Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3940 del 19/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 3940 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso 24793-2010 proposto da:
SALVAGNINI ITALIA SPA in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio
dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati PIVA

2013

GIUSEPPE, TIENGO MICHELE giusta delega a margine;
– ricorrente –

3492
contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 19/02/2014

gTATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente non chè contro

UFFICIO DI VICENZA 2 AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimato –

di VENEZIA, depositata il 15/07/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/12/2013 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO TERRUSI;
udito per il ricorrente l’Avvocato TIENGO che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato GENTILI che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 51/2009 della COMM.TRIB.REG.

24793-10

Svolgimento del processo
La Salvagnini Italia s.p.a. proponeva opposizione a un
avviso di accertamento col quale le era stata tra l’altro
contestata, per quanto ancora unicamente rileva, una
omessa fatturazione di presunte cessioni di beni, ai fini

dell’Iva, per il periodo d’imposta 2001.
L’addebito – come nell’odierno ricorso riferito – era
stato motivato dal riscontro di differenze inventariali
rispetto a quanto annotato nel giornale di magazzino (art.
14, 1° co., lett. d), del d.p.r. n. 600 del 1973),
constatate dalla g.d.f. nel corso di una verifica generale
presso la società e dall’amministrazione ritenute non
giuhificah

L’opposizione veniva accolta dalla

commissione Lrlbutaria

provinciale di Vicenza sul rilievo che la presunzione dì

cessione, di cui agli artt. 1 e 4 del d.p.r. n. 441 del
1997, non poteva ritenersi

operante. Difatti, nella

valutazione degli scostamenti, dovevasi ad avviso della
commissione tener conto dalla dimensione dell’azienda,
secondo una considerazione in percentuale rispetto alla
consistenza media del magazzino. Una simile considerazione
portava a ritenere la differenza inventariale fisiologica,
siccome in concreto attestata nello 0,016 % della detta
consistenza media.
Su appello dell’agenzia delle entrate, la decisione era
riformata,

in parte qua,

dalla commissione tributaria

regionale del Veneto.

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La commissione regionale, con sentenza in data 15 luglio
2009, affermava di condividere le conclusioni dell’ufficio
in ordine agli scostamenti accertati, “tenuto conto della
presunzione di cessione che la legge prevede nella
fattispecie e pur dando atto delle quantità modeste in
relazione all’ammontare complessivo dell’attività

produttiva”.
Ad avviso della commissione regionale, codesto dato non
poteva rilevare “in presenza di un preciso dettato
normativo e in assenza di una dimostrazione del percorso
dei materiali di cui si è rilevato lo scostamento, così
come richiesto dalla legge”.
La commissione respingeva, infine, l’appello incidentale
della società ritenendo la sentenza di primo grado nel
resto sufficientemente motivata e non censurabile.
La Salvagnini Italia s.p.a. ha proposto ricorso per
cassazione articolando sei motivi.
L’agenzia delle entrate si è costituita resistendo.
Motivi della decisione
I. – Coi primi quattro motivi, tra loro connessi e
suscettibili di unitario esame, la società ricorrente
deduce in sequenza:
(i) la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1 e
4 del d.p.r. n. 441 del 1997, sostenendo che la
commissione tributaria regionale avrebbe illegittimamente
assimilato il caso de quo,

in cui la contribuente aveva

inteso dimostrare che i beni di cui alle differenze
inventariali erano stati impiegati nella produzione, a

