Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3939 del 19/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 3939 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 7360-2009 proposto da:
SALVAGNINI ITALIA SPA in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIALE PARIOLI 43,

presso lo studio

dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO,
rappresenta
2013

e

difende

unitamente

che lo

all’avvocato

GIUSEPPE PIVA giusta delega a margine;
– ricorrente –

3491
contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 19/02/2014

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente non chè contro

UFFICIO DI VICENZA 2 AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimato –

SALVAGNINI ITALIA SPA in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIALE PARIOLI 43,

presso lo studio

dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO,

che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati
GIUSEPPE PIVA, MICHELE TIENGO giusta delega a
margine;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controri corrente nonchè contro

UFFICIO DI VICENZA 2 AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimato –

avverso la sentenza n. 8/2008 della COMM.TRIB.REG. di
VENEZIA, depositata il 10/04/2008, avverso la
sentenza n. 5/2009 depositata il 26/02/2009;

sul ricorso 10874-2010 proposto da:

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/12/2013 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO TERRUSI;
udito per il ricorrente l’Avvocato TIENGO delega
Avvocato PIVA (solo per r.g. 7360/09) che ha chiesto

udito per il controricorrente l’Avvocato GENTILI che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
il n.r.g. 7360/09 il rigetto in subordine
sospensione, per il n.r.g. 10874/10 il rigetto del
ricorso.

l’accoglimento;

7360-09
10874-10

Svolgimento del processo
L’agenzia delle entrate, ufficio di Vicenza, notificava
alla Salvagnini Italia s.p.a. un atto di recupero di
crediti d’imposta indebitamente utilizzati negli anni
1997, 1998 e 1999. L’atto traeva origine da un anteriore

avviso di accertamento, ben vero separatamente impugnato,
col quale l’ufficio, relativamente all’esercizio solare
1996-1997,

aveva

contestato,

siccome

elusiva,

un’operazione di ristrutturazione societaria coinvolgente
tre soggetti del medesimo gruppo Salvagnini (la Salvagnini
s.p.a., la Salvagnini Italia s.p.a e la costituita società
olandese Salvagnini BV). A valle di tale operazione la
Salvagnini Italia s.p.a. aveva potuto compensare gli utili
di precedenti esercizi, portati a nuovo, con le perdite
della Salvagnini s.p.a., così da far emergere i crediti
d’imposta utilizzati in compensazione per il pagamento
dell’Irpeg e dell’Ilor negli anni 1997, 1998 e 1999.
La società si opponeva all’atto di recupero.
L’opposizione, accolta in primo grado, veniva respinta
dalla commissione tributaria regionale del Veneto con
sentenza n. 8-18-08, depositata il 10 aprile 2008, previo
accoglimento dell’appello principale dell’ufficio a
eccezione dei crediti dell’esercizio 1996-1997, in
relazione ai quali l’atto era stato annullato in
autotutela attesa la duplicazione del recupero rispetto
all’oggetto dell’anteriore avviso di accertamento.

1

La sentenza veniva impugnata in data 4 luglio 2008 con
ricorso per revocazione, sulla base di errori di fatto
circa (i) la affermata mancata esibizione della prova in
ordine agli adempimenti previsti per la cessione dei
crediti infragruppo, quando invece – a dire della società
– la prova suddetta dovevasi considerare incontroversa tra

le parti; e (ii) l’individuazione della materia del
contendere, che non aveva attinto la questione della
esistenza dell’operazione elusiva, quanto piuttosto la
legittimità del consequenziale utilizzo in compensazione
dei crediti d’imposta negli esercizi 1997-1998, 1998-1999,
1999-2000.
La commissione tributaria regionale del Veneto, adottata,
il 2 ottobre 2008, l’ordinanza di cui all’art. 398, 4°
co., c.p.c. quanto ai termini per la proposizione del
ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello,
respingeva il ricorso per revocazione con sentenza n. 519-09 depositata il 26 febbraio 2009.
La società Salvagnini Italia ha proposto ricorso per
cassazione, tanto avverso la sentenza d’appello, n. 8-1808, quanto avverso la sentenza pronunciata in sede di
revocazione, n. 5-19-09.
Ha articolato ventuno motivi nel primo caso e quattro
motivi nel secondo.
L’amministrazione si è costituita in entrambe le cause con
appositi controricorsi.
Motivi della decisione

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I. –

I ricorsi per cassazione, separatamente proposti

contro la sentenza resa in grado di appello e contro
quella pronunciata nel successivo giudizio di revocazione,
vanno

riuniti.

