Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3940 del 29/02/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 3940 Anno 2016
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CAVE PONTE DELLA REGINA s.r.1., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata

in Roma, via

Guido d’Arezzo, n. 32, presso lo studio dell’Avv. Matteo Mungari, che la rappresenta e difende unitamente agli Avv. Antonio Sartori e Mario Ettore Verino, per procura speciale del

Data pubblicazione: 29/02/2016

notaio dott. Benvenuto Pier Luigi di San Vito al Tagliamento,
rep. 134.737 del 12 giugno 2012;
– ricorrente contro
BETON CANDEO s.p.a., in persona del legale rappresentante

pro

tempore, elettivivamente domiciliata in Roma, via Cassiodoro,
n. 9, presso lo studio dell’Avv. Mario Nuzzo, che la rappre-

an,

senta e difende unitamente all’Avv. Antonia D’Amico, per delega in calce al controricorso;
controricorrente
avverso la sentenza n. 59/2012 della Corte d’appello di Trie-

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5 febbraio 2016 dal Consigliere relatore dott. Alberto Giusti;
uditi gli Avv. Mario Nuzzo e Antonia D’Amico;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Carmelo Sgroi, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. – Il 2 gennaio 1992 veniva stipulato, tra la s.r.l. Cave
Ponte della Regina (d’ora in poi Cave Ponte) e Pietro Candeo,
un contratto denominato “Promessa di appalto di escavazione”,
in forza del quale la prima, titolare di un’autorizzazione alla coltivazione di cava di inerti rilasciata nel 1983 e rinnovata nel 1986, si impegnava – sul presupposto dell’adozione,
in data 8 aprile 1991, di un nuovo piano regolatore generale
del Comune di San Vito al Tagliamento, che prevedeva
l’attuazione di attività estrattiva di materiali di cava di
inerti interessante un’area nel cui ambito erano ricompresi
alcuni terreni già di proprietà di Cave Ponte – ad acquistare
i restanti terreni rientranti nell’area anzidetta, con conse-

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ste, depositata il 24 gennaio 2012.

guente cessione dei diritti di escavazione al Candeo. Costui,
a propria volta, accettava – per sé o per persona da nominare
(identificata successivamente nella s.r.l. Calcestruzzi e Conglomerati Bituminosi Padova, di seguito CGB, successivamente

ritto di escavazione su tutti i terreni, nonché il trasferimento della proprietà dell’intera cubatura dell’inerte da estrarre, dietro pagamento del prezzo della cessione, determinato – ai sensi degli articoli 3 e 5 dell’accordo contrattuale
– sulla base dell’intero quantitativo da estrarre dalla cava.
La società CGB, assumendo di aver acquisito la proprietà
dell’intero giacimento di cava di inerti, con atto di citazione notificato il 26 febbraio 2000 convenne in giudizio Cave
Ponte, chiedendone la condanna al rilascio di tutti i terreni
(anche di quelli trasferiti ex art. 1478 cod. civ.), come individuati nel contratto.
Per contro, la convenuta, nel costituirsi in giudizio, contestò la domanda di parte avversa, rilevando che il contratto
suddetto – da intendersi come preliminare di vendita mobiliare
e di appalto – aveva avuto concreta attuazione, a causa della
mancata approvazione del piano regolatore generale, solo nei
limiti di quanto già assentito in favore di essa Cave Ponte,
in forza dell’autorizzazione del 1986. Propose, inoltre, domanda riconvenzionale volta a conseguire la dichiarazione di
cessazione del rapporto contrattuale di appalto, per effetto