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quello – diverso – di cui agli artt. l e 2 del d.p.r.
medesimo, concernente l’ipotesi di perdite, distruzioni e
consegne a terzi; con conseguente errata estensione al
primo caso delle procedure dimostrative vincolate previste
per il secondo. Assume che la prova dell’impiego dei beni
nella produzione poteva essere fornita dal contribuente

con ogni mezzo;
(li) la violazione e la falsa applicazione dei citati
artt. 1 e 4 del d.p.r. n. 441 del 1997 nella parte in cui
la commissione tributaria regionale, onde superare la
presunzione, ha escluso la rilevanza della prova logicodeduttiva, correlabile al profilo della quantità e della
natura dei beni rettificati in sede di inventario e al
tipo di attività produttiva;
(iii) l’omessa e insufficiente motivazione della sentenza,
non avendo la commissione svolto considerazioni in merito
alla ricostruzione fornita dalla contribuente circa le
cause delle differenze inventariali e l’impiego dei beni
nel processo produttivo;
(iv) la violazione di un giudicato esterno, in quanto, con
sentenza della medesima commissione tributaria regionale,
resa il 25 maggio 2009 e passata in giudicato nel luglio
2010, era stato annullato l’avviso di accertamento
riguardante le identiche contestazioni operate in materia
di imposte dirette; avviso di accertamento richiamato
dall’amministrazione finanziaria nel corpo dell’atto
impositivo oggetto di causa (concernente l’Iva), e facente
riferimento al medesimo presupposto di fatto rappresentato

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dal riscontro, in sede di rilevazione fisica delle
giacenze di alcune categorie di beni, di differenze
quantitative rispetto alle annotazioni nel giornale di
magazzino.
– In relazione alla tesi così dalla ricorrente
complessivamente svolta, reputa la corte di dovere

prioritariamente evidenziare l’infondatezza del quarto
motivo, che chiede di cassare l’impugnata sentenza perché
adottata in contrasto con altra (la n. 40-09-09) tra le
stesse parti passata in giudicato il 10 luglio 2010.
Certamente, nel giudizio di cassazione, il giudicato
esterno è rilevabile d’ufficio quando si sia formato come nella specie – successivamente alla pronuncia della
sentenza impugnata.
Tuttavia, in base a quanto le sezioni unite della corte
hanno condivisibilmente chiarito (v. sez. un. n. 1391606), non può dubitarsi che il giudicato tributario, dotato
di una potenziale capacità espansiva in altro giudizio tra
le stesse parti secondo regole non dissimili – nei limiti
della specificità tributaria – da quelle che disciplinano
l’efficacia del giudicato esterno nel processo civile (e
salvo che il giudizio non si sia risolto nell’annullamento
dell’atto per motivi formali o per vizi di motivazione),
suppone potersi apprezzare l’accertamento di fatti
costitutivi comuni alle controversie.
Se è vero, cioè, che né l’autonomia di ciascun periodo
d’imposta, né la differenza dei tributi, valgono a
escludere che possano esistere elementi comuni a più

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periodi, il cui accertamento giudiziale, in relazione a un
periodo, possa fare stato, con forza di giudicato, nel
giudizio riferito a un periodo d’imposta diverso, è
altrettanto incontestabile che una simile forza espansiva
rileva quanto agli elementi costitutivi della fattispecie;
elementi che, estendendosi a una pluralità di periodi

d’imposta (come, per esempio, le qualificazioni giuridiche
preliminari all’applicazione di una specifica disciplina
tributaria), assumono carattere tendenzialmente
permanente.
Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano
riferimento al medesimo rapporto giuridico, e uno di essi
sia stato definito con sentenza passata in giudicato,
l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione
giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di
diritto relative a un punto fondamentale comune a entrambe
la cause, formando la premessa logica indispensabile della
statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza,
preclude il riesame dello stesso punto di diritto
accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia
finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo
(e il petitum) del primo.
Ne deriva la seguente conclusione.
La preclusione da giudicato esterno è ravvisabile laddove
possa in concreto affermarsi che le sentenze afferenti
siano accomunate dai medesimi presupposti di fatto, in
quanto solo in riferimento a tali elementi il
riconoscimento della capacità espansiva del giudicato

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appare coerente con l’oggetto del giudizio tributario. Il
quale invero, attraverso l’impugnazione dell’atto, mira
all’accertamento nel merito della pretesa tributaria,
entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi a
una pronuncia sostitutiva dell’accertamento
dell’amministrazione finanziaria.