Le

due

sentenze,

integrandosi

reciprocamente, risultano infatti aver definito
inscindibilmente un unico giudizio. Sicché, in sede di

legittimità, possono essere oggetto di esame contestuale e
di decisione unitaria (v. Cass. n. 25376-06; n. 14442-08;
n. 6878-09).
Essendosi provveduto alla riunione, le questioni attinenti
alla revocazione assumono carattere pregiudiziale, sicché
il ricorso avverso la sentenza del relativo giudizio va
esaminato per primo (adde Cass. n. 2818-04; n. 9345-03; n.
15322-02).
II. – Con sentenza n. 5-19-09 la commissione tributaria
regionale ha respinto il ricorso per revocazione della
società Salvagnini Italia osservando che l’errore
denunciato in relazione all’omessa considerazione del
documento mod. 760-97, che in effetti era stato prodotto
in giudizio a dimostrazione dell’adempimento della
formalità previste per

la cessione dei

crediti

infragruppo, per quanto esistente, non era stato decisivo
ai fini della pronuncia, giacché questa si era basata su
altri profili partitamente enunciati nella decisione
impugnata per revocazione.
Ha poi affermato che il giudice

a quo,

quanto sostenuto dall’impugnante,

contrariamente a

aveva esattamente

interpretato l’oggetto della controversia siccome riferita

3

al recupero dei crediti d’imposta, essendo stati i
riferimenti al “fenomeno elusivo” evidenziati soltanto a
corredo della narrazione della vicenda nel suo complesso.
La società impugna per cassazione la suddetta decisione
con quattro motivi, dedotti come altrettante violazioni e
false applicazione, per ciascuno degli eccepiti errori

revocatori, dell’art. 395, n. 4, c.p.c., in relazione
all’art. 360, n. 3, c.p.c.
III. – Osserva la corte che il ricorso per revocazione si
fonda su censure inammissibili.
Il primo motivo non è concluso dal quesito di diritto.
Il secondo motivo, col quale si deduce, che il giudice
della revocazione non avrebbe concretamente valutato “al
di là dell’aspetto grafico-quantitativo, la rilevanza
logico-giuridica” dell’argomento ritenuto erroneo, è
inammissibile perché generico.
La sentenza ha invero affermato che l’errore rapportabile
al non aver considerato il documento prodotto dalla
società non era stato decisivo nel contesto della
decisione, giacché questa aveva attinto argomento da altre
rationes decidendi.

E il secondo motivo dell’odierno

ricorso non muove critica a siffatta affermazione
dell’impugnata sentenza, rivelandosi con ciò avulso dalla
specificità della ragione di rigetto.
Il terzo motivo, riguardante, come il seguente, il secondo
errore revocatorio come sopra dedotto, è inammissibile per
genericità.

4

Posto che la sentenza ha osservato che nessun
fraintendimento sulla portata del giudizio, afferente il
recupero dei crediti d’imposta, potevasi correlare
all’esposizione dei fatti a monte, circa la natura elusiva
dell’operazione dalla quale i crediti erano scaturiti, e
posto che – giova dire – un eventuale errore in ordine

all’individuazione dell’oggetto del giudizio andrebbe
ascritto semmai all’interpretazione della domanda, e
quindi, in ultima analisi, al profilo valutativo del
giudizio di merito, e non a un errore di fatto, vi è che,
quanto alla ridetta valutazione del giudice di merito,
l’impugnante non va oltre una censura generica, infine
meramente ripetitiva della tesi opposta.
Il quarto motivo è inammissibile perché concluso da
quesito inidoneo. Il quesito (“se la commissione regionale
abbia violato la previsione di cui all’art. 395, n. 4,
c.p.c. (..) laddove abbia negato nella sentenza 8-18-08 la
sussistenza dell’errore di fatto consistente nell’erronea
individuazione, quale oggetto del giudizio relativo al
periodo 1997-2000, della fattispecie elusiva relativa alla
cessione del credito nel diverso periodo temporale 19961997”) traduce un mero interpello in ordine alla esistenza
della violazione di legge.
Ne consegue che il ricorso per cassazione avverso la
sentenza assunta a conclusione del giudizio di revocazione
va rigettato.
IV. – Venendo al ricorso proposto dalla società Salvagnini
Italia avverso la sentenza della commissione tributaria