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trasformatasi nella s.p.a. Beton Candeo) – la cessione del di-

del

compimento

dell’opera

di

escavazione,

nonché

l’accertamento della responsabilità di CGB per vizi e difformità dell’esecuzione dello scavo rispetto a quanto autorizzato
(responsabilità dalla quale chiese di essere tenuta indenne),

all’appaltatore e la condanna dello stesso al risarcimento dei
danni, da liquidarsi in separato giudizio, oltre alla risoluzione del contratto per inadempimento, in relazione ai predetti vizi e difformità e al mancato rispetto del quantitativo
minimo pattuito di materiale inerte da scavare, pari a 100.000
metri cubi; in ogni caso, domandò di essere immessa nel possesso e nella libera disponibilità dell’area di cantiere e la
condanna della controparte al risarcimento dei danni da ritardata riconsegna della stessa.
A fronte di tale linea difensiva della convenuta, parte attrice, all’udienza di trattazione della causa, formulò, ai
sensi dell’art. 183 cod. proc. civ., una reconventio reconventionis, avente ad oggetto l’accertamento della permanente efficacia e validità del contratto, nonché la condanna di Cave

instando, altresì, per la riduzione del compenso dovuto

Ponte al suo adempimento.
Con sentenza n. 4 del 26 febbraio 2004, passata in giudicato (stante l’estinzione del relativo giudizio di appello per
rinuncia al gravame), il Tribunale di Pordenone, sezione distaccata di San Vito al Tagliamento, rigettò la domanda principale, dichiarò inammissibili le altre domande proposte

solik

dall’attrice, dichiarò cessato il rapporto contrattuale in relazione alla aree detenute da CGB, delle quali ordinò il rilascio in favore di Cave Ponte, la cui domanda risarcitoria venne respinta.

vembre 2005, la s.p.a. Beton Candeo (già s.r.l. CGB) conveniva
Cave Ponte innanzi al medesimo Tribunale, chiedendone la condanna all’esecuzione del contratto del 2 gennaio 1992, come
integrato dalle pattuizioni del 9 settembre 1993 (in forza
delle quali era stata stabilita una modificazione del prezzo
del materiale inerte estratto dall’appaltatrice) e del 17 novembre 1994 (con cui le parti, invece, si erano date atto
dell’intervenuta emanazione del provvedimento amministrativo
regionale che impediva la realizzazione degli specchi d’acqua
mediante l’attività di scavo oggetto dell’appalto, nonché
dell’impugnativa dello stesso, confermando – per l’ipotesi
dell’accoglimento dell’impugnativa – le condizioni contrattuali così come originariamente stabilite il 2 gennaio 1992 e
successivamente modificate il 9 settembre 1993).
La convenuta Cave Ponte, nel contestare il fondamento delle
domande attoree, chiedeva il rigetto delle stesse.
3. – Con sentenza n. 15 del 30 marzo 2010, l’adito Tribunale, nel rilevare che Beton Candeo – in sede di precisazione
delle conclusioni – aveva chiesto, a modifica dell’originaria
domanda di adempimento, la declaratoria di risoluzione del

– 5 –

2. – Con successivo atto di citazione notificato il 23 no-

contratto per inadempimento della convenuta e la condanna della stessa al risarcimento dei danni per equivalente, rigettava
la domanda, accogliendo l’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla convenuta. Non vi può essere – rilevava il Tribu-

“con la sentenza n. 4 del 2004 di questo Tribunale è stato
sancito che il contratto de quo è ‘cessato'”.
4. – In accoglimento del gravame proposto da Beton Candeo,
questa decisione è stata riformata, con sentenza resa pubblica
mediante deposito in cancelleria il 24 gennaio 2012, dalla
Corte d’appello di Trieste, la quale ha dichiarato la risoluzione del contratto, condannando Cave Ponte al risarcimento
del danno, quantificato in euro 16.577.120, oltre interessi e
rivalutazione dalla domanda al saldo.
4.1. – La Corte d’appello ha in primo luogo escluso che tra
le parti si sia formato un giudicato preclusivo per effetto
della sentenza del Tribunale di Pordenone, sezione distaccata
di San Vito al Tagliamento, n. 4 del 2004. Il giudicato – si
osserva – inerisce alle sole aree detenute da Cave Ponte e la
cessazione del rapporto di appalto tra le parti è limitata a
tali aree sulle quali l’attività estrattiva era esaurita, non
toccando le altre aree facenti parte di un comprensorio più
ampio che avrebbe dovuto formare oggetto dell’estrazione di
inerti da parte di Beton Candeo. Non essendo intervenuta alcuna decisione di merito con riferimento alle altre aree del