III. – Su tali premesse, l’eccezione della ricorrente
trova ostacolo in ciò: che ai fini delle imposte dirette
la richiamata sentenza n. 40-09-09 si è limitata ad
affermare superata la presunzione di cessione dei beni,
costituenti rimanenze inventariali, non in base
all’accertamento di fatti, sebbene in base a una
valutazione di irragionevolezza del meccanismo presuntivo
ivi costruito (v. Cass. n. 7184-09; n. 6949-06) secondo la
categoria della presunzione semplice (art. 39, 1° co.,
lett. d), del d.p.r. n. 600 del 1973).
Ha difatti quella sentenza affermato che, progettando e
commercializzando – la Salvagnini – macchine utensili di
grandi dimensioni e complessità (per la lavorazione di
lamiera sottile), è “comprensivo”

(rectius, comprensibile)

“che di fronte a centinaia di migliaia di movimenti
tracciabili di magazzino si verifichino quelle differenze
inventariali, e quelle risultanti dalle scritture, di cui
si discute”. Sicché su codesta base argomentativa ha
espresso il convincimento che gli errori in questione
fossero ascrivibili a fisiologia.
Non si è trattato, dunque, di un accertamento relativo a
elementi di fatto, quanto piuttosto di una valutazione di

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irragionevolezza

della

presunzione

per

come

ivi

prospettata, nel rispetto del margine valutativo di cui
all’ art. 2727 c.c., secondo il quale le presunzioni
semplici rilevano in quanto gravi, precise e concordanti.
Di contro deve osservarsi che il combinato disposto degli
artt. 1 e 4 del d.p.r. n. 441 del 1997 opera secondo la

diversa struttura della presunzione legale (relativa) (v.
Cass. n. 9628-12). La quale esclude che il giudice possa
togliere ai fatti considerati l’efficacia o la capacità
dimostrativa ritenuta dalla legge.
Nella presunzione legale manca, cioè, la struttura
inferenziale del ragionamento presuntivo stabilita
dall’art. 2727 c.c., perché la presunzione legale si
rinviene in un meccanismo di tipo normativo che non
riguarda direttamente l’accertamento giudiziale dei fatti
(in sé e per sé considerato), quanto piuttosto il regime
di distribuzione dell’onere della prova.
IV. – Quanto esposto, da un lato elide la pertinenza del
riferimento al giudicato esterno ostativo, e, dall’altro,
induce a ravvisare l’infondatezza – e in parte anche
l’inammissibilità – degli ulteriori tre motivi di ricorso
(dal primo al terzo), mercé i quali la ricorrente ha
censurato la statuizione dell’impugnata sentenza.
Il giudice d’appello si è difatti giustappunto attenuto
all’operatività del meccanismo presuntivo direttamente
discendente dalla legge. Che ove la differenza
quantitativa (tra i beni esistenti nei luoghi in cui il
contribuente svolge le proprie operazioni e quelli

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acquistati, importati o prodotti) risulti a seguito della
verifica fisica dei beni giacenti, oppure dal confronto,
per differenza inventariale, tra la consistenza delle
rimanenze registrate e le risultanze delle scritture
ausiliarie di magazzino di cui all’art. 14, 1° co., lett.
d), del d.p.r. n. 600 del 1973 (o di altra documentazione

obbligatoria) – impone al contribuente di fornire
alternativamente la prova: (a) del reimpiego dei beni
stessi per la produzione (ovvero della perdita o
distruzione dei medesimi); (b) della consegna a terzi (in
lavorazione, depositato, comodato o altro contratto non
traslativo della proprietà).
La commissione tributaria regionale ha ritenuto non
assolto l’onere della prova in dipendenza di mere
considerazioni

astratte,

tali

essendo

state

condivisibilmente ritenute quelle di asserita
compatibilità dell’ipotesi di avvenuto consumo dei beni
suddetti col modesto ammontare dello scostamento
percentualmente registrato.
In questo senso la commissione non ha affatto escluso,
come invece la ricorrente contesta, che l’onere della
prova potesse essere assolto con ogni mezzo. Ha
semplicemente ritenuto, nel caso concreto, non assolto
l’onere medesimo in base a quanto eccepito dalla
ricorrente.
Ne discende che le attuali censure si palesano in
definitiva rivolte al convincimento del giudice circa
l’inidoneità dimostrativa delle considerazioni logiche