5

regionale n. 8-18-08, pronunciata in grado di appello, la
corte osserva quanto segue.
V. – Il primo mezzo, con due censure, denuncia, sotto i
profili di violazione e falsa applicazione degli artt. 52,
2° co., 27 e 55 del d.lgs. n. 546-92, 7, della 1. n. 21200 e 3 della 1. n. 241-90, che era mancata, e comunque non

era stata allegata dinanzi al giudice di secondo grado,
l’autorizzazione all’appello da parte della competente
direzione regionale delle entrate; per cui l’appello, a
dire della ricorrente, avrebbe dovuto essere dichiarato
inammissibile dalla commissione regionale.
Il mezzo è infondato nel presupposto, in quanto la
disposizione dell’art. 52, 2° co., del d.lgs. 31 dicembre
1992 n. 546, secondo la quale gli uffici periferici del
dipartimento delle entrate del ministero delle finanze e
gli uffici del territorio devono essere previamente
autorizzati alla proposizione dell’appello principale,
rispettivamente, dal responsabile del servizio del
contenzioso della competente direzione generale delle
entrate e dal responsabile del servizio del contenzioso
della competente direzione compartimentale del territorio,
non era più suscettibile di applicazione allorché
l’appello era stato proposto (9 ottobre 2007), essendo da
gran tempo divenuta operativa – in forza del d.m. 28
dicembre 2000 – la disciplina recata dall’art. 57 d.lgs.
30 luglio 1999 n. 300, istitutivo delle agenzie fiscali.
La norma ha infatti attribuito alle agenzie la gestione
della generalità delle funzioni in precedenza esercitate

6

dai dipartimenti e dagli uffici del ministero delle
finanze, e ha trasferito alle medesime i relativi rapporti
giuridici, poteri e competenze, da esercitarsi secondo la
disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna
agenzia.
Pertanto, a seguito della soppressione di tutti gli uffici

e organi ministeriali ai quali fa riferimento l’art. 52,
2° co., d.lgs. n. 546 del 1992, non potevano farsi
discendere condizionamenti al diritto delle agenzie di
appellare le sentenze a esse sfavorevoli delle commissioni
tributarie provinciali (v. sez. un. n. 604-05).
VI. – Anche col secondo mezzo sono dedotte due censure:
rispettivamente di violazione dell’art. 156 c.p.c. e di
omessa motivazione della sentenza a riguardo di lamentati
vizi di notificazione dell’impugnato atto di recupero.
Il mezzo è inammissibile sotto entrambi i profili.
La prima censura è tradotta in un quesito di diritto
inidoneo per genericità, siccome costituito da un mero
interpello su principi astratti (“se i vizi della
procedura di notifica dell’atto (..) divengano irrilevanti
ex art. 156 c.p.c. a seguito della proposizione del
ricorso al giudice tributario”).
La seconda manca della prescritta sintesi specificativa
del fatto controverso cui associare il dedotto vizio di
motivazione.
VII. – Le censure proposte con i motivi che vanno al terzo
al settimo (quest’ultimo per vero scisso in due censure

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egualmente numerate) sono in parte inammissibili e in
parte comunque infondate dal punto di vista giuridico.
La ricorrente torna a eccepire che l’amministrazione era
decaduta dall’azione di recupero in base all’art. 43 del
d.p.r. n. 600 del 1973.
Il nucleo della tesi consta della non applicabilità al

caso di specie della proroga biennale dettata dall’art. 10
della 1. n. 289 del 2002.
A questa tesi sono legate censure:
(i)

di omessa motivazione in ordine alla dedotta

inapplicabilità della proroga (terzo motivo);
(ii) di omessa pronuncia sulla medesima questione (quarto
motivo);
(iii) di omessa motivazione quanto alla efficacia del
condono asseritamente fruito dalla società ai sensi
dell’art. 8 della 1. n. 289-02, in relazione alla dedotta
insussistenza della causa ostativa rappresentata, secondo
l’amministrazione,

dalla presenza del verbale di

constatazione (quinto motivo);
(iv) di omessa pronuncia sulla questione dedotta di
efficacia del condono sopra mentovato (sesto motivo);
(v) di omessa pronuncia sulla questione della eccepita
inesistenza

della

notificazione

del

verbale

di

constatazione ritenuto ostativo (settimo motivo);
(vi)

di omessa motivazione riguardo alla medesima

questione (settimo motivo bis).
Osserva la corte che l’impugnata sentenza ha reso la
decisione sulla base di un presupposto di fatto specifico.

