Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3943 del 14/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 14/02/2017, (ud. 06/12/2016, dep.14/02/2017),  n. 3943

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso ricorso 22100-2014 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIMA 7, presso lo

studio dell’avvocato PASQUALE IANNUCCILLI, che lo rappresenta e

difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 191/17/2013 del 7/06/2013 della Commissione

Tributaria Regionale della CAMPANIA, depositata il 21/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. Roberta Crucitti;

udito l’Avvocato Iannuccilli Pasquale, difensore del ricorrente che

si riporta agli scritti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

R.M. ricorre, affidandosi a due motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Campania – in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di accertamento emesso D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38 portante irpef per l’anno 2001 – aveva confermato la decisione di primo grado sfavorevole al contribuente.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c. e di fissazione dell’adunanza della Corte in camera di consiglio, ritualmente comunicate, il ricorrente ha depositato memoria.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5 laddove la C.T.R. aveva dichiarato inammissibili le prove addotte dal contribuente in sede di contraddittorio (quali in particolare la donazione effettuata dal padre della quale era stata data prova anche attraverso deposito di estratto conto bancario).

2. Con il secondo motivo, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, si censura la sentenza impugnata per avere omesso l’esame di fatti decisivi quali la circostanza che alcune somme di denaro erano state ricevute in occasione delle nozze avvenute nel 2004, l’enorme patrimonio dei genitori, in ordine ai redditi agrari la dimensione dell’azienda, l’utilizzazione di somme ricevute a titolo di risarcimento assicurativo.

2. I motivi, involgenti la medesima questione, possono essere trattati congiuntamente. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, disciplina, fra l’altro, il metodo di accertamento sintetico del reddito e, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. n. 413 del 1991, e il D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi);

dall’altro (comma 5), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle – di solito elevate – sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Resta salva, in ogni caso, ai sensi dell’art. 38 cit., comma 6 la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (con riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori: Cass. n. 5365 del 2014), o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. nn. 20588 del 2005, 9539 del 2013).

Con recente pronuncia poi, questa Corte (Cass. 8995/2014 richiamata dalla successiva Cass. n. 25104/2014) ha così chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38: “A norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente e costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entita di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. La norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilita della maggiore capacita contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalita non considerate al fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perche in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati”.

Nella specifica ipotesi di liberalità questa Corte, inoltre, ha statuito che ” nell’ambito dell’accertamento sintetico la prova delle liberalità che hanno consentito l’incremento patrimoniale deve essere documentale e la motivazione della pronuncia giurisdizionale deve fare preciso riferimento ai documenti che la sorreggono ed al relativo contenuto” (cfr. Cass. n. 24597/2010; Cass.6397/2014).

3. Alla luce di tutti i superiori principi, seguiti dalla sentenza impugnata, le censure non sono meritevoli di accoglimento laddove, da un canto, i motivi, con difetto di autosufficienza, non indicano quando e come alcuni fatti siano entrati in processo (quali ad esempio la produzione di estratti conto bancari, la riscossione del premio assicurativo), dall’altro, non sussiste l’omesso esame di fatti decisivi, al contrario valutati dal Giudice di appello, e rispetto ai quali il mezzo appare, invece, teso ad una diversa inammissibile ricostruzione. Anche in memoria il ricorrente ribadisce l’omesso esame da parte del Giudice di merito di documentazione senza, ancora una volta, specificare quando e come tali atti abbiano trovato ingresso in processo.

4. Ne consegue il rigetto del ricorso.

5. Il ricorrente, soccombente, va condannato al pagamento in favore della controparte delle spese processuali liquidate come in dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 3.500,00 oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017

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