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svolte a presidio della tesi della contribuente; e in tale
prospettiva si risolvono in un sindacato di fatto
sull’esito della valutazione della prova.
V. – Col quinto motivo, la ricorrente deduce l’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza
quanto al capo della decisione col quale è stato respinto

l’appello incidentale da essa proposto. E inoltre
l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
quanto alla telegrafica affermazione con la quale la
commissione regionale ha liquidato, in unico contesto,
profili di merito ritenuti assorbiti dal giudici di primo
grado e riproposti a mezzo dell’appello incidentale.
Col sesto motivo, in ordine ai medesimi profili di cui al
mentovato appello incidentale, la ricorrente ulteriormente
eccepisce la nullità della sentenza per omesso esame dei
motivi d’impugnazione (violazione dell’art. 112 c.p.c. in
relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.).
VI. – Osserva la corte che, per quanto sostenuto dalla
ricorrente, l’appello incidentale si era appuntato su tre
questioni:
(i) l’illegittimità della sentenza di primo grado per
carenza di motivazione in ordine alla nullità dell’avviso
di accertamento perché contenente contestazioni riferite
ad annualità e a esercizi d’imposta differenti; ovvero, in
subordine, in quanto non preceduto dal controllo dell’anno
accertato;
(ii) l’illegittimità della sentenza di primo grado per
carenza di motivazione in ordine alla nullità e comunque

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illegittimità dell’avviso di accertamento perché riferito
a tributi diversi;
(iii) l’illegittimità della sentenza di primo grado per
carenza di motivazione in ordine alle insufficienze e
contraddittorietà dell’atto tributario, della sottrazione
dell’ufficio all’onere della prova, della delega

dell’accertamento a soggetto (la g.d.f.) non legittimato.
Adesso, i citati motivi di ricorso per cassazione appaiono
tra loro in logico contrasto, in quanto il quinto,
eccependo il vizio di motivazione, suppone esistente la
pronuncia sui motivi d’appello, che invece il sesto nega
esservi stata.
Tale contraddizione determina l’inammissibilità delle
censure, per difetto di specificità, doveroso essendo
considerare che i motivi risultano prospettati
cumulativamente, anziché in relazione di subordinazione
l’uno rispetto all’altro.
In ogni caso i motivi appaiono inammissibili anche in
rapporto al requisito di autosufficienza (art. 366, n. 3,
c.p.c.).
Si affermano invero consegnate ai motivi d’appello
questioni di presunta illegittimità dell’atto tributario
che dalla sentenza non risultano essere state dedotte a
fondamento del ricorso originario. E non è stato in questa
sede riportato, neppure per tratti salienti, il contenuto
del ricorso introduttivo del giudizio.
Sicché, attesa la regola che vuole vietati i

nova

in

appello (art. 57, del d.lgs. n. 546 del 1992), la corte

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non è in grado di esercitare il richiesto sindacato circa
l’effettività dell’omissione (di pronuncia o di
motivazione), che si assume aver caratterizzato la
sentenza d’appello.
La quale omissione, in tanto può sostenersi, in quanto si

parte del giudice d’appello, quanto alle censure ivi
prospettate.
Quest’onere, almeno in prospettiva di autosufficienza, è
da ritenersi escluso dalla novità delle censure medesime.
VII. – Il ricorso è rigettato.
Spese alla soccombenza.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle
spese processuali, che liquida in euro 12.000,00 per
compensi, oltre le spese prenotate a debito.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta

possa affermare esistente un onere di considerazione, da

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