8

Ha invero affermato che la ricorrente non si era avvalsa
del condono ex artt. 8 e 9 della 1. n. 289-02, sicché
l’azione di accertamento e di connesso recupero dei
crediti d’imposta restava soggetta alla proroga biennale
dei termini di cui al successivo art. 10.
La sentenza si è quindi pronunciata sulle questioni di cui

sopra, negando validità all’asserto che vi fosse stata una
previa adesione al condono.
Alla base della pronuncia si rinviene un accertamento di
fatto in questa sede insindacabile, se non sotto il
profilo della congruenza e completezza della motivazione.
Tutte le censure di ordine motivazionale, sollevate dalla
società ricorrente ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.,
mancano della prescritta sintesi volta a specificare, a
conclusione dell’esposizione, il fatto controverso,
decisivo per il giudizio, con riguardo al quale la sopra
detta motivazione della commissione regionale andrebbe
ritenuta omessa. Il fatto controverso non è difatti
identificabile nella questione giuridica sottesa, quanto
nella specifica risultanza (nel processo tributario
necessariamente documentale) non considerata o non
adeguatamente considerata.
Donde le medesime censure sono inammissibili.
Ne consegue che resta insindacabile dalla corte
l’accertamento di fatto in ragione del quale il giudice
del merito ha tratto la conseguenza giuridica, esposta in
sentenza, a presidio della ritenuta soggezione dell’atto
tributario a proroga biennale.

9

Osserva d’altronde la corte che dalla sentenza risulta (ed
è ammesso dalla società) che l’atto di recupero del
credito d’imposta, di cui si tratta, era stato notificato
il 10 dicembre 2005, a seguito di verbale di constatazione
e di connesso avviso di accertamento involgente la non

in sede di compensazione. Ed è un fatto che, come eccepito
dalla stessa società a mezzo dell’infrascritto dodicesimo
motivo, l’atto de quo,

seppur concretizzato nel recupero

d’imposta, aveva trovato il proprio fondamento logicogiuridico nell’attività di accertamento della elusività
dell’operazione societaria a monte.
In questo senso non appare controvertibile la soggezione a
4.44/V~ANO.

proroga biennale dell’azione di accertamento, ed/logico
ritenere che tale evidenza abbia esteso i propri effetti
anche in relazione agli atti di recupero delle maggiori
imposte da quell’accertamento dipendenti.
VIII. – Con l’ottavo e col nono motivo sono dedotti vizi
di omessa o comunque insufficiente motivazione
dell’impugnata sentenza in ordine (i) alla eccepita
illegittimità dell’atto di recupero in rapporto all’art.
37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973 e (ii) alla eccepita
illegittimità dell’atto di recupero in rapporto all’art.
1, 422° co., della l. n. 311 del 2004.
I motivi sono inammissibili.
La ricorrente ha omesso di specificare il fatto
controverso, decisivo per il giudizio,

in ordine

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spettanza dei crediti d’imposta utilizzati dalla società

all’accertamento del quale andrebbe ravvisata l’omissione
o comunque l’insufficienza della motivazione.
Invero le doglianze appaiono modellate su questioni
giuridiche, e non di fatto, per loro natura estranee al
paradigma normativo evocato. Ossia, l’art. 360, n. 5,
c.p.c. non può attingere la motivazione sui profili

IX.