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nale – “alcuno ‘spazio giurisdizionale’ ulteriore”, giacché

comprensorio suddetto, ma una mera dichiarazione di inammissibilità della domanda per genericità della stessa e quindi per
vizio della sua introduzione, la Corte territoriale ha giudicato ammissibile, con riferimento a queste, l’esame nel merito

della perdurante efficacia dell’appalto.
La Corte di Trieste ha quindi rilevato, alla luce
dell’istruttoria espletata in primo grado e in particolare
della consulenza tecnica d’ufficio, che l’escavazione sulle
altre aree era ancora eseguibile sulla base del nuovo piano
regolatore comunale di San Vito al Tagliamento approvato il 3
dicembre 2001 ed entrato in vigore il 3 nove-Apre 2002 (in
quanto l’impugnazione proposta avverso il provvedimento amministrativo che aveva determinato la temporanea impossibilità
di esecuzione dell’appalto fu accolta dal TAR e il Comune delibera di adottare un nuovo PRGC, approvato dalla Regione nel
2002, in sostituzione di quello del 1991, in attuazione del
quale era stato concluso l’appalto del 1992), e che
l’estrazione di inerti restava sostanzialmente conforme a
quella contrattualmente prevista.
Disattendendo il contrario assunto della parte appellata,
il giudice d’appello ha ritenuto ammissibile anche la domanda
risarcitoria introdotta unitamente a quella di risoluzione,
sebbene quest’ultima fosse stata proposta in corso di causa
(avendo Beton Candeo agito,

ab origine,

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per l’adempimento),

della pretesa dedotta in giudizio relativa all’accertamento

interpretando, così, in modo “coordinato” i commi primo e secondo dell’art. 1453 cod. civ., nel senso, cioè, che se l’una
disposizione rimette al contraente non inadempiente la scelta
tra l’adempimento e la risoluzione, facendo però salvo «in o-

il mutamento in corso di causa della domanda di adempimento in
domanda di risoluzione, permette di affiancare quest’ultima
anche con la domanda risarcitoria.
La Corte territoriale ha quindi ritenuto che costituisce
grave inadempimento, tale da giustificare la risoluzione del
contratto de quo, la circostanza che Cave Ponte non abbia consentito, appena divenuta nuovamente eseguibile sulla base del
nuovo PRGC, la prosecuzione del contratto stipulato nel 1992.
5. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello
Cave Ponte ha proposto ricorso, con atto notificato il 18 luglio 2012, articolato in cinque motivi e illustrato con successiva memoria, cui Beton Candeo ha resistito con controricorso.
All’esito dell’udienza pubblica svoltasi il 4 luglio 2013,
la Seconda Sezione civile, con ordinanza interlocutoria 9 agosto 2013, n. 19148, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente
per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite ai
fini della risoluzione del contrasto sulla questione, veicolata dal secondo motivo di ricorso, se, convertita in corso di
causa la domanda di adempimento in quella di risoluzione del

gni caso» il risarcimento del danno, l’altra, nel consentire

contratto per inadempimento ai sensi dell’art. 1453, secondo
comma, cod. civ., sia consentita anche la proposizione, contestuale, della domanda di risarcimento dei danni.
Il Primo Presidente ha disposto l’assegnazione del ricorso

