell’impresa”), nonchè (2) statuito la necessità (sentenza 19 ottobre 2007 n. 21941) – considerato che “ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D.P.R. in parola “le annotazioni di cui a comma 1 sono sostitutive della fattura di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 22, comma 3” – dell’osservanza della “la previsione” (D.P.R. n. 444, art. 3) “dell’apposizione della firma sulla scheda da parte l’esercente l’impianto di distribuzione” perchè la stessa, “avendo una funzione, definita dallo stesso legislatore, di “convalida” del rifornimento”, “costituisce elemento essenziale senza del quale la scheda non può assolvere alla finalità prevista dalla legge”.

La natura “essenziale” di tutti gli elementi richiesti nella normativa affinchè ogni scheda carburanti possa “assolvere alla finalità prevista dalla legge” – ovverosia rappresentare un costo deducibile, allo stesso modo e con gli stessi effetti di una fattura – deve essere ribadita essendo evidente la finalità antielusiva perseguita dal legislatore, nel senso (rilevante anche nella fattispecie) di consentire sempre una pronta verifica documentale sia della riferibilità – con l’indicazione della targa o, “per quelli per loro natura privi di targa perchè non destinati alla circolazione stradale (carrelli e macchine operataci, di cui al T.U. circ. strad. approvato con D.P.R. n. 393 del 1959, artt. 30 e 31)”, con la “individuazione del veicolo mediante annotazione del numero di matricola apposto dalla casa costruttrice (v. rispettivamente CM 39/362701 del 13.7.1977 e R.M. 363799 del 19.12.1977, entrambe della Dir. Gen. Tasse)” (cfr., Cass., n. 21769 del 2005, cit.) – del costo ad un automezzo di pertinenza del contribuente, anche quanto ai quantitativi di carburante che si assumono acquistati in riferimento al concreto consumo di ogni automezzo, intuitivamente verificabile solo in base all’annotazione dei chilometri di percorrenza.

In definitiva, la correlazione posta (anche quoad sanzionabilità) dal legislatore (L. n. 31 del 1977, art. 2) tra il complessivo contenuto della “scheda carburante” (“tale documentazione”) e la “fattura di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 22” esclude la giuridica utilizzabilità di qualsivoglia elemento equipollente di riferimento (come, in particolare, la “ripetitività” considerata sufficiente dalla Commissione Tributaria Regionale), dovendosi documentare la effettività (e non, come ritenuto dal giudice di appello, provare unicamente l’inerenza) del costo soltanto con la corretta compilazione, in ogni sua parte ed elemento, della scheda, allo stesso modo che per la “fattura di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 art. 22” (la quale deve contenere in sè sola tutti gli elementi probatori, quindi giustificativi, dell’operazione).

O. In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata relativamente alle doglianze svolte dall’Agenzia nel quarto, nel sesto e nel decimo motivo di ricorso e la causa, siccome bisognevole dei conferenti accertamenti di fatto, deve essere rinviata a sezione diversa della stessa Commissione Tributaria Regionale che ha emesso la pronuncia in tali parti annullata affinchè la stessa provveda (1) a riesaminare i predetti punti sulla scorta dei principi di diritto affermati per ognuno e (2) a regolare anche le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto, il sesto e il decimo motivo di ricorso;

rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Puglia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011

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