giuridici della controversia.
Vanno unitariamente esaminati il decimo e

l’undicesimo mezzo, in quanto connessi,
Il decimo motivo denunzia un’omissione di pronuncia circa
la lamentata illegittimità dell’atto di recupero oggetto
di causa in rapporto all’art. 1, 422° co., della 1. n. 311
del 2004.
L’undicesimo denunzia invece la violazione e la falsa
applicazione della citata norma e degli artt. 40 del
d.p.r. n. 600 del 1973 e 76 del Tuir (nel testo vigente)
quanto alla eccepita illegittima pluriennalità dell’atto
medesimo, non coincidente con i periodi d’imposta della
società.
I motivi, anche a prescindere dalla contraddittorietà tra
le tesi esposte (l’undicesimo motivo suppone la pronuncia
che il decimo invece assume inesistente), sono palesemente
infondati.
Una volta contestata la violazione fiscale mediante
accertamento della elusività dell’operazione da cui erano
derivate le eccedenze d’imposta, nessuna norma impediva
all’amministrazione di procedere ai connessi recuperi con

11

un unico atto afferente gli omessi versamenti nelle
distinte annualità.
X. – Col dodicesimo mezzo, la ricorrente deduce la nullità
della sentenza per violazione dell’art. 295 c.p.c.,
eccependo non esser stata disposta la sospensione
(necessaria) del processo in attesa della decisione della

causa pregiudiziale afferente l’avviso di accertamento.
La censura si incentra sulla già vista affermazione che
l’atto di recupero dei crediti d’imposta, di cui si
controverte, era logicamente e giuridicamente subordinato
all’avviso di accertamento relativo all’esercizio 19961997, col quale l’amministrazione aveva contestato, ai
sensi dell’art. 10 della 1. n. 408-90, l’elusività
dell’operazione

di

ristrutturazione

societaria

in

quell’anno verificatasi, così avendo disconosciuto quegli
effetti dell’operazione che, nel concreto, si

erano

realizzati nei periodi d’imposta successivi.
Questo motivo è fondato.
XI. – Dal ricorso direttamente si evince che la società
aveva eccepito, dinanzi al giudice d’appello, l’avvenuto
annullamento dell’avviso di accertamento a opera della
commissione tributaria provinciale di Vicenza, sul rilievo
che, annullato l’atto presupposto, doveva derivarne
l’annullamento anche del consequenziale atto di recupero
dell’asserito credito erariale.
Da questa tesi si dipana anche l’odierna censura, posto
che l’impugnata sentenza ha disatteso l’eccezione.

12

A sua volta l’agenzia delle entrate – facendo proprio
quanto sostenuto dalla commissione regionale – ha
replicato negando il rapporto di pregiudizialitàdipendenza tra i giudizi, in quanto questi avevano
investito atti impositivi differenti (anche in relazione
alle annualità), seppure entrambi facenti capo a un

medesimo verbale di constatazione. La pregiudizialità non
potrebbe, secondo l’amministrazione, apprezzarsi ‘C ne
conseguirebbe un arbitrio nella individuazione dell’atto
(o del giudizio) da considerare pregiudiziale.
L’obiezione avanzata dall’amministrazione non ha pregio,
così come giuridicamente errata è l’argomentazione sulla
quale si fonda la sentenza della commissione regionale.
Era infatti assolutamente evidente l’esistenza della
relazione di pregiudizialità tecnica tra le due cause, dal
momento che la stessa sentenza ha stabilito, in piena
concordanza con quanto emergente dall’atto tributario (per
la parte trascritta nel corpo del ricorso per cassazione),
che l’atto in questione, recante il recupero del credito
d’imposta indebitamente utilizzato dalla società negli
anni 1997, 1998 e 1999, aveva tratto riferimento dal
precedente avviso di accertamento (separatamente
impugnato) relativo all’esercizio solare 1996-1997.
Era altresì evincibile dall’eccezione della parte
appellata che l’accertamento dedotto come pregiudiziale
era stato invocato nel processo dipendente al fine di
evitare che il giudice della causa pregiudicata potesse
limitarsi a una verifica incidenter tantum.