Acquisita la relazione dell’Ufficio del massimario, e depositata, da parte della ricorrente, una nuova memoria illustrativa, il ricorso è stato discusso all’udienza pubblica del 25
marzo 2014.
6. – Con sentenza 11 aprile 2014, n. 8510, le Sezioni Unite hanno deciso il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso.
Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione
dell’art. 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3,
cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione in relazione
all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.), la ricorrente Cave Ponte
ha denunciato che la sentenza impugnata avrebbe disatteso il
giudicato esterno rappresentato dalla sentenza, intervenuta
tra le stesse parti, n. 4 del 2004 del Tribunale di Pordenone,
sezione distaccata di San Vito al Tagliamento, la quale, avendo dichiarato la cessazione del contratto di appalto di escavazione, precluderebbe la possibilità di discutere nel merito
la stessa controversia.
Con il secondo motivo è stata posta la questione se, convertita in corso di causa la domanda di adempimento del con-

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alle Sezioni Unite.

tratto in quella di risoluzione del contratto inadempiuto ai
sensi dell’art. 1453, secondo comma, cod. civ., sia consentita, contestualmente alla

variati°,

la proposizione della do-

manda di risarcimento dei danni.

e falsa applicazione degli artt. 1343, 1418 e 1421 cod. civ.,
con riferimento in particolare al principio di rilevabilità
d’ufficio della nullità dei contratti

inter partes

in data 2

gennaio 1992 (promessa di appalto di escavazione), 9 settembre
1993 (convenzione) e 17 novembre 1994 (integrazione della promessa di appalto di escavazione del 2 gennaio 1992), in relazione agli artt. 7 e ss., 13 e ss. e 28 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché violazione degli artt. 1218 e 1453 cod.
civ., osservando che la Corte d’appello di Trieste avrebbe dovuto rilevare che nel caso di specie mancava il titolo giuridico per poter legittimamente eseguire il contratto poi erroneamente dichiarato risolto.
La sentenza delle Sezioni Unite n. 8510 del 2014 ha rigettato il primo motivo di ricorso; ha dichiarato inammissibile
il terzo motivo di ricorso; ha rigettato il secondo motivo di
ricorso ed enunciato il seguente principio di diritto: «La
parte che, ai sensi dell’art. 1453, secondo comma, cod. civ.,
chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere

– 10 –

Con il terzo motivo, la ricorrente ha censurato violazione

l’adempimento,

può domandare, contestualmente all’esercizio

dello ius variandi,

oltre alla restituzione della prestazione

eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale».

causa alla Seconda Sezione civile per la decisione, con separata sentenza, degli ulteriori motivi.
7. – Con sentenza in data 15 settembre 2015, n. 18076, le
Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione proposto dalla s.r.l. Cave Ponte della Regina avverso la sentenza n. 8510 del 2014
delle Sezioni Unite.
8. – In prossimità della nuova udienza presso la Seconda
Sezione la controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato in diritto
l. – A seguito della sentenza 11 aprile 2014, n. 8510, con
cui le Sezioni Unite hanno deciso il primo, il secondo ed il
terzo motivo di ricorso, rigettando il primo ed il secondo e
dichiarando inammissibile il terzo motivo, restano da esaminare il quarto ed il quinto motivo di ricorso.
2. – Con il quarto motivo, la ricorrente censura violazione
e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2946 cod. civ. e insufficiente ed errata motivazione in un punto decisivo della
controversia, sul rilievo che la sentenza impugnata avrebbe

Con la stessa sentenza, le Sezioni Unite hanno rimesso la

dovuto accogliere l’eccezione di prescrizione, giacché il diritto al risarcimento del danno poteva essere esercitato sin
dal 1994.
2.1. – Il motivo è inammissibile.

