Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3944 del 18/02/2010

Cassazione civile sez. III, 18/02/2010, (ud. 21/01/2010, dep. 18/02/2010), n.3944

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 7588/2009 proposto da:

B.A., C.C., CA.CA.,

D.F.M.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VITTORIO VENETO 96,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI FERRARA, rappresentati e

difesi dall’avvocato CALABRESE VITO, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

SARA ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI

BELFIORE 2, presso lo studio dell’avvocato ALESSI GAETANO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati RANIERI FRANCESCO e

RANIERI ANDREA, giusta procura speciale alle liti in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

M.N., D.C.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 41/2 009 del TRIBUNALE di BARI, del 21/11/08,

depositata il 13/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito per la controricorrente l’Avvocato De Fazi Marco (per delega

avvocato Alessi Gaetano), che si riporta agli scritti;

i è presente il P.G. in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE, che nulla

osserva rispetto alla relazione scritta.

La Corte letti gli atti depositati:

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 25 marzo 2009 B.A., C.C., Ca.Ca. e D.F.M.G. hanno chiesto la cassazione della sentenza, notificata il 30 gennaio 2009, depositata in data 13 gennaio 2009 dalla Corte d’Appello di Bari, confermativa della sentenza del Giudice di Pace, che aveva rigettato la loro domanda di risarcimento danni da sinistro stradale.

La Sara ha resistito con controricorso.

Gli altri intimati, M.N. e D.C.F., non hanno espletato attività difensiva.

2 – L’eccezione pregiudiziale della Sara, concernente l’asserita aspecificità della procura soprattutto per l’esplicito riferimento a “ogni fase, grado e stato della presente procedura” è infondata.

Infatti (Cass. n. 10539 del 2007) il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è per sua natura mandato speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso e alla sentenza contro la quale l’impugnazione si rivolge, sempre che dal relativo testo sia dato evincere una positiva volontà del conferente di adire il giudice di legittimità, il che si verifica certamente quando la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso o il controricorso al quale essa inerisce, risultando, in tal caso, irrilevante l’eventuale errore materiale, facilmente riconoscibile, circa gli estremi della sentenza impugnata.

3. – I quattro motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c.. Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella dei 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico-giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 2054, 2697 e 2735 c.c., D.L. n. 857 del 1976, artt. 1 e 2, convertito nella L. n. 39 del 1977. Formulano un quesito con il quale demandano alla Corte di “spiegare le ragioni per le quali nel caso di specie si debba o non si debba attribuire una valenza probatoria risolutiva, rispetto all’accertamento dei fatti oggetto della domanda giudiziale, alla CID nonchè le ragioni per le quali tale documento non possegga la natura di confessione stragiudiziale”.

Il quesito, che non giustifica le numerose violazioni di norme denunciate, prescinde totalmente dalla motivazione della sentenza impugnata, non postula l’enunciazione di un principio di diritto decisivo per il giudizio e, nel contempo, di applicabilità generalizzata.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c.. Anche il quesito relativo a questa censura demanda alla Corte di spiegare le ragioni della non applicabilità alla specie della norma e, quindi, risulta inidoneo, determinando l’inammissibilità della censura, per le stesse ragioni indicate con riferimento al precedente. D’altra parte l’applicabilità dell’art. 2054 c.c., presuppone pur sempre la ricostruzione della dinamica del sinistro e la valutazione dei rispettivi comportamenti dei conducenti coinvolti, cioè attività di stretta pertinenza dei giudici di merito.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 61 e 62 c.p.c.. Il quesito è redatto nei termini già criticati. Il tema che si discute è la valenza probatoria risolutiva, rispetto all’accertamento dei fatti oggetto di domanda giudiziale, della consulenza tecnica d’ufficio. La sentenza impugnata ha spiegato che il C.T.U. non ha potuto esprimere un giudizio di certezza. La valutazione della consulenza tecnica e la sua rilevanza ai fini della decisione attengono al merito della controversia e sono sindacabili nel giudizio di legittimità nei contenuti limiti del vizio di motivazione, al riguardo non eccepito.

Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito all’inversione dell’onere probatorio L. n. 39 del 1977, ex artt. 3 e 5, e inesistenza di qualsiasi prova contraria da parte della compagnia.

La censura, espressa in termini generici, non contiene nè un quesito di diritto, nè la chiara indicazione del fatto controverso. Anche questa censura tratta il tema del valore probatorio del modello CID prescindendo dalla motivazione addotta al riguardo dalla Corte territoriale.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie; la resistente ha chiesto d’essere ascoltata in Camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380 bis e 385 c.p.c..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 1.800,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2010

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