13

Ciò stante, il rilievo sulla base del quale è stata
prospettata la censura è corretto.
L’atto di recupero si era in effetti limitato a
quantificare il preteso credito d’imposta in uno specifico
prospetto organizzato in ragione di anno.
Ma non è minimamente contestabile che il recupero del

credito aveva tratto il proprio fondamento dal
disconoscimento degli effetti (ovvero dall’affermazione di
irrilevanza per l’erario) dell’operazione di
ristrutturazione societaria.
La quale era stata ritenuta elusiva giustappunto in quanto
finalizzata (pressoché esclusivamente) a radicare il
vantaggio fiscale della compensabilità, con utili di
esercizio portati a nuovo, delle perdite di altra società
del gruppo (la Salvagnini s.p.a.), essendone derivata la
emersione di crediti d’imposta nelle successive annualità,
infine utilizzati dall’attuale ricorrente in pagamento
dell’Irpeg e dell’Ilor.
L’esito di quel giudizio, condizionando la possibilità di
ritenere

inopponibile

l’operazione

all’erario,

si

rifletteva necessariamente sulla affermata legittimità
del recupero del credito portato in compensazione.
XII. – Questa corte ha più volte – e anche di recente affermato il principio che nel processo tributario opera
il disposto ex art. 295 c.p.c., inteso a evitare
l’eventualità di un contrasto di giudicati. Sicché la
sospensione necessaria del processo è applicabile (anche)
al processo tributario, qualora risultino pendenti,

14

davanti a giudici diversi, procedimenti legati tra loro da
un rapporto di pregiudizialità tale che la definizione
dell’uno costituisca indispensabile presupposto logicogiuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento
dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato
(v. Cass. n. 21396-12; n. 1865-12, nonché, da ultimo Cass.

In quest’ottica il concetto di pregiudizialità si lega

n. 12520-13).

more solito – alla questione della dipendenza dei giudizi,

nel senso che la sospensione va in ogni caso disposta
quando il giudice non possa risolvere

incidenter tantum

una questione pregiudiziale, perché ne è richiesto
l’accertamento con efficacia appunto di giudicato, e tale
accertamento debba essere compiuto in una causa separata
(id est, fuori dall’orbita del processo in questione).

In simili condizioni, la sospensione necessaria del
processo, per pregiudizialità ai sensi dell’art. 295
c.p.c., risponde all’esigenza, di ordine pubblico, di
evitare il conflitto di giudicati. Per cui deve essere
disposta dal giudice di merito, non appena ne ravvisi i
presupposti, anche d’ufficio, indipendentemente, cioè, da
un’istanza di parte.
Ché l’istanza, qualora formulata, equivale a una semplice
sollecitazione all’esercizio del potere officioso (v., per
varie applicazioni, Cass. n. 10628-06; n. 6572-05; n. 73303; n. 5026-00).
XIII. – Occorre aggiungere questo.

15

Che il sindacato della corte sulla mancata sospensione,
presupponendo che il rapporto di pregiudizialità tra le
due cause sia non solo concreto, ma anche attuale, nel
senso che la causa ritenuta pregiudiziale sia tuttora
pendente, certamente postula che della ripetuta attualità
del presupposto sia fornita prova da parte del ricorrente

(v. Cass. n. 18026-12; n. 16992-07). Ma nei casi in cui il
fatto non risulti altrimenti, perché incontroverso tra le
parti o perché – come nel caso di specie – la causa
pregiudiziale sia essa stessa pendente presso la corte
suprema.
XIV. – Il dodicesimo motivo, nell’indicata prospettiva, va
quindi accolto.
Tutte le ulteriori censure prospettate dalla ricorrente
ineriscono a questioni di merito dipendenti da quella
previa, appena affrontata.
Donde sono assorbite.
XV.

– L’impugnata sentenza n. 8-18-08 va cassata in

accoglimento del dodicesimo motivo del ricorso afferente,
con rinvio alla medesima commissione tributaria regionale
del Veneto, diversa sezione,

la quale giudicherà

adeguandosi ai principi di diritto sopra evidenziati.
La commissione provvederà anche sulle spese del giudizio
svoltosi in questa sede di legittimità.
p.q.m.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso contro 4o1
sentenza emessa in sede di revocazione; rigetta i motivi
da uno a undici del ricorso proposto contro la sentenza

16

SENTF
SEs1; .:,’,

pronunciata in grado d’appello; accoglie il dodicesimo
motivo del ricorso suddetto; dichiara assorbiti gli altri;
cassa, in relazione al motivo accolto, l’impugnata
sentenza n. 8-18-08 e rinvia, anche per le spese del
giudizio di cassazione, alla commissione tributaria

Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta

regionale del Veneto.

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