ne.
A tale riguardo, la Corte di Trieste ha bensì rilevato che
l’atto di citazione del presente giudizio è stato notificato
il 23 novembre 2005, dopo dieci anni dalla data di conclusione
del contratto datato 2 gennaio 1992, ma ha sottolineato che
l’atto di citazione è stato notificato prima del decorso del
decennio che va calcolato, ex art. 2935 cod. civ., dal giorno
in cui il diritto può essere fatto valere, e quindi a far data
dal momento in cui i diritti ex contractu sono divenuti “nuovamente esigibili”. Sotto quest’ultimo profilo, la Corte di
Trieste ha osservato che “esaurita l’escavazione consentita
dalla originaria autorizzazione di cava, la prosecuzione
dell’opera sulla base del nuovo PRGC è stata resa possibile
solo con l’entrata in vigore di quest’ultimo (2 novembre 2002)
non essendo divenuto efficace il PRGC del 1991 e come risulta
dalla c.t.u. in data 29 maggio 2007 (pag. 12) il nuovo PRGC
consente l’escavazione in termini conformi a quello del 1991”.
E’ evidente, dal complesso della motivazione che supporta
la decisione adottata, espressa a pag. 15 della sentenza impugnata, che la Corte d’appello ha individuato la possibilità

La Corte d’appello ha rigettato l’eccezione di prescrizio-

legale di esercizio dei diritti nascenti dal contratto di appalto soltanto con l’entrata in vigore (2 novembre 2002) del
nuovo PRGC (giudicando quindi non ancora maturata la prescrizione decennale alla data – 23 novembre 2005 – di notifica

dell’atto introduttivo del giudizio), parallelamente individuando nell’inefficacia del PRGC del 1991 un impedimento di
diritto al decorso della prescrizione, in applicazione della
regola contra non valentem agere non currit praescriptio.
Questa ratio decidendi è solo genericamente censurata con
il motivo.
Per un verso si deduce che “il diritto al risarcimento del
danno, contrariamente a quanto sostiene la sentenza impugnata,
poteva essere esercitato sin dal 1994”, ma non ci si confronta
adeguatamente, in punto di diritto, con la statuizione della
Corte territoriale che nell’inefficacia del PRGC del 1991 ha
colto una impossibilità legale di esercizio del diritto nascente dal contratto di appalto, ai sensi e per gli effetti
dell’art. 2935 cod. civ.
Per l’altro verso si affida la doglianza al rilievo che “i
contratti oggetto del presente giudizio erano nulli perché avevano ad oggetto un’attività di escavazione finalizzata alla
realizzazione delle opere pubbliche e private previste nel PRG
del 1991 che però era all’epoca vietata”; ma la premessa della
dedotta nullità cade in ragione dell’inammissibilità – dichiarata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8510 del 2014 –

– 13 –

alti

del terzo motivo di ricorso per cassazione, veicolante appunto
una censura rivolta a far accertare che aveva errato la Corte
di Trieste a dichiarare risolto un contratto che in realtà era
nullo.

verse statuizioni ‘dell’impugnata sentenza, illogicità della
motivazione relativa all’ammontare del danno e violazione degli artt. 1218 e 1223 cod. civ. Ad avviso della ricorrente,
sarebbe in primo luogo contraddittoria la statuizione di risolvere i contratti di cui è causa, risalenti agli anni 1992,
1993 e 1995, e poi fare riferimento ai valori dell’anno 2008
per determinare il quantum del risarcimento. Avrebbe poi errato la sentenza impugnata a ritenere l’ammontare del danno equivalente ai valori di mercato del materiale scavato, dovendosi calcolare anche i costi effettivi che Beton Candeo o la
sua dante causa avrebbero sopportato nel 1994 con riferimento
sia agli oneri per l’escavazione che a quelli relativi alle
spese generali. Il profitto, infine, non poteva essere tout
court pari ai prezzi di mercato, giacché Beton Candeo avrebbe
dovuto dimostrare il prezzo di vendita a quella data praticato
nei confronti degli altri clienti.
3.1. – Il motivo è infondato, per la parte in cui non è inammissibile.

3. – Il quinto motivo denuncia contraddittorietà delle di-

E’ infondato là dove si sostiene che “il risarcimento del
danno doveva essere riferito agli anni 1992 o 1993 o al massimo 1994 ma non certamente all’anno 2008”.
Occorre rilevare che la Corte territoriale correttamente ha

vrebbe dovuto pagare a Cave Ponte per l’estrazione di inerti,
secondo le previsioni contrattuali, e quanto invece essa avrebbe ricavato dalla rivendita sul mercato di tali inerti “a
valori correnti”.
Difatti, secondo la consolidata giurisprudenza (Sez. Il, 28
luglio 1992, n. 9043; Sez. Il, 29 aprile 2003, n. 6651), in
tema di inadempimento contrattuale, il risarcimento riveste
natura e svolge funzione sostitutiva della prestazione mancata
e gli effetti della situazione pregiudizievole permangono sino
a quando il danno sia risarcito, ossia fino alla data della
sentenza se la riparazione sia stata richiesta al giudice, cosicché il pregiudizio derivante dalla mancata acquisizione di
un bene deve essere risarcito con la prestazione del suo equivalente in danaro, determinato con riferimento al momento in
cui avviene la liquidazione e non a quello in cui si realizza
la violazione contrattuale.
A questo indirizzo si è attenuta la Corte di merito nel
considerare, ai fini del calcolo del risarcimento, il prezzo
di mercato del materiale estratto al tempo di redazione della
c.t.u.

– 15 –

calcolato il lucro cessante considerando quanto la Beton a-

A ciò aggiungasi che l’ancoraggio alla data (al massimo)
del 1994 – su cui fa leva la ricorrente per la liquidazione
del quantum del risarcimento e delle utilità ritraibili dalla
vendita sul mercato del materiale estratto – trova una smenti-

to ha accertato che il contratto di escavazione divenne nuovamente eseguibile a partire dal novembre 2002. Il nuovo PRGC,
entrato in vigore nel novembre 2002, ha reso possibile “la
prosecuzione del contratto stipulato nel 1992 e successive modifiche”.
Priva di mende logiche e giuridiche è, d’altra parte, la
determinazione del predetto lucro cessante sulla base, appunto, dei prezzi correnti sul mercato del materiale che sarebbe
stato estratto se non ci fosse stato l’inadempimento di Cave
Ponte, essendo questo un dato obiettivamente accertabile, ed
accertato dal c.t.u., e quindi sicuramente attendibile.
Infine, è generica la censura là dove ci si duole che “il
c.t.u. avrebbe dovuto calcolare, nell’operazione di sottrazione, i costi effettivi che la Beton Candeo o sua dante causa
avrebbero sopportato negli anni di cui sopra (e preferibilmente nel 1994) sia con riferimento agli oneri per l’escavazione
che per quelli relativi alle spese generali e specifiche
dell’escavazione stessa”. La ricorrente, infatti, non specifica, come sarebbe stato suo onere, quale sia il contenuto della
relazione peritale sul punto, non indicando né quali costi

– 16 –

ta di ordine logico nella circostanza che il giudice del meri-

siano stati considerati dal c.t.u. per sottrarli dalla somma
risultante dal prezzo ricavabile dalla vendita del materiale
estratto, né quali sarebbero le “previsioni contrattuali” che
hanno guidato il calcolo del perito e dalle quali, invece, se-

“prescindere” “a causa della risoluzione dei contratti”.
4. – Il quarto ed il quinto motivo sono rigettati.

Tenuto conto del fatto che per la decisione del ricorso si
è reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite ai fini
della risoluzione di un contrasto di giurisprudenza attinente
ad un aspetto centrale della controversia, il Collegio ritiene
che sussistano giustificati motivi per la compensazione integrale delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il quarto ed il quinto motivo del ricorso
e dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di
cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 5 feb-

condo l’assunto della ricorrente, lo stesso avrebbe dovuto

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